Il piccolo quotidiano ed il tempo che bussa (1)

Comunità per la via della Conoscenza | Voce nell’impermanenza
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Soggetto: Cominciamo a parlare del quotidiano, ma in termini diversi. La via della Conoscenza vi dice che ciò che potete vivere è il quotidiano nel suo essere piccolo, cioè routinario negli atti. Per intenderci, è tutto quello che voi subite del quotidiano, in quanto preferite impossessarvi di tutte le vostre “importanti” scommesse, che poi vi costituiscono così tanto da farvi credere che siano esse stesse il quotidiano: quello a vostra disposizione, cioè reso vostro. E quindi non fate altro che svicolare dal quotidiano, perché lo scommettersi entra anche nei rapporti con voi stessi, nelle relazioni familiari, nel rapporto con il lavoro e nel rapporto con l’alterità. E nemmeno vi accorgete che state affrontando anche la via della Conoscenza in questo modo, cioè giocandovi la vostra partita intensamente, come una scommessa.

Ciò che sentite vostro nel quotidiano sono proprio le scommesse, anche quando vengono frustrate, perché a quel punto vivete la frustrazione che comunque è vostra. Però le scommesse non sono mai il quotidiano, ne sono sempre al di fuori, perché il quotidiano è in ciò che accade nella successione di tanti piccoli atti, di tanti piccoli gesti, di tanti piccoli esseri che la vita presenta. No, voi vi proiettate nelle frustrazioni o nei successi delle vostre scommesse, con tutto il vostro esserci, e le impregnate di voi attraverso pensieri ed emotività che vi rendono i protagonisti di ogni azione. E così non riuscite a sperimentare il quotidiano in ciò che succede momento dopo momento, giorno dopo giorno, in ciò che si apre e si chiude, e quindi senza proiettarvi con impegno in scommesse che vi portano altrove.

Il quotidiano è fatto di tutto ciò che si apre e si chiude – si chiude! – mentre voi legate ogni cosa all’altra e così la trama della giornata è fatta di una continuità che non è semplicemente temporale. C’è effettivamente un tempo che passa, dentro il quale, però, ci siete voi sballottati in una continuità fatta di attese, di speranze e di un perpetuo immaginario appoggiato sopra l’alterità. Quindi la continuità è data da tutto ciò che sta dentro la vostra mente, che impera su di voi recitando la sua solita parte che è quella di darvi il senso della continuità. Se voi foste consapevoli di voi stessi, non potreste che concludere che nel corso di ogni giornata sono passati molti fatti e non ve ne siete neppure accorti. Durante la giornata, siete convinti di passare di esperienza in esperienza, mentre è solo quell’esperienza che considerate una novità a cogliervi, ad attrarvi ed a catturare la vostra attenzione, costringendovi a fare i conti con ciò che non è presente nel vostro scadenzario di impegni. Quindi voi non state vivendo esperienza dopo esperienza, ma state vivendo semplicemente un fatto che si presenta come eccezionale e che vi disturba o che vi cattura o che vi affascina; tutto il resto scorre inosservato e non lo ritenete parte di quel quotidiano diventato vostro.

Voi vi sentite vivere, cioè sentite che la vita pulsa dentro di voi, quando siete eccitati interiormente nei vostri meccanismi ripetitivi; eccitazione che non è data da un fatto che accade, ma da tutto ciò che si è creato nella vostra mente come attesa, come speranza, come progetto, come desiderio o come delusione. I fatti che interpretate attraverso la vostra mente sono ciò che vi eccita maggiormente, anche se siete comunque eccitati da emozioni e da pensieri, finché dura la forza di una scommessa. E così potete continuare a vivere per tanto tempo tutti avvolti nella scommessa del momento, con un fiume sotterraneo di altri fatti – che ritenete insignificanti – che passano inosservati e che la vita continua a fornire generosamente. Sono solo le piccole cose di ogni giorno, quelle racchiuse dentro una scommessa, a ricevere un senso alla luce del vostro scommettervi; ma quando si esaurisce in voi una scommessa, che può essere anche uno scommettervi interiormente, allora quegli stessi fatti vengono spogliati del senso che avevate dato loro e tornano ad essere solo ciò che è necessario fare per vivere il tempo che passa nei tanti vincoli che presentano.

