Prendo lo spunto da questo tweet di Enzo Bianchi: Amico, vigila sui tuoi pensieri perché i pensieri diventano parole, vigila sulle tue parole perché le parole diventano azioni, vigila sulle tue azioni perché le tue azioni diventano il tuo comportamento il tuo stile, la tua persona.
Ho diverse cose da aggiungere, innanzitutto: le tue intenzioni divengono la tua persona.
È dalle tue intenzioni che sorge il tuo pensiero e la tua azione, e le intenzioni sono figlie del compreso e del non compreso.
Siccome il compito di una vita non è quello di mostrare il compreso, ma quello di lavorare il non compreso, ecco allora che le nostre intenzioni saranno sempre spurie, condizionate da un limite di comprensione.
Ed ecco che – se non vogliamo passare la nostra vita a rimproverarci i limiti e le miserie – comprendendo che non mostriamo in una incarnazione il meglio, ma il più limitato, possiamo fare pace con il processo esistenziale nel quale siamo immersi.
Questo se abbiamo ben presente che tutto parte dall’intenzione e dal condizionamento che porta con sé: se invece coltiviamo la convinzione che è nel pensiero, nella parola, nell’azione che risiede il problema, cercheremo di correggere, di contenere, di moderare e di censurare quelle espressioni di noi con effetti nefasti.
È come voler canalizzare in un alveo stretto e artificiale un fiume che è avvezzo a scorre libero e fluido: non funzionerà, esonderà e procurerà danno.
Comprendendo che la questione del proprio limite va affrontata al livello dell’intenzione, dunque della coscienza e delle comprensioni, non-comprensioni che in essa risiedono, è possibile evitare il processo del contenere/disciplinare/censurare e questo perché, a priori, si è visto, considerato e integrato il limite.
Esiste, come ho molte volte scritto, il problema di una ecologia delle mente, delle emozioni, delle azioni, ma è una ecologia che funzione se è preceduta e sostenuta da un atto di compassione verso sé: compassione che sorge naturale se si è in grado di spiegare in modo credibile il perché del proprio incedere incerto, di alcuni grovigli e difficoltà, delle numerose e ripetute cadute.
Questa spiegazione data a monte, considerando i limite del proprio sentire, ci libera dal rimprovero, dalla censura e dal senso di colpa e ci copre con il velo della compassione: facciamo quello che possiamo, viviamo intenzioni, pensieri, parole, azioni così come ci è dato viverli; procediamo; cadiamo e ci rialziamo, siamo piccoli e limitati umani.
Quando la compassione si tramuterà in eccesso di accondiscendenza verso il nostro limite, le scene della vita apporteranno la correzione necessaria.
Il sentire si amplia solo attraverso le esperienze, l’intenzione muta se il sentire si amplia: non è il controllo, per quanto necessario, che ci farà evolvere, né lo è la censura, né il senso di colpa; l’esperienza del limite, il suo ferirci ci insegnerà.
Parole illuminanti e confortanti, da tenere bene presenti nei momenti in cui il senso di colpa e di inadeguatezza si fanno avanti. Grazie.
“Quando la compassione si tramuterà in eccesso di accondiscendenza verso il nostro limite, le scene della vita apporteranno la correzione necessaria.”
La consapevolezza della possibilità di quelle correzioni sono il testimone di una prima bozza velata di comprensione acquisita che necessita di ulteriori dati ma che c’è già in embrione.
Questa è anche quella terra di confine di cui parlava Marco ed è qui il luogo della nostra officina.
Quelle correzioni hanno un portato carico di significati: sapevamo, fiutavamo già qualcosa ma abbiamo dovuto eccedere nella accondiscendenza del limite per avere la conferma che potevamo far melgio.
Quante volte personalmente ho preferito perseguire il limite piuttosto che fermarmi un attimo prima. Occorre tanto ritorno a zero.
Dovremmo prestare più attenzione a questo fiuto che può evitarci sonore stangate, ma noi se tutto fila liscio non gli diamo la giusta importanza..
Grazie.
Ora è chiaro.
Grazie Roberto
E’ rasserenante questo post….se la compassione in primis e’ verso se stessi obbligatoriamente lo sara’verso gli altri.
