Tenzo Kyokun: Se non poni limiti al tuo cuore [13]

In verità, di questo ruolo ho udito (esempi) passati, ho visto di persona (esempi) presenti, sono nelle mie orecchie e nei miei occhi. Ci sono parole [che raccontano quel ruolo], c’è la verità [che custodisce], va detto che è davvero perfettamente coincidente [allo spirito e alla lettera della Via]!

Per esempio, anche chi è grato del nome di capo della comunità, [1] deve avere le stesse risorse di spirito. Nel Chanyuan qinggui è detto: “I due pasti devono corrispondere al principio, fini e abbondanti[2], le quattro offerte[3] non devono essere inadatte e scarse[4].

Il lascito benefico dei venti anni di Śākyamuni, avvolge e ricopre tutta la discendenza, il merito di un solo raggio della luce emessa dal bianco ricciolo (fra le sopracciglia di Buddha) ricevuto e usato non ha fine”.[5] Dunque così (continua) “devi sapere solo come essere di beneficio alla comunità, senza essere in ansia (lamentarti) per la povertà” e “se il cuore è senza limiti, naturalmente la buona sorte è infinita”. Queste dunque sono le risorse spirituali dell’abate che provvede alla comunità.
(Versione letterale dal giapponese inedita di J.ForzaniScarica il testo con le note)

[1] shuku han tō. Qui il termine che equivale ad abate è scritto a significare “capo dei pasti” nel senso di colui che ha la responsabilità di fornire il nutrimento per rendere possibile la pratica religiosa dei monaci. 
[2] seihōraffinato, energetico, puro e abbondante, salutare, ricco
[3] shiji no ku wa le quattro offerte (cibo, vestiti, alloggio, medicine) utili e accettabili per la vita da monaco.  
[4] ketsushōdanneggiato, scheggiato e scarso, non sufficiente.
[5] seson nijū nen yui on i vent’anni di lascito benefico del Venerato del mondo. Secondo un’antica tradizione indiana il santo dovrebbe vivere una vita di cento anni: Śākyamuni avrebbe rinunciato a venti anni della propria, come lascito ai futuri discepoli della Via: da questo lascito benefico derivano anche le offerte per la sopravvivenza dei monaci. byaku gō kō sanscr. ūrṇa– il raggio emanato dal ciuffetto di peli bianchi fra le sopracciglia, considerato uno dei trentadue segni fisici distintivi di Buddha.


13. Davvero è questa l’attività di tenzo che è testimoniata efficacemente dal comportamento di coloro che ci hanno preceduto: essa è viva nei miei occhi e nelle mie orecchie, è essa stessa i caratteri, è essa stessa il senso della via: non è forse il vero traguardo? Per esempio, se avete accolto con gratitudine il titolo di responsabile dei pasti, anche l’atteggiamento del cuore deve essere così.

Nello Zennen shinghi è detto: “I due pasti devono essere genuini, fini e abbondanti. Le quattro offerte (cibo, vestito, giaciglio, medicina) non devono mai essere insufficienti. La grazia dei venti anni di vita di Sakyamuni [dati per i posteri] ricopre e protegge noi discendenti, e non si può esaurire il merito, il beneficio di un solo raggio del ricciolo bianco fra le sopracciglia di Budda[1]. Perciò quello che tu devi conoscere è solo il servizio ai membri della comunità, senza rattristarti di essere povero. Se non hai un cuore limitato, in modo spontaneo avrai illimitata fortuna. Servire in questo modo i membri della comunità è l’atteggiamento concreto del cuore di chi sovraintende alla comunità stessa”.
(Versione del volume “E. Dogen, La cucina scuola della via, EDB, 1998”)


[1] Nella tradizione indiana l’uomo che vive una vita in armonia con la natura seguendo la legge divina vive cento anni: se muore prima è segno di qualcosa che non va. Era allora impensabile che Budda, il perfetto, fosse morto a ottantanni, venti prima del termine stabilito. Nasce così l’idea che quei vent’anni sono una delle offerte di Budda ai posteri: l’offerta di una parte dela sua vita si trasforma in beneficio per chi viene dopo di lui. Un ricciolino a spirale di chiara peluria fra le sopracciglia era considerato uno dei segni distintivi del Budda: da lì si dice esca un raggio di luce che è sorgente di bene per tutti gi esseri. L’idea è mutuata dalla concezione indiana del terzo occhio, situato al centro della fronte, che ha la visione della verità e della sapienza. Questo per dire che la visione autentica del vero è ispirata da una sapienza che si posa su tutto e tutti senza discriminazioni.  