Se riusciste ad osservare i piccoli atti quotidiani in modo diverso, allo spegnersi dell’eccitazione nella vostra mente e del sovrappiù di valore attribuito ad essi dalla scommessa, potreste scoprire che quei fatti vi parlano di un tempo che bussa, e non del tempo che passa. A volte per voi il tempo vola, altre volte non passa mai, e quei fatti non sono mai espressione di un tempo che bussa, perché, eccitati dentro di voi, non percepite quel che si presenta attraverso il bussare del tempo, ma solo tutto ciò che avete impresso nella vostra mente su quei semplici atti. Ed ecco perché mai riuscite a vivere il tempo della vita, ma solo un tempo reso vostro, perché riempito di scadenze, che trova senso solamente dentro i meandri di una struttura mentale che non può che alimentarsi di oggetti psichici sempre nuovi. Anche se c’è solo un sottile velo che vi separa dal vivere i fatti in sé, la vostra mente continua nel suo essere un accumulo di connessioni, di oggetti psichici, di pretese e di difese che vi occludono a tutto ciò che è altro da voi.

Molte volte l’uomo arriva persino a dirsi che non sta vivendo ma sta subendo, però questa affermazione, alla luce del vostro concetto del vivere, implica il sotto-pensiero che vivere significa essere accesi, essere attivi e quindi non essere – come dite voi – passivi o piegati da qualcosa oppure sconfitti. Quando la vostra mente si nutre di eccitazione, trasforma tutto ciò che accade in un pieno di oggetti psichici; quando però in un uomo si manifesta una pacificazione interiore, il suo sguardo si sposta da sé ad altro da sé, indipendentemente che sia un fatto naturale, un essere, oppure un’azione propria o altrui. E’ difatti possibile vivere il quotidiano in uno stato prevalentemente di eccitazione, perché ci si identifica unicamente nelle proiezioni che avvengono nella propria mente su tutto ciò che si presenta, oppure è possibile vivere in uno stato di quiete interiore, ed è quando si riconosce che ciò che accade parla d’altro, e non sempre di voi.

L’unica esperienza che può vivere l’uomo è quella di riconoscere la vita in ciò che si presenta nel giorno dopo giorno, e questo ciascuno lo può scoprire quando inizia a vivere in modo da essere semplicemente presente all’azione della vita che lo attraversa ed attraversa tutto ciò che è intorno a lui, e che non riguarda mai direttamente lui, perché non lo chiama in campo come protagonista e nemmeno come colui atto a “risolvere” vincoli e situazioni. Il nostro parlare di un quotidiano fatto di piccoli atti può farvi ragionare su come voi lo state vivendo e su come vi interrogate su chi è altro da voi e su come accogliete tutto ciò che accade dentro il bussare del tempo che mostra solo ciò che è altro da voi. Il tempo bussa recando con sé altro da voi e dicendo che ciò che è altro da voi non vi appartiene, anche se si tratta di un altro essere in relazione con voi, poiché è pur sempre altro da voi. E tutte le volte che pretendete di ingabbiarlo, come se vi appartenesse, aumentate l’eccitazione ed allontanate da voi la quiete.

Nella via evolutiva vi si dice di prendere consapevolezza di voi stessi, perché soltanto così è possibile prendere consapevolezza dell’altro. Nella via della Conoscenza vi si dice che è tempo di spostare l’attenzione da voi ad altro da voi, perché già vi siete esplorati e conosciuti – voi al centro – e perciò è giunto il momento di riconoscere ciò che è altro da voi. Se ci pensate, quando siete nella prima via non vi accorgete che, nel conoscere voi stessi, state solo potenziando e rendendo più palesi i vostri bisogni, e perciò questo porta ad essere stanchi di continuare a vedere tutto ciò che accade come qualcosa che vi riguarda. Ma finché non vi stancate di continuare ad osservare sempre voi stessi, posando uno sguardo distratto sull’alterità, non capite che c’è un livello di profondità interiore che, pur non annullando l’osservarvi, vi spinge a diventare consapevoli di ciò che è altro da voi, visto nel suo in sé, e perciò disgiunto da tutto ciò che fino ad oggi vi ha riguardato.

