Ho ancora qualcosa da dirvi?

No, non credo di avere ancora qualcosa da dirvi: nulla vi posso dire che non sia provocato da una domanda, e non da una domanda qualsiasi, ma da una domanda esistenziale.
Mi attivo come una foglia mossa dalla brezza, e cado nello stasi non appena la brezza cessa. Questo producono in me le vostre domande.
Quando dalla stasi sorge qualcosa non per moto vostro, di norma è della natura del post La capacità di risiedere quando tutto perde senso, qualcosa di forse lontano dalle vostre urgenze, da ciò che vi pressa, forse da ciò che pressa Maria che quel post ha commentato.
Non so, la mia distanza dal mondo è abissale ed è solo l’amore del servizio che mi tiene ancorato ad un sottilissimo filo che mi connette a voi e mi colloca qui ad ascoltare una domanda, ad estrapolarla da un commento, a prendere a pretesto qualcosa per rinverdire il nostro esserci e procedere comune.
Senza domanda, quel filo diviene impalpabile.
Su queste basi è difficile pensare ad un futuro del Sentiero in cui possiate ritrovare quello che avete conosciuto e sperimentato, frutto del nostro cammino comune e di una grande fatica mia.
Come sapete, già da un anno e mezzo è in atto una transizione, un passaggio di testimone a voi, al vostro divenire artefici.
Mi colpisce l’osservazione di Maria in calce a quel post: è osservazione importante e opportuna, ma non è da rivolgere a me, ma a Maria stessa e a voi tutti.
Come rispondete a Maria?
Volete un Sentiero concreto, attinente al vostro quotidiano, alla vostra fatica?
Bene, avete a disposizione un paradigma, potete coinvolgere quelli di voi con più esperienza, o potete chiamare qualcuno da fuori che vi accompagni su questioni specifiche, se lo volete.
Avete il mondo della conoscenza e della consapevolezza, dell’esperienza anche, a disposizione. Avete tanto.
Volete usarlo?
La mia stagione è finita: Maria, e tutti voi, non aspettatevi che io parli dei piccoli mondi interiori, non mi interessano, non tanto da attivarmi se non interpellato e, quando provocato, mi limito all’indispensabile, spesso inevitabilmente generico.
Per onestà nei confronti miei e vostri, io debbo e voglio abitare la mia casa, altro non posso, e non voglio di conseguenza.
È con gioia profonda che vivo la mia irrilevanza, so di essere stato un padre generoso seppure i miei limiti siano stati, e siano ancora, grandi.
Avete il mondo a disposizione vostra, usatelo, se volete.

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13 commenti su “Ho ancora qualcosa da dirvi?”

  1. Grazie roberto per questa grande trasparenza e dedizione. Credo che di domande ce ne siano ancora molte e forse tutte non solo fatte di parole ma di vicinanza.

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  2. Caro Roberto, il tuo post di oggi : ” Ho ancora qualcosa da dirvi?” mi ha profondamente toccata. Non tanto e non solo perché mi vedo personalmente coinvolta, ma per una risonanza nel sentire anche se le nostre vite sono, è vero, molto lontane. La metafora della foglia mossa dalla brezza delle nostre domande che torna alla stasi quando la brezza cessa, esprime molto bene la nostra condizione di alterità eppure di partecipi ad un’unica realtà. Non ti nascondo che la tua reazione mi ha all’inizio un poco stupita, ma poi rileggendo il mio commento al post ” la capacità di risiedere quando tutto perde senso” in realtà ho compreso. Quando parlo della necessità di strumenti per risiedere e scalfire la “roccia” è chiaro che esprimo una mia difficoltà nel rendere prassi di vita un paradigma, il nostro, che conosco ma che non ho ancora sufficientemente compreso e calato nella mia esperienza; ma questo è il mio cammino ed a me che mi rivolgevo quando scrivevo. Non volevo porre una domanda, ma piuttosto riflettere sulla mia condizione attuale condividendola con voi. Tu hai saputo leggervi un bisogno lasciando al contempo trapelare una certa sconsolatezza nel riscontrarlo, quasi un senso di sconfitta. Ma se è vero, come è vero, che la nostra è una lettura soggettiva della realtà, allora tutto torna, e se a me questo fatto ha dato l’opportunità di conoscermi meglio e scuotere la mia polvere a te forse, di mettere meglio a fuoco il rapporto che ti lega a noi del sentiero.
    Se poi, come dici tu in risposta a Roberto ” la ragione ultima di un certo umore del somaro? non aver potuto godere dell’ambiente favorevole per manifestare appieno la potenzialità posseduta” molto meglio di me sai che ciascuno di noi è stato il miglior maestro l’uno per l’altro. Grazie, shalom

