La vita monastica nel medioevo4: la democrazia monastica

Come sono governati i monaci? Come sono eletti oggi, come lo erano nel Medioevo coloro che hanno il compito di governarli? I sudditi hanno dei diritti o devono solamente obbedire perinde ac cadaver?

In questo campo le idee false e i pregiudizi la fanno da padroni. Ed è per questo che mi è sembrato necessario dire come funziona ciò che ho chiamato, con un termine un po’ provocante, la democrazia monastica.

1- Prima osservazione: la vita del religioso si svolge in un regime di stretto diritto, cioè in un sistema il cui spirito, struttura, funzionamento, meccanismi di decisione, sistema di elezione, diritti e doveri di ciascuno a cominciare da quelli dell’abate e fino ai mezzi di «revisioni costituzionali», sono minuziosamente previsti e definiti dalla regola.

Il monaco «milita sotto una regola e un abate» (c. 1,3). Se l’abate gli ordina qualcosa che gli sembra «impossibile» da eseguire, sia moralmente che fisicamente (c. 68), egli è autorizzato a presentargli le sue obiezioni, certo senza arroganza né spirito di contraddizione (non superbiendo vel contradicendo) e di resistenza sistematica (resistendo).

2- Altro principio democratico: quello della presenza della comunità e della partecipazione dei sudditi alle decisioni importanti. Tutto il capitolo terzo della regola è dedicato alla convocazione dei fratelli in consiglio: «tutte le volte che in monastero si devono trattare affari importanti, l’abate convochi tutta la comunità». Per gli affari di «minore importanza» sarà sufficiente il consiglio degli anziani: in ogni caso c’è consultazione.

Il superiore espone il problema che è all’ordine del giorno della riunione. Ognuno parla a turno «con tutta la sottomissione che l’umiltà infonde, senza avere la presunzione di difendere ostinatamente il proprio punto di vista». Quindi, dopo avere ascoltato i differenti pareri, l’abate «esaminerà la cosa a parte e agirà secondo ciò che gli apparirà più conveniente» o «più saggio» poiché è a lui che, secondo una buona logica, spetta decidere.

3- Terzo principio: quello dell’elezione con suffragio universale. Il capitolo 64 della regola afferma: «nel nominare l’abate si osservi sempre questa norma: sia costituito abate quegli che o tutta la congregazione, omnis concors congregatio si tratta dell’unanimità – avrà concordemente eletto abate, o la maggioranza. Principio affermato dalla Chiesa a partire dal v secolo e applicato da essa per l’elezione dei papi.

4- Quarto principio democratico affermato da San Benedetto: quello del merito. In questo stesso capitolo 64 che tratta della «nomina dell’abate» parlando delle qualità che devono essere ricercate nell’eligendo, egli scrive: «la scelta si farà secondo il merito della vita, la saggezza e la dottrina» (c. 64,5-8).

La regola non si occupa della tecnica delle operazioni elettorali. Ma la necessità di procedere ad elezioni libere e regolari e di sfuggire, per quanto era possibile, agli intrighi dei gruppi di pressione, indussero ben presto i monaci a redigere il più minuzioso e completo codice elettorale (il primo risale al 1254 ed è dovuto all’opera di Lawrence of Somercote). Nei consuetudinari si ritrovano tutte le tecniche elettorali e deliberative che ci sono divenute familiari e che non ci sono pervenute né dai comuni, né tantomeno dai greci e dai romani, ma dalle organizzazioni monastiche ed ecclesiastiche. Elenco qui: il principio dell’elezione a vita dell’abate, quello all’unanimità spontanea, per quasi inspirationem, quello della maggioranza assoluta.

Il modo dì contare i voti è cambiato molto. Si contavano sia le voci se lo scrutinio era fatto «da bocca a orecchio», nel qual caso gli scrutatores dovevano ponderare, scrutare (da cui la parola scrutinio) le intenzioni dei votanti, sia le ballottae, sassolini, pezzi di moneta, medaglie, fave rosse e bianche, ecc.

Si poteva anche votare restando seduti o alzandosi, alzando la mano (destra) o uscendo dalla sala capitolare da una porta o dall’altra (pedibus ire in sententiam), o anche «assentendo col capo».

Delle prescrizioni cosi minuziose non assicurarono sempre, tuttavia, elezioni libere e regolari (liberae et irreprensibìles), né dei buoni governanti. Il mondo secolare fece ben presto pesare sugli ordini e le abbazie le spaventose pressioni dei suoi appetiti e della sua volontà di potenza. Le abbazie erano dei poli di ricchezza e quindi di attrazione. Gli ordini si estendevano su tutta l’Europa, come avrebbe potuto la nobiltà non essere tentata di inserirvi i propri figli? Come gli altri ordini, i vescovi, i comuni avrebbero potuto resistere alla tentazione di impadronirsi di tali formidabili leve di potere?

I monaci impotenti, disarmati si videro ben presto Imporre come abati commendatari degli estranei, a volte anche dei fanciulli che, facendosi eleggere, non avevano altra intenzione che di godere in tutta serenità delle entrate dell’abbazia. Ciò significò la fine dell’osservanza e della regolarità. Poi vennero le riforme, le rivoluzioni con il loro seguito. Sfuggirono alla crisi solamente le abbazie troppo povere per suscitare delle tentazioni, o quelle più profondamente radicate nella solitudine. I grandi ordini — Cluny, Citeaux — fiorirono in congregazioni estese molto spesso su base nazionale e linguistica. I monaci soffrirono in silenzio attendendo tempi migliori.

Pubblichiamo alcuni stralci del libro di Léo Moulin, La vita quotidiana secondo San Benedetto, Jaca Book editore, 1980.

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