Nella via evolutiva l’altro è colui a cui siete intimamente legati perché tutti fate parte di una “stessa Unità”! Ma la via della Conoscenza dice che, soltanto se vedete l’altro non funzionale a voi, incominciate a scoprire il messaggio che l’altro porta in sé, senza esserne consapevole. Vi dice infatti che voi siete uniti a tutti gli altri inseparabilmente, ma questa unità è indistinzione e nell’indistinzione è indifferente se l’altro è con voi o contro di voi. La via della Conoscenza parla a chi è stanco di scommettersi e di continuare a dipendere dalle proprie scommesse, ed anche stanco di andare avanti a considerare vita vissuta soltanto quando è presente in lui un’eccitazione. Quindi parla a chi percepisce un’insufficienza nel vivere in questo modo, che avverte come carenza e come appesantimento.

Il quotidiano è fatto di tanti piccoli gesti, di tanti piccoli fatti, di tanti piccoli pensieri e di tante piccole emozioni che si aprono e si chiudono, perché non c’è nessuna relazione tra l’uno e l’altro. Ma voi sopra tutto questo stendete una rete di connessioni e così leggete la vita come una continuità che parla di voi. Nel quotidiano, reso vostro, legate un evento, che vi pare importante, con un altro che evidenziate perché interessante, e sotteso a questa costruzione mentale di continuità c’è il perpetuo scorrere del tempo della vita in cui sfilano quelle azioni che, in quanto semplici, scompaiono ai vostri occhi. Ricevono significato solo quando le vedete come preparatorie e funzionali alle vostre piccole o grandi scommesse.

Quindi ogni giornata vi si presenta come continuità perché voi legate i tre o quattro eventi centrali – quelli cosiddetti rilevanti – e gli altri scompaiono, tanto sono routinari e ripetitivi. Però la giornata è costituita soltanto di piccoli atti che, presi ad uno ad uno nel loro in sé, possono essere vissuti in modo diverso: ad uno ad uno, restando solo nel fatto presente, e non rapportandolo ad altro, altrimenti non siete mai in quel semplice fatto. L’uomo che si proietta nella continuità non si accorge di andare dietro alle associazioni che ha costruito dentro di sé, quindi non sta vivendo ciò che la vita offre, ma solo le rappresentazioni che la sua mente gli sta proponendo ed alle quali lui abbocca. E dove vanno a finire tutti gli altri atti che scorrono lungo la giornata e che voi occultate perché di routine?

E dove va a finire quel tempo collegato all’attività di routine, su cui non ponete l’attenzione? Non ve ne occupate affatto: è ciò che è da compiere – sono atti e gesti obbligati – cioè non lo vivete con l’attenzione posta lì, perché siete tutti identificati nei pascoli della vostra mente e intenti a rimuginare su altro. E’ un tempo che non vedete sfilare per niente; bussa ma non aprite, anche se è un tempo che comunque vivete a modo vostro, perché si presenta nella giornata portando con sé atti da compiere. Il tempo bussa e la vostra porta rimane chiusa. Che cosa vivete in ogni momento del suo bussare? Non certo quel semplice gesto da voi compiuto nell’inconsapevolezza: voi siete immersi nel perpetuo elucubrare della vostra mente che occupa tutto lo spazio temporale, pur consentendovi di compiere, meccanicamente, ogni semplice azione che il tempo presenta col suo bussare.

