La resistenza dell’identità al nuovo

Da Francesca: “A volte, mi sembra, si ha paura che il “distacco” corrisponda ad una assenza di coinvolgimento. Forse perché l’idea di coinvolgimento che abbiamo è rivolta ad alimentare l’emotività nella quale ci identifichiamo?”
E’ così. La mente/identità, basandosi sugli strumenti interpretativi di cui dispone, considera vita soddisfacente e gratificante quella che contiene un certo tasso di cognizione, di emozione, di sensazione, di azione. Legge l’esistere a partire dalle componenti del vivere che conosce: può porre l’accento più su una che sull’altra, ma ha bisogno che tutte siano presenti.
Se l’identità così interpreta il vivere, è perché il sentire non ha ancora ben chiaro la natura del proprio esserci ed essere; man mano che esso si amplia, diviene consapevole della propria natura e la irradia, cambiando anche l’esperienza dell’identità e la relativa autointerpretazione.
Fino a quando nel sentire non c’è sufficiente chiarezza, l’identità prevale con le sue logiche separative e propone/impone la visione che conosce e che padroneggia: se manca emozione non è vita; se manca capacità cognitiva, o possibilità d’azione, non è vita.
Quando la coscienza vede più chiaro, allora diventa evidente che la vita è molto oltre il pensiero, l’emozione, l’azione; certo, li implica, ma non ne dipende.
Scopre allora, la coscienza e con essa l’identità, che ben altro modo di vivere esiste, con altre priorità e con altre logiche interpretative: alla luce di questa scoperta la paura viene meno e con essa la resistenza opposta dall’identità al nuovo.

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4 commenti su “La resistenza dell’identità al nuovo”

  1. Chissà, forse non si tratta di sradicare, ma di vedere le radici come un semplice punto di partenza e non una condanna all’ergastolo o alle luci della ribalta. Certo ci sono punti di partenza che contengono aspettative e identificazioni preconfezionate forti, rassicuranti, ma magari si tratta solo di sentire quel che è buono per sé, profondamente buono, e mollare gli ormeggi per tracciare la propria strada diventa inevitabile, non un atto di eroismo, una cosa facile che dà gioia. Se penso a quanto mi è costato, in un tempo che sembra lontanissimo, rinunciare a quel Dottoressa su un biglietto da visita oggi mi ride il cuore di tenerezza per quella me là. A proposito di Elena bambina, guarda che stamattina hai dimenticato da me le biglie di vetro e il pettine della bambola, insieme all’uncinetto 🙂

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  2. grazie per queste parole…le sento capisco ma sono lontana…sono ancora là o, meglio, qui. Si tratta di sradicare un mondo di forme, di abitudini, aspettative, modelli. Da bambina vivevo così, me lo ricordo nella pelle che vivevo così, nel mio posto, senza performance, senza ansie, senza colpe. Sentendomi a casa. Semplicemente.

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  3. Continuo a tornare su questo post perché lo sento tantissimo, lo sento cruciale, riconosco la strada. Mi viene in mente quanta libertà c’è nel vivere le emozioni, i pensieri e le azioni senza esserne travolti, senza che ne vada dell’identità profonda, che è altro, che è oltre. Quale respiro, che conquista, soprattutto per chi si è buttato e ha alimentato l’intensità del vivere identificandosi appassionatamente con un’idea, un’emozione, un’azione… in un’evoluzione che brucia, che compromette, che espone… in questi giorni penso “che bello essere entrata nella stagione della vita che consente di stare nel momento/pensiero, momento/emozione, momento/azione e di assaporarli con serenità, senza esserne travolti e con-fusi, senza sentire che da loro dipenda il nostro essere, sentendo il nucleo espandersi e ricoprire tutto di tenerezza e di vitale non importanza”. Libertà.

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  4. Ed è, mi sembra, nel prevalere culturale e strutturato dell’identità che vengono fatte diagnosi su persone che hanno capacità cognitive o motorie diverse, ad esempio. Per fortuna ci sono persone, e professionisti, che nella relazione delicata e splendida col “deficit” si rapportano facendo spazio al sentire e all’intuire, travalicando e a volte addirittura contrastando la visione che identifica la vita con le funzioni del vivente. E qui, ad esempio, la responsabilità/possibilità di un genitore è grande, ma dovrei spostarmi in “condivisioni di vita”…

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