Oltre l’interpretazione e qualificazione di ogni fatto [sentiero70]

Finché gli basta, perché ad un certo punto la collana di perline non gli basterà più: stimolato dal dolore, dalla frustrazione o dalla semplice comprensione che ha acquisito esperienza su esperienza, inizia ad avere esigenza di andare più a fondo nel processo del divenire e allora scopre che quel processo è costituito dall’essere.

Solo a questo punto si accorge veramente di quanta interpretazione aggiunge su ciò che attimo dopo attimo vive. I suoi occhi si aprono sulla consapevolezza che ogni fatto viene qualificato e così facendo è subito vecchio, già conosciuto, usato.

L’umano si rende conto, in maniera più o meno consapevole, che la tensione tra passato e futuro lo imprigiona, non gli permette di vedere quel che ha tra le mani: se ha poco vede il lamento; se ha molto vede la paura di perderlo, in entrambe le situazioni sente di essere prigioniero del proprio atteggiamento, della propria lettura della realtà.

Solo ora comincia a comprendere che esiste questo automatismo dell’etichettare, qualificare, giudicare, interpretare: gli era sembrato che fosse naturale, quello lui era, ma ora qualcosa si è incrinato e non gli sembra più che questo sia naturale, anzi, gli sembra pesante e innaturale.

Attraverso le esperienze il suo sguardo è cambiato perché le esperienze hanno prodotto comprensione, il sentire conseguente si è ampliato e oggi ha un’altra percezione della realtà molto diversa dalla precedente.

“Perché debbo sempre aggiungere sulla realtà il mio commento, la mia opinione?” “Voglio imparare a tacere!” Così si apre una nuova stagione che richiede attitudini nuove, in buona parte sconosciute.

Il presente è quel fatto che non ha passato né futuro. Il presente non diviene. È un fotogramma e la macchina da proiezione ha il motore spento: la pellicola non scorre, la lampada illumina sempre lo stesso fotogramma, la luce attraversa l’obbiettivo e prende forma sullo schermo.

Il presente è stare. Non fluire. Non divenire. Privo di tempo. Il presente non è limitato dal non avere un prima e un dopo, ma, proprio perché è estratto dalla sequenzialità del divenire, si dilata nell’essere senza tempo.

Spazio infinito. Qualunque sia il fatto: un pensiero, un’emozione, un’azione, un sentire, se vengono vissuti in sé, non connessi a ciò che li precede e li segue, quei fatti divengono immensità vasta, profonda, misteriosa.

Questa dilatazione, questo stare nell’essere senza tempo, in attimi non più connessi in una sequenza, assoluti, è quel che chiamiamo contemplazione?

Si.

Questo testo è parte dei capitoli 3 e 4 del libro L’Essenziale; mentre li pubblichiamo ne verifichiamo anche il contenuto a 10 anni dalla loro estensione. A revisione completata, renderemo disponibile l’intero volume: qui i capitoli 1 e 2 già revisionati.

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