L’amore, il suo processo, la gratuità

“Se sarai capace di amare senza essere riamato” dice Kempis.
Nei vangeli abbondano i detti di Gesù che invita all’amore senza attendersi ritorno.
Voi sapete che io non amo gli assoluti e dunque della espressione di Kempis sottolineo il processo che implica, lasciando la perfezione che prefigura a Dio.
In quante situazioni la complessità del rapporto ci induce a dare, ad offrirci senza avere una corrispondenza nel ricevere?
Stiamo dando per ricevere? La questione potrebbe essere molto più complessa: potremmo dare nel tentativo di instaurare una relazione, uno scambio, una possibilità di crescita comune. Potremmo investire in un rapporto convinti di voler realizzare una officina esistenziale con l’altro e continuare a dare anche quando l’altro è reticente, vivendo inevitabilmente una frustrazione conseguente.
Un rapporto ha bisogno di almeno due artefici, di due che investano, di uno scambio, di qualcosa che esce e di qualcosa che torna: così è nell’umano, nel divenire finché esiste anche solo un briciolo di identità.
Se c’è solo dare, non c’è rapporto, non è una relazione, è qualcosa che nell’umano non ha senso: nella più semplice delle ipotesi è un flusso unidirezionale, ma il divenire non funziona così e neppure le leggi che governano il duale.
Allora forse l’espressione vuol significare che la relazione esiste comunque e a prescindere e sottolinea che dobbiamo essere capaci di viverla dando senza aspettarci nulla in cambio. Questo ha un senso.
Comunque, mi sembra che si possa approfondire l’analisi.
Ci sono situazioni in cui si può imparare a dare senza attendersi niente in cambio.
Ci sono altre situazioni in cui si può amare qualcuno senza coltivare nessuna particolare aspettativa di essere riamato.
Ci sono infine situazioni in cui relazioni che hanno un valore esistenziale definito implicano uno scambio, un dare ed un avere per assolvere alla loro funzione trasformatrice.
In una coppia, i partner per una lunga stagione hanno domande reciproche, esigenze a cui bisogna rispondere; così è negli ambienti di lavoro, ed anche in una comunità spirituale.
Poi, nella coppia come nella comunità spirituale, viene un tempo in cui non si chiede più niente all’altro, semplicemente lo si accoglie nel suo essere e ci si mette a disposizione nella gratuità: questo accade alla fine di un processo esistenziale, dopo essersi macerati nella fase delle domande, dei bisogni, delle responsabilità ed infine aver visto nascere nel proprio intimo la gratuità.
Il divenire ha un sua funzione e il processo dell’imparare la gratuità è tutto interno al divenire: quando fiorisce l’essere, l’amare senza essere riamati è il frutto maturo del processo, da esso preparato lungamente.
Dire all’umano che deve amare senza essere riamato, significa certamente indicargli l’orizzonte verso cui orientarsi, ma può anche ostacolarlo: dargli un obbiettivo grande che lo farà sentire semplicemente e inevitabilmente inadeguato se non si sottolinea innanzitutto il processo che a questo conduce; ho in mente l’orrido uso che i cristiani hanno fatto dell’insegnamento del Cristo.
Suggerire alla persona di imparare ad amare, significa invece indurla a misurarsi con i processi alla fine dei quali incontrerà naturalmente la gratuità.
Dio ama senza essere riamato: l’umano vive il processo dell’amore che germoglia nella gratuità.
Se riconosciamo che il divenire ha una funzione, allora dobbiamo riconoscerlo anche in questo caso e rinunciare alla nostra sentenza: l’amore gratuito, l’essere, diviene possibile grazie al processo dell’imparare ad amare che altro non è altro che imparare a superare il proprio egoismo, la propria paura, il proprio narcisimo.
L’amore è sempre stato lì e non è né gratuito, né non gratuito: è stato velato dal nostro sguardo torbido e si è svelato solo quando i nostri occhi sono divenuti chiari passando attraverso i processi del divenire.
L’umano funziona così: vive l’illusione del divenire per scoprire la natura dell’Essere. Vero è solo l’Essere, ma vero sembra anche il divenire fino a quando non lo si è conosciuto e non si è dischiusa la comprensione dell’Essere che svela la natura dell’illusione.
Non si può dunque dire all’umano che la vita è divenire ed essere e poi scodellargli l’assoluto al quale può accedere solo quando risiederà nell’Essere.
Ci sono linguaggi adatti ai bambini nel sentire e altri agli adulti nel sentire: l’adulto sa di cosa parli quando gli dici di amare senza essere riamato e può lavorarci con dedizione vedendo come nel suo quotidiano si introduce la finalità, il bisogno che appanna o annienta la gratuità.
Il bambino nel sentire ha bisogno di un altro messaggio, che lo incernieri nel divenire, nel rapporto di scambio e di relazione, nelle responsabilità che implica, nel processo che comporta la sua trasformazione interiore;
ha bisogno che lo inviti e lo educhi progressivamente al servizio;
infine ha bisogno anche che gli indichi l’orizzonte, il poter vivere in sé la suggestione dell’archetipo permanente che lo ispira.
Rimane, per chi scrive, lo stupore per lo scenario ampissimo che si presenta quando si è consapevoli che ogni situazione di vita richiede un comportamento differente: c’è la situazione della gratuità estrema e quella che deve implicare uno scambio, un dare e un avere perché così è necessario per lavorare aspetti di sé, o dell’altro.
La persona evoluta non è quella che dà e si relaziona nella piena e assoluta gratuità a prescindere, è quella che nel proprio intimo vive quella gratuità, quella libertà dal bisogno di ricevere, di essere ricambiato e che nella relazione è capace di vedere le aree di sé da condurre a perfezionamento in merito a questo, e vede altrettanto lucidamente di cosa l’altro ha bisogno e di come, non di rado, il messaggio migliore da dare non sia:” Questo è gratuito!”, ma: “A questo che ricevi deve corrispondere un tua assunzione di responsabilità!”.
La persona dunque finisce per muoversi in una complessità di processi dove coesistono:
– il compreso che genera gratuità pura;
– il parzialmente compreso che genera gratuità spuria;
– il non compreso che genera richiesta, scambio, necessità di reciprocità;
– il compreso che genera gratuità interiore, ma situazione di richiesta e di reciprocità nella relazione perché questo è necessario all’altro, o ad aspetti residuali del proprio non compreso.
Ci sono infine situazioni in cui la gratuità non va evocata: alcune persone sono in relazione per ragioni profonde, inconsce ed esistenziali, karmiche e il loro rapporto ha bisogno di una reciprocità che, certo, deve evolvere verso la gratuità, ma ha una componente nel divenire che deve compiersi attraverso i processi e che non può essere messa in discussione, né bypassata.