Lasciamo stare quel grosso evento che attrae la vostra attenzione per tutta la giornata o quel grande dolore o quella gioia che vi risucchiano, e parliamo di una giornata fatta di quegli atti che rappresentano la consuetudine del vostro vivere. Finché l’uomo costruisce la medesima continuità nella successione degli atti quotidiani, non incontrerà mai la frattura di cui parla la via della Conoscenza e quindi lascerà sfilare in sordina una gran parte della sua esistenza, dandole quel valore che si dà ad un rimasuglio, e cioè ad un atto dovuto ma non gradito, perché la continuità è ciò che vi dà identità. Ma abbiamo già visto che quella continuità è fittizia, è un inganno, perché è continuità tra eventi collegati insieme da vostri parametri mentali, che vi nasconde tutti gli altri momenti che sfilano lungo il corso della giornata.

Ogni uomo vive la sensazione di continuità come rafforzamento della propria identità e perciò gli sembra impossibile da accettare il susseguirsi di frattura dopo frattura nella quotidianità. Però la frattura di cui stiamo parlando non è ciò che potete creare voi stessi come sovrastruttura; no, voi potete solo constatarne l’esistenza, ma per farlo avete bisogno di andare al di là del desiderio di continuità. Difatti, quella che l’uomo considera una frattura nel suo vivere che spezza quella continuità in cui si sta proiettando, non riguarda affatto la frattura di cui parla la via della Conoscenza. Quello che voi intendete è un atto provocato da voi stessi o da altri che, inizialmente, vi spiazza – ad esempio la rottura di un legame stretto – e che tendete a superare per non rimanere prigionieri di ciò che si è spezzato e che comunque continuate a trascinare nella vostra testa come irrisolto. In quel momento vivete il bisogno di superare quella rottura, però quel tentativo viene portato avanti mantenendo viva la proiezione di voi stessi dentro una continuità. Se scorgete in quella rottura – che comunque mettete in connessione col vostro passato – premesse che sono dipese da altri, o da voi stessi, sarete poi portati a modificarvi ma restando dentro una continuità.

Ma noi stiamo parlando di altro, cioè della possibilità di vedere ciò che si presenta nel quotidiano semplicemente come apertura e chiusura, o come inizio e fine, o come nascita e morte di ogni evento, di ogni atto e di ogni stato interiore, quindi non stiamo parlando della ripetitività che vi caratterizza e che vi fa immaginare voi stessi sempre dentro una stessa continuità che sovrasta tutti i fatti. Voi uomini vi immaginate di vivere tanti fatti, ciascuno dei quali può chiudersi o anche non chiudersi, perché siete comunque voi che attraversate ciò che accade in voi o fuori di voi, ed in tal modo date un senso ed una continuità al vostro vivere.

Ma c’è un’altra prospettiva in cui l’uomo si riconosce nell’aprirsi e nel chiudersi di ogni fatto e si ritrova a porre l’attenzione sulla frattura che appare fra azione ed azione, o fra pensiero e pensiero, o fra emozione ed emozione. La frattura è la morte della continuità. Se si vive ciò che accade e ciò che vi attraversa interiormente come quel mondo che è al di là di voi, è possibile scorgerne la frattura, perché si vede in ogni cosa il nascere e poi il morire; questo non succede quando tutto riguarda voi, in quanto vi appaiono solo le connessioni che avete costruito sopra.

Quindi, nella visione diversa che vi viene proposta quest’oggi, se prendiamo ad esempio i pensieri che si affollano in voi nel corso della giornata quando state vivendo l’attesa di un incontro, è possibile notare come ciascuno di essi nasce e muore, si apre e si chiude. Anche se, quando siete particolarmente eccitati dall’idea di quell’incontro, il pensiero si colloca sovente sull’argomento predominante perché è quel fatto che ritenete rilevante e non perché quel pensiero specifico sia predominane, tant’è vero che voi continuerete ad ondeggiare col pensiero rivolto a quell’evento: ora penserete alle vostre paure, ora alle vostre speranza ed ora a cosa dirà o come si comporterà l’altro. E’ quindi presente in voi una caterva di pensieri racchiusa attorno ad un certo argomento in cui si proietta tutto ciò che parla di voi; c’è proprio un guazzabuglio di pensieri. Ma finché sottolineerete l’unitarietà di questi pensieri, evidenzierete solo ciò che riguarda voi, all’interno di una prospettiva che ripropone il vostro essere inconsapevoli della frattura e ben piantati nella continuità.