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    • Ho preso a pretesto, Maria, quello che tu dicevi per lanciare un segnale: nel Sentiero ci sono persone in formazione, molte, il loro percorso ha necessità di essere alimentato.
      Altre volte tu hai accennato al lavoro interiore da compiere e questo mi interpella, sempre mi ha interpellato nel tempo..
      Nel momento in cui mi appresto a lasciare, la mia preoccupazione è per queste persone, il mio invito è ad occuparvene.
      Il mio timore è che non ci sia la dovuta sollecitudine ed anche la necessaria considerazione del tema.
      Rinunciando alla mia funzione, so di lasciare l’opera incompiuta, e nel contempo so anche che ciò che lascio incompleto sarà proseguito dalla vita nelle forme che vorrà.
      Ogni cosa parla di noi ed anche questo mio lasciare lento mi svela: a suo tempo vi feci ascoltare una breve lettura del mio HD fatta da Giulia, lì c’era quasi tutto dei processi di questi anni e anche la ragione di questo lasciare lento.
      In merito all’espressione: “molto meglio di me sai che ciascuno di noi è stato il miglior maestro l’uno per l’altro”, avrei da distinguere:
      è certamente vero che l’altro è il migliore maestro, ma in senso relativo, ovvero in relazione a determinati ambiti.
      Se non consideri attentamente questo, non cogli la sostanza della mia espressione: “Non aver potuto godere dell’ambiente favorevole per manifestare appieno la potenzialità posseduta.”
      Ho avuto certamente i migliori maestri per lavorare determinati aspetti di me, ma non necessariamente ho avuto le condizioni migliori per manifestare il mio compreso.
      Questo è un problema che hanno tutti gli insegnati e che diviene particolare e pressante in coloro che sono mossi da un certo disegno interiore che li porta ad avvertire una “pressione esistenziale” particolare.
      Un accenno alla questione del mio umore autunnale: è passata la primavera e l’estate, ma poche sono state le domande che ne hanno liberato la potenza; poche le domande, poche le situazioni.
      Il somaro non è frustrato, è come un frutto non raccolto, caduto dalla pianta e destinato a divenire humus.
      Il processo è perfetto e molto insegna al somaro.
      Chissà se è vero che il somaro ha finito il suo compito?
      Può il frutto continuare a nutrire una volta caduto dall’albero? Certo, se il terreno sa cosa farsene del suo nutrimento.
      C’è un dato che sfugge a molti di voi: fatto salvo che l’officina nutre tutti e me per primo, essa è lì per liberare i talenti e i sentire, ma siete certi che vi siete posti il problema della liberazione reciproca, di tutti e di ciascuno, e non invece, sostanzialmente e prioritariamente, quello della vostra liberazione?
      Se aveste coltivato la vostra e l’altrui liberazione fattivamente, deliberatamente e simultaneamente, sarebbe stato identico il cammino di questi anni?
      Sorella cara, molte domande avrei da porvi, non a te, a tutti voi, ma molte sarebbero scomode e dolorose e da tempo ho deciso di rinunciare.
      I borbotti di un vecchio brontolone che escono, sottendono un mondo di obbiezioni e di compassione, dove quest’ultima mai è rassegnazione.

