Il letamaio, il monachesimo nuovo

Le menti sono organismi che si adattano, se vivono in un letamaio alla fine non ne sentono più l’odore.
Vi racconto un fatto, vero e semplice: due bambini, fratelli, si stanno azzuffando per gioco. La nonna interviene per separarli, il più grande dice: “Nonna, lasciaci liberi!”. La nonna: “Da grandi sarete liberi!”. Allora interviene il più piccolo, 5 anni: “Bella libertà la vostra, lavorate sempre!”.
All’inizio della mia vita, quando ero un ragazzo, mi era chiaro che non volevo vivere in batteria, come un pollo, stretto nella morsa dei ritmi del lavoro e dei bisogni da ignorante e inconsapevole, costretto ad una normalità abbruttente fatta di valori che per me non significavano niente.
Appena dopo pochi anni comincia la militanza politica, non a caso nell’anarchismo che si era configurato ai miei occhi come il primo orizzonte non condizionato dai miti del lavoro, della famiglia, della normalità.
Non desideravo essere normale e mi ripugnava la normalità. Oggi non posso dire che mi ripugna, ma che è una strada molto lontana da me, questo si, lo posso dire.
Cos’è la normalità? L’abitare in un letamaio e non sentirne più l’odore.
Accettare il lavoro e i suoi ritmi assurdi, la vita e i suoi riti privi di senso, le religioni e le loro banalità soffocanti, le discriminazioni quotidiane di tutti i soggetti che nel registro dei normali non sono iscritti, non accorgendosi che questa presunta normalità è, in realtà, una mostruosità.
Ma se tutto è mostruoso, la mostruosità diviene normale.
Definisco mostruoso mettersi ed essere messi nella condizione di discriminare l’altro, di escluderlo, di allontanarlo, di non dargli una possibilità.
Considero mostruoso l’esodo dei migranti e il nostro chiudere le porte per difenderci, il non essere capaci di trovare una soluzione a monte che possa fermare le guerre nei loro paesi e permettergli di rimanere là dove hanno affetti e cose.
Considero mostruoso che una persona sia massacrata dai turni di lavoro fino a veder annientata la propria vita.
Considero mostruosa l’immensa distesa di cibi, vestiti, oggetti e fesserie che ad ogni angolo vengono venduti: vivere per produrre e consumare l’inutile distruggendo la terra su cui appoggiamo.
Considero mostruosa l’emarginazione di tutti coloro che non superano i test della normalità.
Potrei continuare, ma non lo farò: la cosa che più mi duole è vedere le persone che hanno la necessità di organizzare il piccolo teatro della loro vita e gli altri, i più, amorfi e indifferenti, che voltano loro le spalle per tenersi la quiete della loro vita mortifera.
Lavorare, mangiare, copulare, andare all’ipermercato, lasciare in pace la casta dei manovratori: la sintesi della civiltà.
Questo è ciò che mi attraversava a 17 anni ed è ciò che mi attraversa a 63, non mi sono piegato e non mi sono adattato.
In quasi mezzo secolo di attività rivolta al sociale, ho tentato tutte le vie e le possibilità per rendere la mia vita e l’altrui non normali: ci sono riuscito, la mia vita è fuori dall’assurdo della normalità, ma questo non può bastarmi, una spinta mi conduce verso l’altro, una spinta d’amore.
Non è compito mio liberare qualcuno, le persone si liberano da sé, anzi, le libera la vita.
Compito mio può essere accendere una lampada che indichi al pellegrino una direzione possibile; può essere rendere una testimonianza che chiarisca ad un altro quanto già, nel suo intimo, va comprendendo.
Parlo di un nuovo monachesimo: si, l’ultima e definitiva rivoluzione, lo scoprire, il far vivere, il concedere spazio a quella dimensione del proprio interiore che non vuole, non desidera, non ambisce ma si apre sull’infinito mondo dello stare, dell’essere, del vivere l’immenso spazio del presente.
Non sono più in ragazzo, non penso più ad una risposta politica come soluzione: so che la risposta è nell’interiore e che la politica intesa come governo del bene comune, dall’interiore e dalla sua conoscenza deve sorgere.
Uomini liberi, generano società libere: uomini schiavi dei propri bisogni, generano il letamaio che chiamiamo civiltà.
Ora, questo letamaio, in sé, è quel che è, ed è perfetto. Dati certi sentire che attraversano le coscienze dei singoli e dei popoli, il risultato non può che essere questo.
Il fatto che il letamaio sia perfetto non toglie nulla al fatto che letamaio è.
E che qualcuno, che del letamaio non sente di fare parte, così lo possa definire.
Va forse ricordato che quella del letamaio è una perfezione relativa: dati sentire di coscienza, portatori di un certo limite, producono una situazione collettiva caratterizzata da certe note di fondo che qui prendono la forma dell’olezzo del letamaio. Altri sentire, connotati da altra ampiezza, generano situazioni molto diverse e con olezzo differente.
La compassione e il suo esercizio, non impediscono di vedere l’umiliazione della dignità dell’umano che ad ogni passo e respiro viene compiuta nel mondo dei normali.
E’ formativa quella umiliazione? Certo! E’ necessaria all’umiliato e all’umiliatore? Certo, se non fosse necessaria non accadrebbe.
Se dentro di voi vivesse la consapevolezza lucida e profonda di ciò che è la vita non condizionata, e vedeste attorno a voi l’infinita estensione del condizionato, che cosa sareste indotti a pensare, a fare?
Io sono indotto a testimoniare in modo discreto il non condizionato, così come è possibile a me, così come l’ho compreso e lo posso sperimentare nel quotidiano; e sono indotto anche a dire ad altri – che quel non condizionato, nel grado a loro possibile, hanno conosciuto – poniamo le nostre vite in relazione, il cammino è lungo, il mondo lontano, riconosciamoci e diciamoci parole di rispetto, coltiviamo pensieri di vicinanza e di comunione.
Il monachesimo nuovo è l’incontro di coloro che sperimentano in sé il non condizionato: persone che non hanno l’obiettivo di insegnare ad altri qualcosa, che sanno che il mondo, anche quando è un letamaio, è perfetto per coloro che di quell’humus hanno bisogno; persone che costituiscono isole di sentire nel mare delle menti e che risiedono in quel sentire e coltivano il necessario per perseverare nel risiedervi.