13. I caratteri, le scritture autentiche, sono quelle lasciate dall’esempio vivente di chi ha testimoniato con il proprio modo di fare che l’attività del tenzo è cammino religioso in opera: questa testimonianza l’ho ancora davanti agli occhi, ne sento il suono vivo, ha la forma che gli ha impresso il carattere di chi l’ha incarnata, è il carattere della Via: è direzione e meta nel momento stesso in cui è messa in atto. Quindi, chi accoglie con gratitudine l’alto incarico di tenzo, deve avere questo atteggiamento del cuore.

La regola dice: «I pasti devono essere genuini, fini e abbondanti. In comunità non deve mancare mai il necessario: di che nutrirsi, di che vestire, di che coprirsi per dormire, di che curare chi è malato. Non c’è da preoccuparsi di essere poveri, perché il beneficio di chi ci ha preceduto, ricade abbondantemente su di noi. La comunione della vita fa’ sì che noi beneficiamo ancora oggi della compassione di Sakyamuni Budda, il primo fra le persone della Via.

Il corpo di Budda copre l’intero universo: persino la più infinitesima particella del suo corpo genera beneficio e virtù inesauribili. Quindi non ti devi preoccupare di acquisire meriti particolari, ma solo di servire la comunità. Se non poni limiti al tuo cuore, il tuo cuore è senza limiti. Chi serve in questo modo la comunità, è come il capo della comunità: il primo è colui che serve gli altri, chi è al servizio è il primo fra le persone della Via.»

Ciò che conta è lo spirito dell’autenticità: chi dà ciò che ha con cuore sincero, anche se l’offerta sembra irrisoria, dà infinitamente di più di chi fa’ un’offerta all’apparenza ingente, ma per tornaconto. Chi dà per dare, dà tutto e ottiene tutto: chi dà per ottenere, non dà niente e non ottiene niente. Questa è la pratica dell’uomo.
(Ristesura in forma libera e commentata di Jiso Forzani: dal volume citato)  

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8 commenti su “Tenzo Kyokun: Se non poni limiti al tuo cuore [13]”

  1. “Se non poni limiti al tuo cuore, il tuo cuore è senza limiti. Chi serve in questo modo la comunità, è come il capo della comunità: il primo è colui che serve gli altri, chi è al servizio è il primo fra le persone della Via”.

    Passo paradigmatico. Siamo tutti responsabili della Via, siamo tutti responsabili dell’organismo. Ognuno ha la sua funzione e ruolo, ovviamente. Ma pensare che esista un capo solo, da cui tutto proviene, in cui, infine, rimettere le proprie speranze è un modo della mente per deresponsabilizzarsi, non osare, nascondersi, che tradisce un certo grado di non comprensione.

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  2. “Chi dà per dare, dà tutto e ottiene tutto: chi dà per ottenere, non dà niente e non ottiene niente. Questa è la pratica dell’uomo.”

    Oltre il proprio io , con autenticità e semplicità comprendere ed aiutare
    senza aspettarsi niente in cambio.

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  3. Ciò che conta è lo spirito dell’autenticità: chi dà ciò che ha con cuore sincero, anche se l’offerta sembra irrisoria, dà infinitamente di più di chi fa’ un’offerta all’apparenza ingente, ma per tornaconto. Chi dà per dare, dà tutto e ottiene tutto: chi dà per ottenere, non dà niente e non ottiene niente. Questa è la pratica dell’uomo.

    In queste righe un vento di libertà vera: l’autenticità!

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  4. Avverto nel dare, due diverse intenzioni.
    A volte il gesto precede la mente, generato da pura gratuità.
    Quando è la mente che precede il gesto, l’intenzione è spuria.
    Credo che questo non sia un male di per sé, ma ci permetta anche di equilibrare le nostre risorse.

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  5. il tornaconto appartiene alle logiche del divenire
    fare nella gratuità appartiene all’essere
    il cibo deve essere abbondante nei 2 pasti principali,
    quello che fai per il bene della gratuità ti ritornerà su ogni tuo sopracciglio bianco

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  6. Mi sembra che sia ribadito il concetto che l’operare del Tenzo e gli insegnamenti o scritture (caratteri), siano la stessa cosa quando si segue la Via.
    Ogni compito eseguito nella gratuità è percorrere la Via e gli insegnamenti ci plasmano non solo seguendo la tradizione dei caratteri ma anche con l’esperienza

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