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  3. Caro Roberto ! Ti comprendo e veramente le tue parole , non nuove , mi risuonano ora in modo particolarmente forte e con sfumature diverse . Hai ragione .
    Provo a spiegarmi . Dal maggio scorso mi sono trasferito in campagna . Una campagna più “estrema” della precedente in cui vivevo , che era bella ma pur sempre ” cittadina ” . Dove sto ora invece la natura è potente. Mi parla , la ascolto , ci parlo e c’è un dialogo con essa . Non sono diventato matto . Semplicemente negli anni ho acquisito quegli strumenti che mi permettono di fare ciò . Di risiedere . Di stare semplicemente in ascolto . Non mi manca nulla anche se al momento ho disagi dovuti a lavori che dovrò eseguire , disagi che sicuramente aumenteranno nel prossimo inverno . Dopo anni di partecipazione assidua , per un po’ di tempo ho vissuto origliando e leggendo i post che pubblicavi . Non mi rendevo conto , ma certi automatismi e certi comportamenti attenti e consapevoli che ora riesco ad avere nel momento in cui la vita mi propone le sue prove e le sue verifiche , sono frutto di un costante lavoro e di una certa dedizione che ho avuto in questi anni di percorso nel Sentiero .
    Per alcuni di noi anziani viandanti , un certo comportamento sembra scontato, ma non era così un tempo. Me ne accorgo quando vedo nuovi amici che si accostano al Sentiero . La loro curiosità , la loro fame di conoscere , le loro perplessità , i loro dubbi . È certo una visione nuova degli accadimenti , del tempo , delle relazioni .
    Quest’anno ho deciso di partecipare a OE , sempre con le mie consuete difficoltà legate agli impegni . Credevo che la spinta fosse di nuovo ,come nel passato , quella di aggiungere nuovi tasselli di comprensione alla mia coscienza ( anche in relazione ai recenti cambiamenti nella mia vita famigliare e non ) . Ma mi sono reso presto conto che non era questo il motivo che mi spingeva . E sarebbe stato di nuovo un attingere . Non che io mi senta ” arrivato “. Raglio quanto e più di prima ! Però credo che a certi livelli di consapevolezza io sia arrivato ed è giusto che li condivida con chi si approccia al cammino . E chi si approccia certamente me ne farà raggiungere dei nuovi , attraverso la relazione . Ovunque mi trovi e ci sia qualcuno che mi chiede aiuto , inevitabilmente non posso che proporre il paradigma che ho appreso e questo è molto apprezzato . Sono passato negli anni attraverso la pratica del giudizio di gesti e di persone , non ricavandone che amarezza e turbamenti emotivi. Ho visto amici andarsene dal sentiero , ho sentito emettere giudizi nei loro confronti, io stesso ne ho prodotti , anche nei tuoi confronti Roberto quando percepivo risentimento , delusione o amarezza nei confronti del comportamento di alcuni di noi . Percezioni mie ,forse , ma vive nella mia realtà . Siamo umani con limiti ben evidenti .
    Sto sempre più imparando a non giudicare a non puntare il dito . È un esercizio difficile pieno di cadute , ma cadute che si sentono con il dolore delle ginocchia sbucciate . Cerco di abbracciare tutto e tutti , chi è andato e chi è restato , chi è maestro e chi no , perché di tutto e tutti faccio parte .
    Insomma , nel mio irrilevante esserci , quel che posso dare è quel piccolo contributo che potete ascoltare ogni volta che apro bocca sperando che possa essere sempre qualcosa di più e di nuovo .
    Un grande abbraccio !

