Quanto possiamo scegliere in realtà?

Afferma Rudolf Bultmann che la predicazione di Gesù “richiama l’uomo alla sua posizione di essere di fronte a Dio e alla presenza di Dio a lui, gli indica il suo presente come l’ora della decisione per Dio.” (Teologia del nuovo testamento, Queriniana, pag.30)
Il presente come l’ora della decisione per Dio: è così dal nostro punto di vista?
Perché, se non decidiamo per Dio per chi decidiamo? Per mammona?
Non essendo il mondo diviso tra mammona e Dio forse non siamo tenuti ad alcuna decisione, a nessuna scelta essendo il mondo niente altro che aspetto dell’Uno che mai è divenuto due.
Nel presente l’umano sceglie qualcosa?
Nella sostanza, la possibilità di scelta è molto relativa. Ogni persona opera ciò che gli è possibile operare e anche quando una certa cosa che potrebbe fare, non viene fatta, questo accade perché quella cosa non è stata sufficientemente compresa: non essendo compresa nella sua compiutezza esiste un certo tasso di libero arbitrio, si può fare o no.
Se è compresa senza riserve non rimane alcun margine di libero arbitrio, quella è.
Nell’ignoranza rilevante o parziale la decisione dell’umano ha un certo margine, nella comprensione no.
La persona che ha compreso la realtà unitaria dell’esistente non ha alcuna possibilità di scelta e può vivere, eseguire, incarnare, solo “la volontà di Dio”.
Ma l’umano che ha una comprensione parziale, su un dato fatto, tra cosa sceglie in realtà?
Tra due o più opzioni relative che le sue comprensioni gli permettono di avere: non sceglie tra Dio e mammona, tuttalpiù sceglie tra una azione con un certo tasso di egoismo, ad esempio, e un’altra con un’altro tasso di egoismo.
Le comprensioni vengono conseguite solo attraverso le esperienze; non perché ce lo dicono, ce lo suggeriscono, ce lo impongono: solo sperimentando l’umano impara e comprende.
Se dunque le esperienze sono indispensabili e irrinunciabili e se vengono compiute proprio perché, in alcuni ambiti dell’essere, non c’è comprensione adeguata, perché caricare sulle esperienze la responsabilità, il peso della decisione per Dio, o contro di Lui?
Noi pensiamo che le esperienze siano solo esperienze e che mai l’umano è chiamato a decidere alcunché in merito a Dio, essendo egli niente altro che aspetto della Sua coscienza.

Immagine da: http://goo.gl/dl4H7Y


 

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8 commenti su “Quanto possiamo scegliere in realtà?”

  1. Peccato che il sito non mandi notifiche, e per così lungo tempo non ho visto la risposta. Rilancio adesso.

    E’ evidente che sul piano dell’Essere noi siamo Assoluto, e la questione del libero arbitrio da questo punto di vista non esiste. Non ha senso parlare di libero o non libero arbitrio come di qualsiasi altra categoria.

    Quando si parla di libero arbitrio lo si fa dal punto di vista del divenire; pertanto, secondo me è un errore applicare qualità del regno dell’Assoluto al divenire. L’errore è presumere di poter vivere in questa vita immersa nel divenire qualità che appartengono all’Assoluto. Non si può traslare “il libero arbitrio non esiste” dal regno dell’Assoluto (in cui ha un senso e un contesto) a quello del divenire. Perché le conclusioni allora sono determinate da una confusione di contesto, e si giunge facilmente al “quindi siamo prigionieri del divenire e non siamo liberi di scegliere”.

    Pertanto, chiarendo che si parla del divenire, perché nessuno di noi opera ancora in questa vita dal punto di vista dell’Assoluto, ma opera al meglio di ciò che può essendo Massimo, Roberto, e via dicendo, è evidente che esiste il limite che condiziona la scelta, ovvero esiste una condizione che limita l’ampiezza delle scelte operabili.
    E’ però un errore terribile pensare che essendoci un condizionamento non si abbia una scelta. Non è questo il senso delle parole di Scifo, che sottolinea invece che il libero arbitrio esiste.
    Il condizionamento restringe l’ampiezza della scelta (come dicevo un gatto non può comprare azioni), ma non le determina. Certo, stare nel flusso di un sentire porta verso un destino forse determinato. Ma l’umano ha anche la possibilità di agganciarsi a un flusso piuttosto che ad un altro, dipendentemente da ciò che ritiene possibile.
    Opera una scelta che non è il “solito” errore di rifiutare il destino, di remare contro il fiume, ma è quella di rendersi affine a qualità diverse di sentire, quelle che può riconoscere, e lasciarsi agire di conseguenza. Non può a lungo andare contro corrente al fiume, ma può cambiare fiume; e anche questo lo porterà inevitabilmente al mare.

