L’imprevedibilità dell’apparire e scomparire dei fatti [scomparire11]

Una voce: Nell’affrontare lo scomparire dell’agente, serve ora precisare che il pensiero, che è l’atto di pensare, è azione. E ora iniziamo a interrogarci su chi è quel qualcuno agente, prima che inizi il processo dello scomparire. Chi è costui che scompare?

Per rispondere a questa domanda bisogna interrogarsi su chi è colui che vive e che, a un certo punto, si incammina in quel processo. Chi siete voi, oggi?

Rispondere significa accettare – solo concettualmente – che in tutto quello che vi attribuite sia invece presente un’unica realtà di disconnessione, anche in quel che d’indomito spesso e volentieri irrompe da dentro di voi, secondo modalità non regolabili. Le volte in cui ne siete spiazzati, siete pronti ad assumervi la responsabilità di quel che non controllate; anche questo vi attribuite: siete voi i controllori e i responsabili.

Vi attribuite anche i pensieri che vi attraversano; l’attività di pensare è quella che dà senso alle azioni che fate e alle emozioni che provate, perché, nel momento in cui agite o provate un’emozione, già classificate, già ponete delle etichette e ne cercate il senso. Eppure, il fluire dei pensieri passa perlopiù inconsapevolmente dentro di voi: siete consapevoli solo di alcuni.

Stiamo incontrando il fatto che raramente siete unitari, cioè contemporaneamente sul pensiero, sull’emozione, sull’azione rispetto alla stessa questione, e che perlopiù tutto va e viene secondo un’onda ben poco controllabile e ben poco consapevole. E poiché tutto ciò che c’è è disconnesso, allora chi è questo “io” attorno al quale voi continuate a connettere fatti, pensieri ed emozioni?

Se posate l’attenzione sui fatti che accadono attorno a voi, potete scoprire che non hanno quel legame che voi perseguite, e nemmeno la logica che cercate di applicare sopra, quando sostenete: “Questo fatto mi sta dicendo qualcosa”. L’unica connessione fra loro sta nel marchio “è mio” quando li incontrate.

Voi umani vivete immersi nella relazionalità e in situazioni che vi portano a incontrare fatti, cioè parole, suoni, immagini, comportamenti, accadimenti, che presentano caratteristiche impreviste. Compresi i comportamenti umani, anche quando vi sembrano prevedibili, poiché in comportamenti similari sono presenti intenzioni diverse e motivazioni a voi del tutto sconosciute. Questo significa che ciò che accade davanti ai vostri occhi è caratterizzato dall’imprevedibilità e dall’apparire e scomparire dentro un intrecciarsi di fatti non governabili.

Basta osservarvi: siete inseriti in un contesto di relazioni con persone, animali e oggetti che è dinamico nella sua varietà, eppure siete capaci di leggere il quotidiano come fosse caratterizzato da noiosi momenti di routine, solo perché li interpretate in base alle vostre pretese. Non accettate che la vita presenti, attraverso opportunità oppure vincoli, ora un fatto, ora un incontro che mai si presentano ordinati, come pretendono le vostre categorie di giudizio. Questo rafforza il sistema di difesa mentale.

Tutto ciò che si presenta è nuovo e diverso da un giorno all’altro, ma voi lo inserite in uno scadenzario che in automatico crea quelle abitudini che esorcizzano la casualità. Date a ogni cosa un senso, una logica, un ordine, un’importanza, una priorità, una selezione, una misura e una comparazione, cioè continue sovrastrutture a difesa dalla casualità che per voi è caos.

Ecco, quindi, il continuo ricorrere alla mente, che è una struttura rigida e ripetitiva che regola e organizza il naturale scorrere del momento dopo momento nel quotidiano. Questo sistema di difesa ha il compito di assorbire le anomalie e riportare un ordine attraverso abitudini, attraverso un rigido scadenzario e attraverso regole, il tutto che sia tranquillizzante.

E quindi mettete in campo la connessione, che vi fa sentire un “qualcuno coerente”, e che raggruppa ciò che non è prevedibile in schemi prevedibili. Tutto questo, nel semplice quotidiano e nel contesto relazionale della non-governabilità, dove vi sforzate di sovrapporre un ordine, a volte adattandovi, a volte modificando i comportamenti, o magari persino il modo di pensare.

Anche le relazioni sono caratterizzate da un presentarsi/ripresentarsi non-motivato, nonostante le programmazioni o le intenzioni che mettete in campo. Nemmeno le più strette relazioni sono regolate da connessioni: seguono anch’esse l’andamento disconnesso della vita.

Tratto da: Scomparire a se stessi (Il morire a se stessi è il morire dell’agente, Download libero)
Scomparire a se stessi, tutti i post del ciclo

Via della conoscenza. Questo è un viaggio a ritroso dentro noi stessi. Un viaggio in cui incontreremo delle strettoie create dalla via della Conoscenza e fatte di radicalità, di provocazioni, di negazioni, di paradossi e di metafore. L’agente siamo tutti noi che ci attribuiamo la paternità delle azioni che si compiono attraverso di noi, ma delle quali siamo i semplici portatori. Saranno messi in luce, e ci si presenteranno davanti, strada facendo, i nostri meccanismi, i nostri concetti e le nostre strutture mentali, e la voce che ci guiderà terrà la barra dritta, impedendoci di deviare.
La via della Conoscenza è una non-via e un non-insegnamento, perché è un contro-processo dei processi della mente. Non suggerisce pratiche e non dà mete, ma è la negazione delle pratiche e delle mete. Non porta alla conoscenza, ma svuota da tutte le conoscenze costruite sul cammino interiore intorno a un “io,” distinto, che cerca una propria evoluzione non capendo che tutto è già unità.
Per ogni informazione e chiarimento: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com

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Elena

Ci sono nelle mia vita evidenti “prove” che sia così, come pure è evidente il bisogno di struttura per tenersi aggrappati a binari che reputiamo salvifici fin tanto che le comprensioni per reggere il vuoto siano sufficientemente acquisite.

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