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    • Caro Roberto, grazie per le tue parole. Parole di un amico, di un fratello nel cammino.
      Non so come è suonato a te, e a voi che lo leggete, il mio scritto; nelle mie intenzioni non è un atto d’accusa, è lo stato delle cose.
      Delle cose dal mio punto di vista.
      Dal punto di vista di una fatica grande, e a tratti entusiasmante, nel tenere assieme un organismo, nel farlo andare avanti, nel dargli gli stimoli per proseguire, approfondire, crescere in conoscenza, consapevolezza, comprensione.
      È un lento addio.
      Lento perché mi è premuto non lasciare il deserto dietro di me.
      Lento perché fino all’ultimo ho coltivato la speranza che almeno le cose più semplici, come quella che vi ricordavo qualche giorno fa, fossero affrontate coralmente da gran parte di un organismo finalmente capace di provvedere al proprio bene, di alimentare il proprio bene.
      Lento per dare tempo alle persone di uscire allo scoperto, di assumersi le responsabilità, di cominciare a modellare in modo nuovo il Sentiero.
      Mi rendo conto che forse più dell’amore avete colto i rimbrotti, e questo mi addolora.
      Caro Roberto, ora che vivi la campagna vera, di essa senti i molti aspetti e l’intero spettro che va dalla gioia alla fatica più dura.
      Quello che vale per la campagna, vale anche per il Sentiero: una cosa è la narrazione, un’altra il lavoro quotidiano per alimentarne la vita.
      Mi colpisce quando tu parli di risentimento, delusione o amarezza: le seconde le ho provate, il primo no, non è una modalità che frequento.
      Da dove sorgevano delusione ed amarezza? E, soprattutto, ci sono ancora oggi?
      Oggi c’è una vena di amarezza che a volte mi attraversa; non è persistente, è come un umore autunnale.
      In passato c’è stata anche delusione di fronte a certe situazioni così di base, così elementari in un cammino spirituale che il vederle disattese non era semplice.
      Non ho mai comunicato fino in fondo il mio punto di vista su molte cose, fatti e persone e mai lo farò perché lascio che sia il tempo e l’esperienza a mostrare alle persone il loro limite e ciò che possono correggere, se vogliono, ma, essendo stato io quello che ha guidato così a lungo il Sentiero, ne avrei anche avuto il diritto, avrei anche potuto scoprire qualche altare.
      In talune situazioni ho preferito lavorarmi il mio, quello che mi competeva, tacere, prendermi la responsabilità di qualcosa piuttosto che attaccare, sviscerare le responsabilità, mettere in luce le presunzioni.
      Ho lasciato che le persone dicessero e facessero, ho cercato di preservare il mio equilibrio interiore nel tentativo di garantire una continuità al Sentiero.
      Le persone, e i conflitti, sono passate, il Sentiero ha potuto continuare ad operare e, per qualcuno, ad indicare il cammino.
      Il mio fine era quello di offrire delle possibilità a chi ne avvertisse il bisogno e, nel contempo, proseguire il mio incedere personale, la mia vita.
      Avrei potuto fare il maestro, ma non era questa la mia intenzione: ho lavorato per creare un organismo, fino alla fine, che non avesse bisogno di un maestro.
      Creare un organismo, questo è stato l’obbiettivo; un organismo che fosse un’officina di vita per molti. Creare situazioni evolutive. Creare opportunità di cambiamento radicale.
      Ora, caro fratello mio, vorrei chiederti questo: se tu nella tua famiglia non riuscissi con la tua compagna, con i tuoi e i suoi figli a costruire un rapporto profondo e produttivo, se troppo spesso tu dovessi ricordare loro che siete una famiglia e come tale dovete vivere, sentirvi e comportarvi, alla fine questo non sarebbe per te motivo di fatica, di logoramento e magari anche di una vena di amarezza?
      Ho scritto queste parole perché tu, e voi che le leggete, possiate comprendere il punto di vista di chi è stato dalla parte delle stanghe del carretto. Dalla parte del somaro.
      Ma voi poco potete comprendere del cammino del somaro se non vi interrogate sulla natura sua.
      Voi, giustamente, vedete la natura vostra e quella del somaro vi rimane un mistero ma, per quanto vi possa sembrare strano, il somaro aveva una sua natura e un suo progetto che non frequentemente si sono potuti liberare in virtù di una domanda posta, di un gesto compiuto, di una situazione creata.
      Caro fratello, vuoi sapere qual è la ragione ultima di un ceto umore autunnale del somaro?
      Non aver potuto godere dell’ambiente favorevole per manifestare appieno la potenzialità posseduta.
      Oggi il somaro abbandona la stalla e prende atto che di più non è stato possibile.
      È sereno in cuor suo ma, dopo 25 anni di dedizione ad un progetto, ad un cammino, deve ricostruirsi una vita: deve lasciarsi alle spalle una funzione di servizio e sviluppare un’immersione in quel che è libero da ogni funzione.
      Caro Roberto, concludendo mi sento di invitarti ad una prudenza: tu sei stato lontano per del tempo dal Sentiero e, nel momento che torni, forse ti sembra di sentire cose già sentite, situazioni già viste.
      Ti prego di provare a metterti dalla parte del somaro e di considerare quanto è diverso il punto di vista di chi sta tra le stanghe e quanto diverse e numerose sono le tessere del puzzle che, in così tanto tempo, ha avuto a disposizione.

