Cosa non è la pratica dello zazen [zq4]

Da Charlotte Joko Beck, ZEN QUOTIDIANO.
[…] Prima di tutto, la pratica non mira a produrre un cambiamento psicologico: se pratichiamo con intelligenza, il cambiamento psicologico interverrà da sé. Non metto in discussione che si produca, anzi è meraviglioso; ma intendo mettere in chiaro che la trasformazione psicologica non è lo scopo della pratica.

La pratica non consiste in una comprensione intellettuale delle leggi fisiche, come la natura e il funzionamento dell’universo. Comprensioni di questo tipo potranno nascere in una pratica seria, ma non ne rappresentano lo scopo.

La pratica non è diretta a ottenere stati di beatitudine. Non va in cerca di visioni o di luci bianche (o rosa, o azzurre). Sono fenomeni possibili, e sedendo a lungo si produrranno, ma non rappresentano lo scopo della pratica.

La pratica non mira ad acquisire o coltivare speciali poteri. […]

La pratica non mira a sviluppare il potere personale (jóriki), quel tipo di forza che si accumula in anni di sedute. Il jóriki è un sottoprodotto spontaneo dello zazen, ma non è la via.

La pratica non consiste nel provare sensazioni belle e piacevoli. Non si tratta di sentirci bene invece di sentirci male. Non è un tentativo di essere qualcosa di speciale o di provare particolari sensazioni. Lo scopo, il punto, la materia della pratica non sta nell’essere incrollabilmente calmi e raccolti. Anni di esercizio ci daranno queste qualità, ma non rappresentano lo scopo della pratica.

La pratica non vuole indurre una condizione fisica di salute e invulnerabilità, senza più fastidiose indisposizioni. Molti sperimentano effetti fisici salutari, anche se si possono verificare periodi, mesi o anni, di avversità fisiche. […]

La pratica non consiste nell’ottenere l’onniscienza […] Si può sviluppare maggiore chiarezza riguardo a certi problemi, ma sappiamo che anche le persone intelligenti dicono e fanno sciocchezze. L’onniscienza non è lo scopo.

La pratica non consiste nell’essere ‘spirituali’, per lo meno nell’accezione comune del termine. La pratica non mira a essere nulla. Se non comprendiamo che non possiamo mirare a essere ‘spirituali’, questo può rivelarsi un obiettivo seducente e pericoloso.

La pratica non consiste nel mettere in rilievo i lati ‘buoni’ e sbarazzarci di quelli ‘cattivi’. Nessuno è ‘buono’ o ‘cattivo’. Lo sforzo di diventare buoni non è la pratica, ma una forma sottile di competizione.

La lista di cosa non è la pratica potrebbe continuare all’infinito. Tutti soffriamo, chi più chi meno, di queste illusioni. Tutti speriamo in un cambiamento, speriamo di arrivare da qualche parte. È appunto l’illusione di fondo. Ma basta contemplare questo desiderio per incominciare a illuminarlo, e la pratica si modifica. Cominciamo a capire che l’affanno di diventare migliori, di ‘arrivare da qualche parte’ è un’illusione, e causa di sofferenza.

Charlotte Joko Beck, ZEN QUOTIDIANO, Amore e lavoro, Ubaldini, Roma.
La prefazione al libro e la presentazione di Charlotte.
Qui puoi scaricare il libro (non so come academia.edu e l’autore del caricamento risolvano il problema del copyright).
In questo post e nei successivi sono riportati solo alcuni brani del volume.


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5 commenti su “Cosa non è la pratica dello zazen [zq4]”

  1. Perseverare nello Zz, sapendo che non c’è scopo.
    Già questo demolisce molte delle strutture mentali su cui spesso ci appoggiamo.

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  2. Leggendo è venuto in mente un fratello che, un giorno mi disse di aver abbandonato la via, perché stanco di aspettare il cambiamento che mai è arrivato…

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  3. Come si dice nella chiusura tutti soffriamo delle illusioni che sono elencate in quella “lista”. Occorre attraversarle tutte quelle illusioni e forse anche più volte per comprendere davvero lo zz.
    E per attraversarle non c’è altra via che praticare, praticare, praticare.

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  4. Mi piace come scrive. (Mi assumo la responsabilità del giudizio :-))
    È autentica, semplice. Leggerla mi consola.

    Senza scopo.
    Senza obiettivi.
    È l’opposto della vita a cui pensavamo di dover tendere, del modello nella materia, del trionfo delle dinamiche identitarie.

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