Solo io posso pagare il prezzo della mia realizzazione [zq8]

Charlotte Joko Beck, ZEN QUOTIDIANO
[…] Seguitando nella pratica, le illusioni vengono messe in discussione e ci accorgiamo che (orrore degli orrori!) la libertà esige un prezzo. Nessuno lo può pagare per noi. Capirlo fu per me uno dei colpi peggiori. Mi resi conto che solo io posso pagare il prezzo della mia realizzazione e nessun altro, nessun altro.

Finché non vedremo questa realtà faremo resistenza alla pratica, e anche dopo averla vista la resistenza continuerà, seppur indebolita. È una comprensione ostica da avere sempre davanti agli occhi.

Quali sono i più diffusi tentativi di non pagare il prezzo?
Il primo è il rifiuto di affrontare la sofferenza. Crediamo di poterla ignorare, evitare o cancellare dalla mente; speriamo che qualcun altro ce la tenga lontana. Riteniamo di avere il diritto di non provare il dolore della vita. Speriamo e tramiamo perché altri se ne facciano carico: mogli, mariti, amanti e figli.

È una resistenza che mina la pratica: “Questa mattina non mi siederò, non ne ho voglia“. “Non andrò alla sesshin, non mi piace quello che viene fuori”. “Non terrò a freno la lingua se sono arrabbiato, perché dovrei?”.

[…] Nessuno, assolutamente nessuno può vivere la nostra vita al nostro posto. Nessuno può sostituirci nella sofferenza. Il prezzo da pagare per crescere l’abbiamo sempre davanti agli occhi, e non ci saremo consegnati con sincerità alla pratica finché non capiremo che non siamo disposti a pagarne il prezzo.

Purtroppo, continuando a mettere in atto i meccanismi di fuga, ci tagliamo fuori dalla bellezza della vita e da ciò che siamo.

Cerchiamo di aggrapparci a chi immaginiamo possa mitigare il nostro dolore. Ce ne appropriamo, lo teniamo stretto, lo spingiamo proditoriamente a prendersi cura della nostra sofferenza. Ahimè, non ci sono sconti, non ci sono regali. Un gioiello di grande valore non è mai in offerta. Dobbiamo guadagnarcelo con una pratica ferma e inflessibile.

Dobbiamo guadagnarcelo momento per momento, e non solo nel ‘campo spirituale’. Mantenere gli impegni verso gli altri, metterci al servizio degli altri, sforzarci all’attenzione richiesta nelle diverse circostanze della vita: tutto ciò è pagare il prezzo del gioiello.

[…] Scopriamo che il nostro dolore e il dolore degli altri non sono mondi separati. “La mia pratica (in alcuni passaggi per pratica l’autrice intende la pratica della vita, ndr) è mia e la loro è loro”. Non è così. Se ci apriamo veramente alla nostra vita, ci apriamo a tutta la vita. L’illusione della separatezza si dissolve pagando il prezzo di una pratica sollecita. L’illusione viene vanificata quando comprendiamo che l’alto prezzo da pagare nella pratica non è solo per noi stessi, ma per tutti quanti.

[…] Pagare il prezzo implica dare ciò che la vita domanda […] anche in termini di tempo, denaro e beni materiali; e a volte non dare quando è meglio non farlo. Lo sforzo della pratica sta nel capire ciò che la vita ci richiede, spesso l’esatto contrario di quello che vorremmo dare. Non è facile. Ma è il prezzo da pagare per avere il gioiello.

Non possiamo limitare la pratica al tempo dedicato allo zazen, benché sia essenziale. Il compito (pagare il prezzo) va svolto ventiquattro ore al giorno.

Continuando a lavorare in questa direzione, apprezzeremo sempre meglio il gioiello della nostra vita. Ma se insistiamo nel lamentarci e rammaricarci della nostra vita come se lì stesse il vero problema, e se passiamo il tempo a cercare di fuggire da questo problema immaginario, il gioiello rimarrà per sempre nascosto.

Charlotte Joko Beck, ZEN QUOTIDIANO, Amore e lavoro, Ubaldini, Roma.
La prefazione al libro e la presentazione di Charlotte.
Qui puoi scaricare il libro (non so come academia.edu e l’autore del caricamento risolvano il problema del copyright).
In questo post e nei successivi sono riportati solo alcuni brani del volume.


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6 commenti su “Solo io posso pagare il prezzo della mia realizzazione [zq8]”

  1. “Dare ciò che la vita domanda”
    È discernimento continuo: a volte chiarissimo, a volte meno e spesso in questa seconda opzione fattori identitari si frappongono.

    Sempre alta l’asticella dell’attenzione!!

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  2. Così è. Resistenze di ogni sorta emergono ogni giorno, ogni ora. La pratica dello zz non cerca un modo di evitarle, al contrario ci predispone ad accoglierle, affrontarle. Come?
    Perché quelle resistenze parlano di noi, dei nostri limiti, sono il nostro personale modo di evitare quello che in altri luoghi si è definito essere l'”effimero della vita”.

    Rispondi

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