La consapevolezza simultanea di stati apparentemente opposti, ma realmente compresenti potrebbe essere una definizione di “asana”, la posizione. Metafora incarnata, suggerimento del superamento delle apparenze. Forma e sostanza impastate…
Tema vasto. Direi che non c’è forma né sostanza, ma innumerevoli livelli di densità di espressione dell’essere. La forma, le forme che noi percepiamo sul piano fisico, sono l’espressione dell’essere.
Le sensazioni, gli affetti, le emozioni, che percepiamo sul piano emozionale/astrale, sono l’espressione dell’essere. Così per il mondo del pensiero e per il mondo del sentire. Così per le manifestazioni che vengono prima, a monte del sentire.
Se osserviamo la realtà, non il suo racconto così come è confezionato dall’identità, scopriamo un’evidenza: ogni manifestazione, ogni rappresentazione, canta l’Uno, è natura dell’Uno in atto.
Perché noi parliamo tante volte del processo dell’ammutolire? Perché quando tu hai compreso che ogni aspetto del reale non è altro che l’Uno in atto, non un frammento, ma un fotogramma di una bobina fotografica indivisibile perché, essendo essa assoluta, non è frazionabile, allora, di fronte a questo mistero ti senti mancare.
Non è contemplabile l’essere con la mente; la mente guarda il particolare e afferma: “Questo è diverso da quello, quindi è separato”. La natura della mente la induce a questo procedere; oltre la mente, se ne fai esperienza, questo racconta di quello, questo è connesso a quello, questo e quello parlano dell’Uno mai diviso.
La mente non è in grado di contenere l’unità, se non teoricamente: la contemplazione, che è comprensione della realtà oltre la mente, con altri sensi, con altri strumenti, non comprende altro che l’unità, di questo si nutre, di questo e solo di questo può parlare e sostanziare il proprio vivere. L’essere è l’unità.
Noi ci addentreremo in questo mistero, ne conosceremo alcuni parziali alfabeti e vedremo gli ostacoli al suo dispiegarsi. Parliamo al lettore che è pronto a questo, per altri questo libro non avrà senso. L’esperienza dalla quale sorgono queste parole farà risuonare in modo nuovo quanto la persona che ci legge ha già compreso: le nostre parole non faranno comprendere ma, forse, porteranno chiarezza nel già compreso, maturo o in divenire, qualunque esso sia.
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L’alfabeto del non esserci è l’alfabeto dell’essere. Se osservi attentamente la tua relazione con la realtà, attimo dopo attimo, nella profondità di ogni attimo, scoprirai una cosa veramente interessante: nel fatto presente (intenzione, pensiero, emozione, azione) c’è un accadere – perché è inserito nel tempo, nel divenire – ma c’è anche uno stare, un’immobilità, uno spazio, un vuoto, una sospensione, un essere.
Questa esperienza è inequivocabile quando il sentire ha la maturità per viverla e parla della prima lettera del nostro alfabeto: arrendersi. Alla realtà. Smettere di dare credito al racconto della mente, al romanzo che costruisce e stare sulla chiarezza del reale: oltre il divenire, alla sua radice, c’è un immenso spazio che quel divenire non vela, ma esprime, testimonia.
Arrendersi al fatto che il divenire non narra qualcosa di diverso dall’essere, ma la natura dell’essere. Se il divenire viene colto nel suo essere presente, in quell’attimo è senza tempo, è fotogramma dell’eterno presente, fotogramma in una bobina di fotogrammi, inestraibile in quanto singolarità, testimone dell’insieme.
Il primo passo è accettare che il proprio pensiero sia coerente con la propria esperienza dell’essere. Le esperienze hanno maturato un certo sentire che apre sulla percezione della realtà di cui abbiamo parlato: quella percezione, comprensione, cozza con la lettura che la mente dà del reale; quel sentire ha bisogno di trovare i concetti per esprimere ciò che vive, pena la frammentazione.
Quel sentire coglie l’unità di essere e divenire e vuole, non può altro che realizzarla nel proprio microcosmo: il sentire diviene pensiero e azione. C’è una spinta ineludibile a questo, ovvero al superamento della meccanica propria della mente che tende a dividere e a separare.
A nulla serve l’aver capito la realtà del macrocosmo se non viene realizzata nel microcosmo: tutti i livelli dell’essere, della consapevolezza, della comprensione, debbono essere allineati e finché l’allineamento non è totale, la spinta al ricercare non si placa.
Il titolo del paragrafo è “Chi è?”: a questo punto dovrebbe esserci chiaro che l’insieme dell’essere è: soltanto quando la coscienza, la mente, l’emozione, l’azione sono e superano sé, manifestano la propria meccanica e la trascendono, soltanto allora c’è allineamento.
Il “Chi è” non è la coscienza, non è l’identità, non è l’assoluto: è tutto ciò che è, l’insieme che chiamiamo essere, dove ogni parte, ogni livello, ogni piano è indispensabile che sia nella sua natura e nella trascendenza di essa.
Vorrei che fosse chiaro questo punto: la mente, ad esempio, non è solo le sue meccaniche, ma anche il superamento di queste; se noi andassimo a vederla da vicino vedremmo che essa è strutturata su diversi livelli, dai più densi e rudimentali ai più astratti e impalpabili e sofisticati. Ogni livello non è un mondo conchiuso in sé, è un punto di passaggio: un aspetto della mente è parte dell’insieme e non potrebbe esistere senza l’insieme; è fotogramma, parte costituente della bobina, non puoi sezionare la bobina, non esisterebbe più assoluto, né rappresentazione.
Questo non è comprensibile fino a quando nella nostra esperienza/interpretazione c’è l’io e il noi non è ancora sorto. Dovremo pazientare, fare esperienza della vita e questo, insieme ad altro, ci diverrà chiaro, esperienza evidente.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
È da all’ora che ci introduci all’Essere con vocaboli nuovi che possano renderci partecipi di un sentire più vasto, pure noi ancora procediamo per tentativi.
Parole chiare, eterne