Genjōkōan: l’illusione della propria identità permanente [gk15]

15. Quando una persona viaggia imbarcata su di una nave, se guarda fisso la riva, pensa sia la riva a muoversi. Se tiene fissi attentamente gli occhi sulla nave capisce che è la nave a muoversi; allo stesso modo, se si esaminano in modo errato tutte le cose confusi a proposito del proprio corpo e spirito, ci si inganna facendo un soggetto permanente della propria identità individuale.  

人、舟にのりてゆくに、めをめぐらして岸をみれば、きしのうつるとあやまる。
Hito, fune ni norite yukuni, me wo megurashite kishi wo mireba, kishi no utsuru to ayamaru.

目をしたしく舟につくれば、ふねのすゝむをしるがごとく、身心を乱想して万法を辦肯(はんけん)するには、自心自性(じしんじしやう)は常住(じやうぢゆう)なるかとあやまる。
Me wo shitashiku fune ni tsukureba, fune no susumi wo shiru ga gotoku, shinjin wo ransō shite banpō wo benkō (hanken) suruni wa, shinjin jishō wa jōjū naru ka to ayamaru. 

Shōbōghenzō Genjōkōan, di E. Dōgen, traduzione inedita dal giapponese e commento di Jiso Forzani, con testo giapponese originale e traslitterato con la pronuncia.

Nella comprensione del Sentiero contemplativo.
La realtà come appare è determinata dalla sua percezione soggettiva, se non si ha chiaro questo si crede che la propria identità sia reale e permanente (quando è illusoria ed effimera).

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2 commenti su “Genjōkōan: l’illusione della propria identità permanente [gk15]”

  1. Se guardiamo le cose con la nostra identità è come se guardassi o muoversi la riva. Se la guardiamo col sentire, quello è il modo giusto.

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  2. La nostra identità cambia con il cambiare delle comprensioni, essendo essa una risultante dei vari corpi. Noi non dobbiamo indentificarci con questa “reazione”, ma dobbiamo lasciar fluire il sentire.

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