Dalla consapevolezza alla compassione

Cerco di aggiungere degli elementi a questa discussione in “Comunità del Sentiero” nata dal tema del prossimo intensivo del 6-8 giugno.
La consapevolezza non è la fine del cammino: coltivare e lasciare che in sé maturi una consapevolezza diffusa che tutto abbraccia e tutto compenetra è un passaggio importante, ma indicativo di poco.
La consapevolezza apre la persona alla realtà dell’accadere nell’adesso; lo sguardo penetrante dell’osservatore, di una meta-osservazione, crea una connessione con l’osservato fondata sulla sospensione: di identificazione, di pensiero, di emozione, di tempo.
Quella sospensione pone l’osservatore nella neutralità, non nell’indifferenza, nell’alterità: è lo sguardo della coscienza oltre l’identificazione del soggetto percepente.
Se tutto finisse qui sarebbe un vivere nella lucidità estrema e nella lontananza senza fine.
La consapevolezza in sé è niente se, nel cammino incontro ad essa, non sorge anche la compassione che è la possibilità di comprendere l’accadere associata al rispetto, alla deferenza, alla dedizione.
La compassione è comprensione dei processi nostri e altrui;
è rispetto per la fatica, il dolore, l’inciampo che il procedere comporta;
è deferenza, inchino profondo al processo in atto;
è dedizione, presenza reiterata se necessaria, a fianco dell’altro, della sua solitudine, del suo passaggio esistenziale, della sua fatica.
L’infinita lontananza generata dalla consapevolezza cammina assieme alla comprensione profonda della compassione che conduce alla presenza neutrale eppure calda, discreta, delicata, tenera.
Là dove la consapevolezza lascerebbe l’altro al suo processo, la compassione lo accompagna per un tratto di strada : “E se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due”. (Mt. 5,41)

Immagine da: http://goo.gl/W4GUz3

Nel mondo ma non del mondo (1)

Non voglio essere io ad amare, mi dispongo affinché l’amore sia

C’è un protagonista nell’esperienza dell’amore?
Un soggetto che ama? Un oggetto dell’amore? Se si, non stiamo parlando dell’amore ma di altro, forse di un innamoramento, di una infatuazione, di un racconto della mente.
L’amore non contempla né l’amato né l’amante: proviene dal deserto di sé, dalla scomparsa del proprio esserci e sfocia nell’essere senza attribuzione.
Nella condizione d’essere, nella pienezza della neutralità affiorano le molte declinazioni dell’amore: l’accoglienza, la gratuità, la semplicità, la giocosità, la compassione, l’unitarietà di visione.
Questo affiorare non è frutto della volontà, non c’è un soggetto che può dire: “Voglio amare!”.
Sorge come un vento e non risponde ad alcuno della sua direzione.
L’amore è, non diviene, non conosce il tempo né le leggi della mente.
Lo si incontra lì, un passo oltre il proprio esserci, oltre la declinazione di sé.
Nell’assenza della propria presenza, nella marginalità del proprio nome, nell’irrilevanza del proprio punto di vista, oltre le emozioni, oltre i pensieri.
L’amore non è un’emozione, non è il pensiero sull’amore, è l’essere che canta l’Essere, non altro.

Immagine da: http://goo.gl/ERfU7Q


Quello che insegniamo qui

Non tanto a vivere spiragli di libertà, quanto a costruire le fondamenta della libertà.
Che cos’è la libertà? Vivere senza il condizionamento dell’identità, potendo sperimentarla quale semplice espressione della coscienza.

continua..