Però, quando il tempo bussa e si aprono le porte, quel tempo assorbe tutto ciò che accade in quel momento, pur breve, però tutto; a quel punto si dischiude anche la possibilità di entrare in modo diverso in relazione con ciò che è la realtà dell’altro da voi. Perché tutte le volte che incontrate ciò che accade attraverso il filtro della vostra mente, continuate a vivere l’altro da voi filtrato attraverso le ripetitività che esprimono i meccanismi della vostra mente.

Un partecipante: La via della Conoscenza usa un metodo per sconvolgere la nostra mente e poi per costruirci sopra, mentre io avrei reso più coscienti gli ascoltatori delle linee usate, anche per essere più chiaro.

Soggetto: Ogni concetto che mette in campo la via della Conoscenza, vista come insegnamento, è di per sé approssimato, e sarà poi demolito. E’ la vostra mente, che quando si sente offrire certi concetti, li giudica così interessanti da appropriarsene, perché non sapete che vi verranno anch’essi sottratti da questo insegnamento. Questo è il metodo didattico.

Un partecipante: Però l’ascoltatore si sente frustrato.

Soggetto: Chi è qui presente si sente scomodato e punto, quindi messo a disagio, che però rappresenta il fascino della via della Conoscenza. Tu stai dicendo che da questa voce ti aspetti le coordinate sul metodo, in modo che gli ascoltatori siano preparati. Ma la via della Conoscenza nel suo corpo concettuale è piena di trabocchetti che stanano la vostra mente cogliendola di sorpresa. Inizialmente viene creata in voi una disponibilità, e poi viene tradita, attraverso l’offerta di altro che è, nello stesso tempo, sia scomodo che affascinante. Questo insegnamento ha in sé due effetti: uno è scomodante e l’altro è liberante; però questo non riguarda la vostra comprensione, dato che nella via della Conoscenza comprensione e fraintendimento viaggiano di pari passo. Questo doppio effetto dipende dal fatto che l’insegnamento ha in sé una profondità che spesso non viene colta, però ha in sé anche un effetto provocazione che ben coglie nel segno. La provocazione crea disturbo, ma poi suscita fascino in chi sente risuonare in sé una vicinanza a questo percorso

Questo è un percorso che non è possibile intraprendere se prima non si è iniziato un cammino evolutivo – per intenderci quello del passo dopo passo – e dipende dal fatto che non è possibile togliere concetti se un individuo non li ha prima incontrati e poi fatti suoi come certezze. Ad esempio, quando qui si mette in crisi l’importanza che voi date al migliorarsi interiormente, vi viene anche mostrato il sottile io che è presente nella vostra pretesa; è impossibile farlo se uno non ha prima sentito l’esigenza di migliorarsi.

Se e quando questo percorso risuona in voi, scatta un fascino che comunque non vi impedisce di provare momenti di reazione interna e di stanchezza. Cioè sorge in voi l’uffa e sorge un incanto, e così la vostra mente sarà sballottata tra l’uffa e l’incanto. Quindi si può dire che la via della Conoscenza eccita la vostra mente, però subito dopo la fiacca, togliendole spazio ed offrendole contemporaneamente un nuovo terreno su cui collocarsi col proprio uffa e con il fascino.

Ricordatevi che nella via della Conoscenza si dà ben poco spazio ai cosiddetti “problemi personali” di ciascun individuo e ci si concentra sul rapporto che si viene a creare col maestro. Una volta che avrete aderito al maestro, mettere in crisi quel rapporto significherà far scatenare dentro di voi una ridda di emozioni, un ridda di pensieri ed una ridda di contraddizioni; questo potrà trasformare quel vostro rapporto di sudditanza in un gran gioco e poi, nel gioco, si potrà veder sorgere un nuovo rapporto che libera e che apre ad altro.

Vi ricordo che, comunque, per chi non partecipa direttamente a questo gioco, è sempre presente la gratuità, cioè ciò che eccede la vostra mente, che non rende indispensabile avere un rapporto diretto col maestro, perché l’eccedenza può presentarsi anche attraverso una lettura o in un flash di attraversamento, cioè attraverso tutto ciò che è atto a mettere in crisi le vostre certezze e ad aprirvi ad altro.

