Cosa significa buddhadharma? [Antai-ji1]

Kōshō Uchiyama rōshi. Kyūdōsha. Il cercatore della Via. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Dopo la morte del mio maestro Sawaki rōshi, nel 1965, sono divenuto l’abate del monastero Antai-ji. Dichiarai allora che non sarei rimasto in carica per più di dieci anni e mi sarei ritirato nel 1975. Ecco, quel giorno è giunto. Il tempo vola!

Così fin dall’anno scorso ho iniziato a scrivere alcune parole da lasciare ai praticanti di Antai-ji al momento del mio ritiro. Nel farlo, le ho divise per tema: questi argomenti sono le cose che ho avuto a cuore durante tutta la mia permanenza ad Antai-ji. Pensavo di parlare davanti ai membri del monastero soltanto e invece, inaspettatamente e nonostante stia nevicando fitto, siete presenti in molti. So che le mie parole saranno registrate e che questo discorso sarà ascoltato anche da persone che oggi non sono qui presenti.
Ascoltate dunque le parole che lascio ai miei discepoli.

1. Studiare e praticare il buddhadharma solo per il buddhadharma, e non per assecondare sentimenti umani e mossi dalla passione per le cose del mondo.

1.1 Questa è la cosa principale per noi che ci ispiriamo all’insegnamento di Dōgen. Buddhadharma è la parola più importante del suo insegnamento. Nessuno ha messo in risalto il buddhadharma quanto Dōgen, in ogni occasione, sempre: è la sua caratteristica distintiva. A forza di sentirla nominare noi ci siamo assuefatti a questa parola, buddhadharma, al punto che, udendola, passiamo oltre senza considerare cosa realmente significhi.

[…] Noi buddisti siamo così abituati a sentir parlare di buddhadharma che diamo per scontato di sapere di cosa si sta parlando. E invece non ne sappiamo niente. Iniziamo allora dal chiederci cos’è che chiamiamo “buddhadharma”.

Me lo sono chiesto e ci ho riflettuto per anni. E di recente ho pensato che forse l’espressione che meglio ne esemplifica il significato è nel seguente dialogo fra due monaci cinesi dell’ottavo secolo.

Il monaco Tien chiese al monaco Shitou, suo insegnante:
“Qual è il significato essenziale di buddhadharma?”
Shitou rispose: “Inappropriabile, inconoscibile”.
Tien chiese di nuovo: “Puoi dire qualcosa di più?”
Shitou disse: “Il vasto cielo non ostacola le bianche nuvole vaganti”.

[…] Il grande cielo non ostacola le bianche nuvole vaganti. Vagano liberamente.
Penso che queste parole antiche esprimano al meglio il significato di buddhadharma.
In un primo tempo alla domanda “Qual è il significato essenziale di buddhadharma?” Shitou risponde: “Inappropriabile, inconoscibile”.
Sembra che stia dicendo “non lo so”, ma non è così.

Vuol dire invece che il buddhadharma è inappropriabile, è inconoscibile.
“Inappropriabile, inconoscibile” indica perciò la posizione di astenersi dal fabbricare qualsiasi pensiero in proposito nella nostra mente. Io lo chiamo “aprire la mano del pensiero”. Non ricordo esattamente quando ho cominciato a usare questa espressione: forse quattro o cinque anni fa.

Quando pensiamo qualcosa, noi l’afferriamo con la nostra mente. Ora, se apriamo la mano del pensiero… cade giù. Questo è lasciar cadere corpo e mente. Molti, quando sentono l’espressione di Dōgen “lasciar cadere corpo e mente” pensano a qualcosa che esce dai propri cardini e cade  a terra, ma non vuole dire questo: significa che quando apriamo la mano del pensiero, le cose che stiamo pensando cadono, vengono meno.

Penso che la mia espressione “aprire la mano del pensiero” abbia lo stesso valore di altre antiche espressioni. Per esempio il maestro zen Bankei diceva: “Non nata mente di Buddha”, un’espressione eccellente ai suoi tempi. Non credo, però, sia altrettanto evidente al giorno d’oggi.

Bankei diceva: “Ogni cosa è al suo posto con una non nata mente di Buddha”.
Allo stesso modo: “Ogni cosa è al suo posto aprendo la mano del nostro pensiero”.
Fonte

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7 commenti su “Cosa significa buddhadharma? [Antai-ji1]”

  1. Per natura abbiamo bisogno di classificare attraverso la mente.
    Arriva il concetto esposto come ad abbandonare qualsiasi codifica che la mente è pronta a proporre: sempre ho sentito che quella vastità non può essere riportata attraverso “strumenti umani” e sempre l’ ho sentita molto limitante, inappropriata.

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  2. Inizio del discorso è già la sua fine: non dobbiamo diventare nulla rispetto a ciò che già siamo.

    Non si tratta di diventare migliori o di acquisire chissà quali poteri, piuttosto di togliere quei veli che trasfigurano la nostra natura originaria unitaria , o natura di Buddha.

    Togliere quei veli simbolo di separatività illusoria rispetto agli altri esseri. Come?
    Aprendo il pugno del pensiero, tornando alla consapevolezza delle sensazioni, lasciando emergere l’Essere che ci costituisce.

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  3. quando non hai nessuna aspettativa su quello che stai facendo

    e non vuoi portare a casa il bottino ottenuto con la tua mente

    allora apri la mano e il pensiero scivola giù nella voragine del non io…

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  4. “Ogni cosa è al suo posto con una non nata mente di Buddha” , mi è incomprensibile, “aprire la mano del pensiero”, invece, la trovo una metafora molto appropriata per intendere il lasciar andare i pensieri, il non focalizzarsi sulla mente, specialmente quando si siede in zazen.
    La mente di Buddha è una mente cava, vuota. Forse non nata mente significa una mente che non è, poiché non ingombra di pensieri.

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  5. Quando ai proposto la lettura del “Tenzo”, all’inizio mi sembrava incomprensibile, poi alcune cose si sono chiarite, fino ad interiorizzare un certa cura, attenzione, presenza che da quei testi trapelavano.
    Ora di questo ho capito quasi niente, ma confido di poter comprendere continuando a perseguire nelle letture.

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