Grazie
Grazie Roberto, questo è un insegnamento davvero chiaro che mi aiuta far luce su alcuni tratti caratteriali.
Leggendo i commenti non mi è però del tutto chiara la risposta che hai dato a Nadia: cosa intendi per “programmi interiori che viaggiano nel subconscio finché non emergono attraverso qualche simbolo”?
Convinzioni date per assodate e mai messe in discussione; visioni stereotipate accettate senza discutere; visioni di sé e dell’altro, svalutative o celebrative, mai viste abbastanza e mai dubitate; siamo intrisi di programmi e programmazioni che operano per via subconscia e ci condizionano senza che possiamo intercettarle, almeno fino a quando la nostra consapevolezza non si è sufficientemente risvegliata..
Grazie.
Userò la ì accentata perchè la tastìera non funzìona pìù bene.
Rìsuona questo passaggìo:
…se invece coltiviamo la convinzione che è nel pensiero, nella parola, nell’azione che risiede il problema, cercheremo di correggere, di contenere, di moderare e di censurare quelle espressioni di noi con effetti nefasti…
E’ possìbìle contenersì, moderarsì al punto dì non rendersene nemmeno conto?
Si, certamente, ci sono programmi interiori che viaggiano nel subconscio finché non emergono attraverso qualche simbolo..
Molto bello e liberatorio! Parole per andare oltre l’ipocrisia, il moralismo e perbenismo, verso il superamento del duale attraverso l’accoglienza e la comprensione del limite. Grazie!
“Siccome il compito di una vita non è quello di mostrare il compreso, ma quello di lavorare il non compreso, ecco allora che le nostre intenzioni saranno sempre spurie, condizionate da un limite di comprensione.
Ed ecco che – se non vogliamo passare la nostra vita a rimproverarci i limiti e le miserie – comprendendo che non mostriamo in una incarnazione il meglio, ma il più limitato, possiamo fare pace con il processo esistenziale nel quale siamo immersi.”
Questo passaggio è per me, particolarmente significativo. Grazie.
Molto bello, e molto pacificante. Proprio ieri pensavo a questa immagine: tutti noi abbiamo un certo tasso di comprensioni e un certo tasso di non comprensioni, ma c’è anche, come dire, una terra di confine, costituita da quelle comprensioni parziali e non comprensioni che vengono lavorate in questa incarnazione, portando le prime a compimento e trasformando le altre in comprensioni verosimilmente parziali, che verranno lavorate nella prossima incarnazione. E’ da questo terreno spurio, credo, che sorge quell’intenzione, anch’essa necessariamente spuria, di cui parli nel post.
Grazie
Grazie per il questo tuo sguardo libero dai lacci censori della Legge, o dai miasmi delle nostre paure.
A volte il controllo può derivare dalla comprensione, magari ancora incompleta ma già sufficiente, che determinati comportamenti possono ferire l’altro o rappresentare manifestazioni di un grado limitato d’amore. Es. mi verrebbe di prendere a male parole una persona ma mi contengo, mi controllo, per non dar modo all’onda emotiva del momento di prendere il sopravvento e sfociare in atteggiamenti eccessivi.
Infatti, come hai scritto, una certa misura di controllo resta necessaria, ma probabilmente si tratta di quel controllo integrato nelle comprensioni acquisite o acquisende.
C’è anche il controllo legato all’adesione ad un certo mondo di valori, forse archetipi, tale per cui magari non so perché “devo santificare le feste” ma mi conformo perché trattasi di un dettame, di un sistema di valori, in cui sono stato cresciuto.
Per Samuele.
Le sfumature sono molte, le variabili anche, la sostanza è che nessuno fluisce in maniera diretta, tutti esercitiamo un controllo di vario grado e questo è naturale.
Ciò che fluisce, e ciò che è controllato sono comunque conseguenza delle intenzioni e del compreso, come giustamente affermi.
Nella disposizione contemplativa tutto questo non vale più, il filtro viene ridotto al minimo, o scompare..
Niente da aggiungere. Dobbiamo vigilare sulla tendenza a soffermarci sui sintomi piuttosto che risalire alle cause