Un partecipante: Mi parli del tempo che bussa?

Soggetto: Il tempo che bussa è un aneddoto che provoca la vostra mente. Il tempo che passa, o il tempo che vola e vi sfugge di mano, è già vostra esperienza, mentre il tempo che bussa eccita la vostra mente perché contiene del mistero, pur dandovi l’idea che il bussare del tempo sia qualcosa di diverso dal succedersi del tempo. Il tempo bussa, il che vuol dire che la vostra porta è chiusa a quel qualcosa di diverso che non è contenuto fra gli oggetti psichici della vostra mente. Il tempo che bussa è una metafora che può incuriosirvi e farvi aprire la porta per scoprire che il tempo sfila. Finché il tempo è vostro, è corto, è lungo, vi scappa di mano; ma quando bussa vi dice di aprire la porta e vi mostra la sfilata presente nella vita. Bussa e vi invita ad aprire la porta e ad affacciarvi al mondo, senza volervelo mangiare, ma solo per riconoscere cosa sta sfilando davanti ai vostri occhi.

Il tempo bussa e sussurra, perché è necessario silenzio e quiete interiori per sentirlo, altrimenti sentite solo la chiacchiera della vostra mente che vi dice che il tempo è vostro e vi sta scappando di mano. Non bussa mai con clamore e solo in un quotidiano fatto di piccoli atti che si possono incontrare quando la vostra mente è stata piegata e voi vi ritrovate stanchi di scommesse e di vedere tutto in funzione a voi stessi, e quindi anche in funzione alla vostra evoluzione. E’ presente in voi una continua scommessa sull’evoluzione, e mai vi rendete conto che come sempre state usando ogni cosa per voi, cioè vi scommettete per diminuire l’io, ma state piegando ciò che è altro da voi a voi stessi. La via della Conoscenza può cambiare questa prospettiva e farvi puntare l’occhio su un quotidiano fatto di ciò che è altro da voi.

Un partecipante: Di fronte ad un dolore di un’altra persona, siamo prodighi di consigli, di compassione e di tenerezza. Perché non riusciamo a fare le stesse cose con noi stessi? Cioè non riusciamo a perdonarci, a comprenderci, ad avere tenerezza per noi stessi o quell’indulgenza e quella tolleranza che abbiamo per gli altri.

Soggetto: Ripensa alla prima parte della tua domanda. Di fronte al dolore dell’altro, in quel tuo bisogno di dare consigli, di supportarlo e di consolarlo, puoi anche scorgere, tra le righe, tutto l’appagamento che ricevi. Chi si pone verso l’altro semplicemente come presenza – nient’altro che lì presente – ben sapendo che i propri consigli sono quello che sono, eppure resta lì semplicemente presente ad accogliere quel dolore, può anche sentire nascere da dentro di sé una parola, se l’altro la chiede o se l’altro gli concede spazio.

Un partecipante: Così ci si sente impotenti.

Soggetto: Anche inadeguati. Ma finché vi ponete il compito di contribuire a risolvere il dolore dell’altro, siete agitati ed eccitati interiormente e ciò che esce viene inficiato dal protagonismo insito nel desiderio di aiutare l’altro. La serenità nella sola presenza parla di abbassamento delle proprie pretese, del rispetto per il mistero dell’altro, del saper tacere e saper cogliere ciò che l’altro non riesce ad esprimere attraverso le parole, ed allora le proprie parole escono in modo diverso. Lo stare accanto agli altri in presenza di un dolore dà una sottile soddisfazione, pur quando è presente un’attenzione verso l’altro. Arduo per ognuno di voi è avere un atteggiamento che non porta soddisfazione ma inquietudine, ed è quando uno si aspetta di portare qualcosa che conti per l’altro. La via della Conoscenza mai dice di non fare qualcosa, ma solo di essere consapevoli di ciò che state facendo e di ciò che in quel momento si agita dentro di voi. Poi nasce altro.

 

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