Conoscenza di sé, consapevolezza e lotta interiore

[…] La lotta spirituale mira, secondo la tradizione cristiana, a custodire la “sanità spirituale” del credente. Disciplina indubbiamente faticosa, ma capace di trasformare la fatica in bellezza, qualità della vita autentica e della convivenza. Le è necessaria la resistenza spirituale nei confronti di pulsioni, suggestioni, ossessioni che sonnecchiano nel profondo del nostro cuore, ma che sovente si destano ed emergono con una prepotenza aggressiva che le rende per noi tentazioni seducenti. Se il fine della lotta spirituale è l’apatheía, questa va intesa non nel senso dell’impassibilità, ma dell’assenza di patologie: così questo combattimento quotidiano mette in atto la valenza terapeutica della fede. Essendo la vita spirituale una realissima e concretissima vita, essa deve essere nutrita e corroborata per poter crescere e dev’essere curata quando è minacciata nella sua integrità.

Occidente ed Oriente cristiano hanno codificato ambiti e spazi in cui va esercitata tale lotta per mantenere sempre il credente in un sano atteggiamento di comunione e non di consumo. E le diverse tradizioni spirituali hanno anche indicato molto concretamente le modalità di tale lotta, a cominciare dall’indispensabile apertura del cuore in una relazione di fiducia con un “anziano”, un “padre” spirituale. Ad essa si uniscono la preghiera, l’ascolto e l’interiorizzazione della Parola di Dio e una vita di relazione, di carità intensa e autentica. Questa lotta esige poi una grande capacità di vigilanza su di sé e sui molti rapporti che si intrattengono e sui quali può innestarsi la tentazione,nelle sue molteplici forme che abbracciano la molteplicità dei rapporti antropologici fondamentali. Il rapporto col cibo, col proprio corpo e la propria sessualità, con le cose (in particolare i beni, il denaro), con gli altri, con il tempo, con lo spazio, con l’operare e, infine, con Dio. Sempre, in tutti questi ambiti, la tentazione si configura come seduzione di vivere nel regime del consumo invece che in quello della comunione. Chi è sperimentato nella vita spirituale sa che questa lotta è più dura di tutte le lotte esterne, ma conosce anche il frutto di pacificazione, di libertà, di mitezza e di carità che essa produce. È grazie ad essa, infatti, che l’amore, ogni nostro amore viene purificato e ordinato.
Fonte: Enzo Bianchi, La Stampa 16.9.2016

Non so in quale epoca viva Enzo, ma certo bisognerebbe ricordargli che da più di un secolo sono state gettate le basi della conoscenza del profondo, dell’indagine su di sé e sulle cause e le ragioni di certa nostra vita pulsionale. In oriente questo è oggetto di indagine dalla notte del tempo.
In tutto l’articolo mai ricorrono i termini conoscenza di sé, indagine su di sé, consapevolezza delle origini e delle ragioni dei propri pensieri, emozioni, comportamenti.
Ricorre invece il termine lotta, frequentemente: esattamente, forse, il meno opportuno.
Quando, secondo la nostra visione, la lotta interiore è necessaria?
– Solo dopo aver indagato l’origine dei propri pensieri, emozioni ed azioni.
-Solo dopo averne compreso il simbolo, il non compreso che esso porta alla luce.
– Solo dopo aver provato a disconnettere quella modalità e aver fallito.
– Solo dopo aver compreso che non si può disconnettere ciò che non si è compreso: si comprende attraverso l’esperienza e se qualcosa torna e ritorna significa che c’è un deficit di comprensione e quindi di esperienza.
– Quando l’esperienza sembra aver prodotto la giusta comprensione, allora la disconnessione può essere proficuamente attuata se permangono tracce di abitudine mentale, zavorra oramai emancipata dalla comprensione; allora la disconnessione si può insistere e può, talvolta, assumere l’aspetto della lotta.
Questa è, secondo la nostra esperienza, la sequenza consigliabile nei momenti in cui ci troviamo a fare i conti con pulsioni, fantasmi, cristallizzazioni, propensioni distruttive, nevrosi di vario genere.
E’ nel conosci te stesso la chiave: sarebbe interessante indagare il perché Enzo rifugge da questa espressione e, sembra, da questa pratica. Ma non è affar nostro.
Noi diciamo che tutto trae origine da un limite di comprensione e che su quello va focalizzata l’indagine che mai deve essere inquisitoria, anche se spesso è comunque dolorosa.
La prima compassione è quella verso se stessi e da quella sorgerà la compassione per l’altro: lo sguardo profondo sul proprio limite non deve divenire castrazione, come non deve essere superficiale assoluzione.
C’è una via di mezzo che è appunto quella della conoscenza, della consapevolezza e della giusta compassione per sé.
Non escludo da questo orizzonte la lotta interiore, ma la colloco solo al termine del processo e solo in relazione ad alcune cristallizzazioni incistate nelle abitudini della mente.


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2 commenti su “Conoscenza di sé, consapevolezza e lotta interiore”

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