Mitigare la soggettività dell’interpretazione

Ogni fatto che accade nella relazione è interpretato dalle identità coinvolte e ognuna di esse legge i fatti alla luce delle proprie aspettative, del proprio personale apparato giudicante, delle comprensioni conseguite e da conseguire.
Questa lettura irrimediabilmente soggettiva dei fatti è all’origine di ogni conflitto e di ogni difficoltà nelle relazioni.
Partendo dal presupposto che il film che proiettiamo e percepiamo è comunque soggettivo fino alla fine dei nostri giorni umani, possiamo cercare di mitigare questa soggettività con l’intento di ridurre l’incomprensione che accompagna senza sosta le nostre relazioni.
La consapevolezza della relatività del nostro punto di vista, è il primo passo.

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Fin quando tutto parla di noi?

Tutto parla di noi e ci svela, ma fino a quando?
Finché in ciò che viene scorgiamo un segno, un simbolo intelligibile.
Viene un momento in cui ciò che viene è muto: non svela se non ciò che è già stato svelato, non parla se non di ciò che è già stato udito.
Il parlare e l’agire degli altri sempre ci coglie e ci interroga ma, a volte, o ad un certo punto, quell’impatto è lieve e subito si smorza.
Quella lezione l’abbiamo appresa: una parola viene e va, un fatto si presenta e scompare, il messaggio non è più per noi.
Il postino passa, mostra le lettere ma non sono per noi.

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Da coscienza a coscienza

Quando le menti sono quiete, la comunicazione avviene da coscienza a coscienza, da sentire a sentire.
Mente quieta equivale a mente che non ha da aggiungere del suo sulla realtà sentita.
Il sentire può allora dominare il campo e utilizzare le parole e i gesti , le azioni per esprimersi, per travasarsi, per divenire realtà intellettiva, emozionale, fisica.
Se le menti sono quiete, le relazioni tra persone divengono una danza fondata sull’ascolto, sull’osservazione, sulla donazione reciproca.
Se le menti sono silenti, opera senza fine il principio dei vasi comunicanti e gli interlocutori, vicendevolmente, versano se stessi nell’altro.

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Il limite nostro che libera l’altro

Viviamo i rapporti e le persone come fossero cosa nostra. Interpretiamo il nostro e l’altrui limite come un ostacolo, un accidente che si insinua e compromette i rapporti.
Se le persone e i rapporti non sono nostri, ma occasioni di esperienza, consapevolezza, comprensione che la vita ci mette a disposizione, allora il limite che noi e l’altro portiamo non è un accidente, ma una possibilità.
Per che cosa?
Per generare chiarezza, per facilitare il discernimento: sono qui davanti a te e non ti porto una maschera e non recito pantomime, ti porto il compreso e il non compreso nell’immediatezza e nella semplicità di cui sono capace.

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