Le basi della Via della conoscenza. Perché mai l’uomo di fronte alla morte evita spesso d’interrogarsi su ciò che essa gli riserva? Tante teorie sono state fatte sul dopo morte e tante teorie sono state presentate all’umanità su ciò che sta al di là della fine dei vostri giorni nel tentativo di porre l’umanità di fronte al problema della propria scomparsa.
[…] Nessuna di queste teorie coglie veramente la sostanza, tutti concetti e approssimazioni assolutamente inefficaci dal punto di vista in cui si colloca la via della Conoscenza.
La morte per voi tutti è un passaggio o la scomparsa di un corpo o la paura di perdita del vostro io, cioè la paura della perdita delle vostre speranze, dei vostri desideri e delle vostre pulsioni.
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E ogni uomo la vive e la teme, e poi l’agogna quando ha compreso che la morte non c’è. Ma per voi la morte c’è, e allora, quando l’umano si approssima al proprio morire, scopre quanto sia importante e bella la vita, spesso nonostante le sofferenze, e scopre che la vita è ciò che non gli è mai stata presente.
Sempre è stata un passo più in là o un passo più indietro e gli è sempre sfuggita di mano, non essendo mai stata lì dove egli era.
E allora scopre che la vita bussava alle porte ma lui non ascoltava; scopre che la vita lo richiamava a sé mentre lui andava lontano; scopre che la vita gli gridava: “Sono qui, ora, adesso!”, mentre lui si faceva trasportare dalle sirene del passato o del futuro.
Quando voi vi approssimate alla vostra fine, tutto questo emerge e si presenta e chiede spiegazioni e chiede di essere attentamente considerato, ma a quel punto è ormai troppo tardi. E la vostra mente su questo “troppo tardi” costruisce la sua ennesima sconfitta, perché di fronte alla morte la vostra mente non ha più tempo di cogliere la vita, ma coglie la paura di perdere la vita o l’ansia di recuperare qualcosa della vita, però mai la vita.
La vita arde e voi la spegnete, rimandandola sempre al domani, inchiodandovi indietro, proliferando mille pensieri su che cosa sarà la vita e su che cosa sarà il domani, però questa non è vita, ma è la morte della vita.
La vita arde e, se vissuta realmente, brucia ogni ricordo e brucia ogni speranza per farvi godere soltanto la propria distruzione, poiché la vita arde soltanto nella propria distruzione, cioè soltanto nel proprio consumarsi e nel proprio svanire. Perciò esiste veramente solo la vita e il suo ardere, e non la vostra mente che giorno dopo giorno appiccica etichette sulla vita.
“La vita arde e voi la spegnete, rimandandola sempre al domani, inchiodandovi indietro, proliferando mille pensieri su che cosa sarà la vita e su che cosa sarà il domani, però questa non è vita, ma è la morte della vita.” Passaggio potente e forte invito ad aderire a ciò che la Vita ci presenta.
Sicuramente, portandoci la mente avanti e indietro, non siamo mai nel presente dove la vita accade, perciò non viviamo la vita ma ricorriamo la sua idea.
Messaggio potente che si avverte venire da altri livelli di conoscenza, consapevolezza e comprensione. Messaggio che richiama, attrae perché ha la risposta alla necessità fondamentale di vivere la vita che ciascuno porta in serbo. Mi vedo pienamente rappresentato nella descrizione formulata dal post. Ricordo che grazie al Sentiero riuscivo a godere della vita anche guardando un filo d’erba. Perché l’approccio non era solo visivo ma coinvolgeva l’intero essere grazie alla consapevolezza che si era allenata e grazie alla frequentazione delle sensazioni che sono la porta per l’essere. Poi mi sono perso, ma forse mai del tutto, ora sto cercando di ritrovare la via. Non nascondo però che mentre scrivo queste righe sono ancora nella dinamica del post. Mi ha dato serenità concludere dei conti di natura finanziaria e scoprire che le cose non dovessero andar bene ci sono dei paracadute che potrebbero funzionare. Questa serenità però non è la vita a cui fa riferimento lo scritto che sto commentando, ma è la conseguenza della proiezione mentale sul futuro. Eppure devo ammettere che questo tipo di serenità, fallace e vana perché non tiene conto della nostra impermanenza e di tante variabili imponderabili, eppure, dicevo, è una piattaforma di base che mi consente di cogliere la portanza del post e di rievocare l’esperienza del filo d’erba. Constato quindi quanto i discorsi siano compenetrabili e quanto, il risiedere ad es. nell’angoscia per la propria sorte materiale, possa essere una volta d’ostacolo all’esperienza dell’essere, e un’altra volta magari uno sprone. Non so se è una questione di intensità dell’angoscia stessa. Non lo escludo. Si sta un po’ così, come recita la poesia che racconta di foglie, di alberi e di autunno.