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14 commenti su “L’amore, il suo processo, la gratuità”

  1. Ci sono stati bisogni, che creando resistenze, si sono piegati, con difficoltà ma si sono piegati, altri me li porto dietro da lungo tempo.
    Ora comprendo che fanno parte di situazioni di una relazione esistenziale che implica uno scambio, un processo lungo e faticoso che sta dando i suoi frutti.
    Grazie!

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  2. “Dio ama senza essere riamato: l’umano vive il processo dell’amore che germoglia nella gratuità”
    Tema molto sentito. Grazie per la grande chiarezza che porti con questo post.

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  3. “Rimane, per chi scrive, lo stupore per lo scenario ampissimo che si presenta quando si è consapevoli che ogni situazione di vita richiede un comportamento differente”

    Questo passaggio mi è esploso dentro
    Grazie

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  4. Per la serie: “non esistono ricette”! Leggo e sento tanta chiarezza in questo post….pur nella difficoltà di discernere dove siamo nel processo che stiamo vivendo e dove è l’altro. L’osservazione si affina nel procedere…..Grazie

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  5. Spesso, quando azzardiamo delle affermazioni, rispondi, la realtà è più complessa. Qui ce ne dai un esempio molto calzante. Quante volte mi fermo ad analizzare solo un aspetto di un accadimento, di un processo, dimenticandomi che vanno tenuti insieme i due aspetti del divenire e dell’essere. Grazie per questo post, che tratta aspetti di me sicuramente da approfondire e chiarire.

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  6. Grazie per la chiarezza e completezza dell’analisi, la condivido in toto.
    Riguardo ai cristiani, è diffusa in tanti di loro la pratica dell’indicare l’orizzonte senza saper fornire indicazioni concrete della via per camminare verso di esso. Anche chi è “arrivato” (sempre in modo relativo) alla gratuita’, nella sostanza non sa dare indicazioni valide per seguirne la strada. Solitamente ti dicono di pregare, ma senza sapertelo insegnare

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  7. “..lo stupore per lo scenario ampissimo che si presenta quando si è consapevoli che ogni situazione di vita richiede un comportamento differente”
    Condivido molto, uno sguardo verso l’orizzonte e uno connesso, il più possibile, con l’immediatezza del divenire che chiede risposte pertinenti, non ideali.
    La meccanica della mente nel trovare soluzioni valide standardizzate e a sposare l’idea piuttosto che piegarsi all’adesso sempre nuovo costituisce gran parte del lavoro da fare.

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