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3 commenti su “Il letamaio, il monachesimo nuovo”

  1. Sono nei dintorni, molto vicino a questo sentire che è più ampio del mio ma suona la stessa canzone. Sono nel letamaio, consapevole dell’olezzo ma complice dello stesso, forse, quando conviene e sicuramente quando resta comodo. Che l’olezzo non sia solo esterno a me? La libertà dal condizionamento richiede coraggio, spalle larghe, la disponibilità a soffrire, ad accettare il cambiamento, ad accettare in definitiva di vivere e questo può fare persino paura!
    La tua testimonianza è di sprone, di incoraggiamento.
    Grazie

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  2. “Lavorare, mangiare, copulare, andare all’ipermercato, lasciare in pace la casta dei manovratori: la sintesi della civiltà.” Per brevità hai omesso le armi di distrazione di massa, i vari circhi del divertimento (sport e mondo dello spettacolo in primis) e dello sballo in genere. Il controllo dei mezzi di comunicazione di massa e del mondo della politica da parte del potere economico-finanziario risulta fondamentale per non disturbare il manovratore.

    Condivido il fatto che il cambiamento non può partire che dall’interiore. Altrimenti si possono pure fare rivoluzioni ma cambiano solo le forme: le dinamiche rimangono le stesse.
    La compassione è la cartina di tornasole del grado di comprensione della coscienza e del livello di identificazione. Forse è la lotta con tenerezza di cui parlava Che Guevara…

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  3. Mi riconosco in molte delle tue parole: sono nel letamaio, ma l’odore mi sta diventando insopportabile, sto cercando così di dare una svolta alla mia vita e dell’altra parte sento tutti i condizionamenti che mi urlano che sono sciagurata, che un lavoro come il mio non si può buttare, dicono anche che sono irrispettosa verso tutte quelle persone che il lavoro non ce l’hanno e farebbero di tutto per averne uno come il mio…

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