Mosso dalla sua volontà di vivere una vita di perfezione in tutto conforme al messaggio evangelico, spiegato dalla regola, il religioso intende impegnarsi in una vita che, per definizione, non può apportargli alcun guadagno materiale o sociale. Egli vive fuori dal secolo, che fugge.
Egli vuole essere cittadino di una città invisibile la cui parte visibile ha poca importanza ai suoi occhi. Egli non ha la vocazione di colonizzare, di dissodare, di coltivare, di apportare delle innovazioni in materia agricola, di prosciugare delle paludi o di fare andare dei mulini, di allevare delle api o di prendersi cura dei boschi, di fare vino o formaggio. Egli non ha scopi che non siano spirituali: anche l’azione apostolica, la carità, l’insegnamento non lo riguardano, almeno direttamente.
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E tuttavia i monaci sono all’origine, inconsapevole e involontaria, di un movimento economico e sociale così profondo, così diverso e vasto che l’evoluzione del Medioevo sarebbe difficilmente spiegabile senza la loro presenza e la loro azione. In questo senso, San Benedetto e con lui i Benedettini, sono i «padri dell’Europa» nel senso pieno del termine, sia dal punto di vista storico che sociologico.
Rifiutando all’origine, per desiderio di osservanza letterale, ogni entrata di origine ecclesiastica o feudale, ogni aiuto servile o civile, isolati dal mondo, poveri, disarmati, poco numerosi, i monaci dovettero provvedere alla loro sussistenza quotidiana. Essi quindi, per motivi spirituali, dovettero dissodare, irrigare, prosciugare, bruciare le stoppie, preparare il concime, arare (laborare), selezionare le sementi e gli animali, fare lavori da contadini e da pastori. Spinti dalla fede intensa che li animava, essi riuscirono a rendere umane lande deserte, paludi senza fine, foreste selvagge e incolte. Ma facendo così essi assicurarono il difficile avvio agricolo dell’Europa.
Similmente, per celebrare la messa i monaci avevano bisogno di vino. Essi dunque piantarono la vite dovunque c’era una minima speranza che il suolo e il clima le sarebbero stati favorevoli. Essi sono così all’origine di un buon numero dei grandi vigneti estendentisi nei vari paesi europei.
Il voto di povertà, la frugalità quotidiana, i digiuni e le astinenze, altri imperativi spirituali, creavano automaticamente delle riserve di frutta, farina, cereali, latte, miele. E cosa fare con queste se non bevande di frutta, l’idromele, dolci, birra, formaggi, acqueviti e liquori?
Queste stesse virtù rischiavano di rendere la cucina insipida e monotona: per ovviare a questo pericolo, senza spirito iniziale di ghiottoneria, i monaci tracciarono le prime linee della gastronomia.
Essi avevano bisogno di molta cera per illuminare sontuosamente le loro Chiese: svilupparono l’apicoltura. Avevano bisogno della lana per i loro vestiti, della pergamena per scrivere, del latte per fare formaggio, del grasso per illuminare: innumerevoli greggi di pecore pascolavano sulle lande desolate. Avevano bisogno di molto pesce per i lunghi digiuni di Quaresima: si applicarono a farli proliferare nei loro fiumi e si deve loro l’idea della fecondazione artificiale.
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Oggi, per evidenti ragioni, i monaci non si danno più a questo genere di grandi lavori ma le loro attività restano numerose e diverse. Cito a caso: il lavoro della ceramica e dell’oreficeria (a Maredsous, Belgio e a Montserrat, Spagna), la stampa (Beuron, Germania Federale), la fabbricazione di succhi di frutta (Dendermonde, Belgio), gelatina di frutta e acqua di colonia (Hautecombe, Francia), liquori (Seregno, Italia), biscotti (Verneuil-sur-Avre, Francia), prodotti farmaceutici (Firenze, Italia), ceri (Egmond, Paesi Bassi), lattice (Wavreumont, Belgio), torrefazione del caffè (Clervaux, Lussemburgo), rilegatura (Farnborough, Gran Bretagna), un laboratorio di restauro di manoscritti e di libri antichi (Praglia, Italia), la direzione di un museo (Bologna, Italia), l’edizione di dischi (Klur Moussa, Senegal), ecc.
Non dimentichiamo l’apicoltura (Saint Benoìt-sur-Loire, Francia), l’agricoltura e l’allevamento (Fontgombault), le stazioni di sperimentazione agricola (Dzugbegan, Togo), la birreria e la formaggeria (Maredsous, Belgio). E, in tutt’altro campo, l’ospitalità, la direzione di ritiri spirituali, l’insegnamento, l’elemosina, l’azione pastorale, la pubblicazione di riviste.
Ma l’Opus manuum, voluto dalla regola e d’altronde indispensabile per la sussistenza dei monaci, rischiava per la sua pesantezza e le sue esigenze di restringere il tempo consacrato all‘Opus Dei o almeno di nuocere alla sua qualità. Costretti da queste due esigenze, i monaci impararono molto presto l’utilità dell’amministrazione e della tecnica.
Da qui la moltiplicazione nelle abbazie dei mulini ad acqua, questo primo grande passo avanti sulla via della tecnicizzazione dell’Occidente, e l’istallamento di officine di ogni genere: fonderie, oleifici, vetrerie, concerie, cartiere, tintorie, birrerie, formaggerie e più tardi stampe, di cui essi saranno tra i primi promotori, e tante altre cose ancora. Se scoprono qualche filone, per quanto magro, i monaci si lanciano nella metallurgia: una delle loro specialità sono gli attizzatoi del focolare.
Altri sfruttano le miniere di carbone, le torbiere, le miniere di ardesia, le cave di marmo o di pietra blu, le saline, i filoni di allume, gesso, argento, piombo, ecc…
Sarebbe più facile dire in quali campi, supposto che ve ne siano, i figli di san Benedetto non sono stati degli iniziatori, dei promotori o, almeno, l’equivalente, efficace, generoso e disinteressato, della nostra assistenza tecnica. In generale è lecito affermare, riprendendo una terminologia a noi familiare, che è la sovrastruttura religiosa, cioè la concezione cristiana dei rapporti dell’uomo con Dio che, nel caso dei monaci, fonda la sovrastruttura economica.
Anzi non sarebbe paradossale scrivere che nella storia dell’ordine benedettino l’infrastruttura è proprio il sentimento religioso, la fede, e la serie di attitudini e di comportamenti di fronte alla vita che essa ha dettato per secoli a decine di migliaia di uomini, e che il sistema e l’azione economica che ne sono risultati non ne sono che la proiezione e il riflesso incarnati. Almeno fino a quando il pensiero e la prassi economica non saranno secolarizzati (ma anche il processo di secolarizzazione si inserisce nel più profondo del messaggio cristiano).
Pubblichiamo alcuni stralci del libro di Léo Moulin, La vita quotidiana secondo San Benedetto, Jaca Book editore, 1980.