Ancora sull’essere persi a se stessi e sulla consapevolezza di esserlo

Perdere la direzione appartiene alla cose: l’identificazione con i fatti, con le interpretazioni, con le emozioni è una delle condizioni che ci conduce, attraverso avvitamenti di varia natura, alla crisi, al ripensamento e al riposizionamento. Non considero dunque un problema il perdersi, né l’identificarsi.
Considero un problema l’imparare prevalentemente in questo modo così doloroso: sbattendo, confliggendo, procedendo nella inconsapevolezza, ferendo sé, l’altro, l’ambiente attorno a sé.
Molto, troppo spesso non ci accorgiamo di essere persi a noi stessi e reiteriamo comportamenti e situazioni che portano solo dolore.
Come accorgerci del nostro disorientamento aldilà della pretesa di essere nel giusto, dell’illusione di stare bene e che tutto vada bene?
La soluzione è così semplice da essere banale: osservando l’ambiente attorno a noi, quello più vicino, più intimo e le reazioni che produce in noi.
Come reagisce il nostro compagno, la nostra compagna? Cosa fanno/non fanno i nostri figli? Cosa dicono quei petulanti dei nostri genitori? Come si comporta con noi il nostro collega di lavoro? Come ci guarda il giornalaio? E la cassiera dell’ipermercato? E di fronte a tutto questo, qual’è la nostra reazione?
Quando sviluppiamo conflitto, ci siamo persi. Se risiediamo nel nostro sentire ci sono divergenze, non conflitti.
Quando ci sentiamo vittime, ci siamo persi. Se c’è la consapevolezza della realtà, c’è anche la chiara visione che nessuno è vittima.
Bastano questi due indicatori, non serve altro.
Dalla consapevolezza di essersi persi nasce poi ogni possibilità di ritorno, basta essere consapevoli di aver smarrito la via.

Immagine da: http://goo.gl/Zk2jSW


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