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  4. Tutto senza ansia, senza preoccupazione di tenere in vita una forma predefinita che probabilmente non riusciremmo a perpetuare perché fortemente caratterizzata dal nostro Robi.
    Qualcuno cHe conosciamo parla di “illusione delle forme” e non dobbiamo farci catturare dalla forma che sin qui abbiamo conosciuto.
    In fondo se il nostro cammino non fosse basato sul lasciar fluire, senza giudizio, senza aspettative, rischierebbe di tradire sé stesso e di diventare un “dovere religioso”.
    Con fiducia e gratitudine.

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  5. La tua intenzione è sempre più chiara Robi. Non nascondo che questa nuova stagione, che peraltro prospetti da tempo, mi crea un po’ di sgomento. Avremo la comprensione, la disponibilità, l’attitudine necessaria per proseguire questo percorso senza il tuo protagonismo? Hai dato indicazioni di come fare. Ci stai seguendo ed ancora accompagnando in questo passaggio di consegne, ma è chiaro che da parte nostra ci deve essere uno scatto di reni. Questa è la sfida di adesso. Mi interrogo su quale possa essere il mio contributo. Mi sento inadeguata, ma non credo basti a giustificare il mio stare in disparte. Comprendo che è un passaggio importante, su cui tutti noi dovremmo riflettere e affrontare con senso di responsabilità e di servizio. Trovo opportuno aprire un confronto con i miei fratelli del cammino, perché possiamo meglio comprendere quali sono le effettive esigenze e disponibilità di ognuno. Un grande abbraccio.

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  6. Se da un lato mi spiace essere arrivato “tardi” al sentiero, dall’altro questo tuo scritto rinforza il fatto che tutto dipende da me/noi. Voglio cambiare la mia vita? Devo prendere le redini. Proverò man mano a creare delle domande, a portare situazioni. Sento ancora il bisogno di quello che tu chiami “limitarti all’indispensabile e al generico”. Sto crescendo ma la strada é luuuuuunghissima. Comincerò a “provocarti” Robi. 🙂 un abbraccio.

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  7. Non di domande
    non di esigenze
    è fatta la mia presenza.
    Semmai dalla piacevolezza di condividere uno sguardo,
    un sorriso, finanche un’idea folle…
    e magari un bicchiere di buon vino.
    Queste tue parole hanno il sapore di una poesia di Riokan:
    Senza più un briciolo di ambizione
    lascio vagare la mia natura dove vuole.
    Nella mia borsa vi è riso per dieci giorni e, presso il focolare, una fascina di legna.
    Chi ciancia di illusione o nirvana?
    Dimenticando al contempo la polvere del nome e della fortuna, ascoltando la pioggia notturna sul tetto della mia capanna, siedo comodamente con le gambe allungate.

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