    Le seguenti parole di Scifo rendono evidente che non esiste un’unica scelta:
    “Vi è una sola condizione, unica e possibile, filosoficamente valida e razionalmente accettabile, per cui il libero arbitrio possa esistere, pur in presenza dell’Eterno Presente e di un Grande Disegno pensato dall’Assoluto. […] l’unica possibilità è che il Disegno contenga già tutte le possibili scelte. E non soltanto, ma che il Disegno sia creato tenendo conto di quelle che sono le nostre scelte; e non che noi facciamo le nostre scelte in concomitanza con quello che è scritto nel Disegno; è esattamente l’opposto. E, siccome tutto questo avviene al di là del tempo […] questo significa che l’uomo in realtà non soltanto ha la possibilità di scegliere, ma è lo stesso creatore del Disegno. Essendo il creatore del Disegno, ogni limitazione che il Disegno eventualmente sembra porre all’individuo, in realtà è una sua scelta. Ecco quindi che, da questo punto di vista, il problema del libero arbitrio è un problema che non esiste.
    D – E’ come scegliere dei fotogrammi che son già esistenti. Ed esistono perché l’uomo li ha scelti.
    Certamente. Ed esistono perché sono stati “fotografati” tenendo conto delle scelte che voi avreste fatto. Quando tutto viene creato, emanato […] questa modulazione avviene in tutte le sue diramazioni, in tutti i suoi elementi, quindi tenendo conto di tutto ciò che conterrà.”

    “Contenga già tutte le POSSIBILI scelte”: frase che integra il condizionamento del limite ma che mantiene un’ampiezza di possibilità di scelta.

    “e non che noi facciamo le nostre scelte in concomitanza con quello che è scritto nel Disegno; è esattamente l’opposto”: frase che non lascia spazio ad interpretazioni errate.

    “E, siccome tutto questo avviene al di là del tempo […] Essendo il creatore del Disegno, ogni limitazione che il Disegno eventualmente sembra porre all’individuo, in realtà è una sua scelta. Ecco quindi che, da questo punto di vista, il problema del libero arbitrio è un problema che non esiste”: questo è ovvio dal punto di vista dell’Assoluto, che non è quello del divenire, ed infatti lo specifica (“avviene al di là del tempo”).

    […]
    (poi continua con quanto tu hai riportato, dal punto di vista dell’Assoluto)
    “[…] basta che uno pensi che qualsiasi scelta che l’individuo compie la compie a conseguenza di una scelta precedente, è già evidente che qualsiasi scelta compia, è già condizionata, quindi non può essere libera”
    Ma poi non si ferma lì e punto, continua: “In realtà diventa libera nel momento in cui tutte le scelte gli appartengono; il che significa che, alla fin fine, anche quello del libero arbitrio finisce per essere un falso problema”.
    Questo significa che anche la scelta individuale, di comprensione in comprensione, può evolversi a un punto da non soggiacere più, idealmente, a un limite, perché ogni scelta è attuabile e gli è propria. Questo è contemporaneamente il più grande dei liberi arbitrii e la fine dello stesso, è il superamento del tema. Ma non è la condizione che sperimentiamo in questa vita, e non si può vivere questa vita, che determina un contesto, pensando di poter operare con le regole dell’Assoluto!
    Di fatto, pensando di non operare scelte, ma tuttavia necessariamente vivendo nel divenire, compiamo la scelta di non scegliere, che è tutt’altro che assenza di scelta e che non significa affatto che non esista altra scelta!
    Anzi, essendo solo una delle possibili scelte, è vieppiù insignificante operare questa o altre scelte, o proporre la filosofia della non scelta. Pensare di non avere scelta, escludendo la possibilità che se ne abbia, è solo una parzializzazione delle realtà come tante altre.

    Altro aspetto dell’errore è considerare l’assenza di tempo e l’Eterno Presente come uno scatolone di possibilità preordinate. Ma questo è fuorviante. In realtà le parole di Scifo sono molto più allineate alla concezione della fisica quantistica, in cui le possibilità viaggiano senza tempo A PARTIRE DAL PRESENTE, e una scelta nel presente, ovvero quella definita “osservazione”, che altro non è che esperienza, cambia lo spettro delle possibilità sia future che passate.
    Quando si arriva a una comprensione, l’intero Eterno Presente (o Presente Eterno?) viene “ricalcolato”, come dice Scifo, tenendo conto di tutte le possibilità di scelta che ci sarà possibile operare, le quali, ovviamente, soggiaciono a un limite. D’altra parte, se non ci fosse limite, non ci sarebbe possibilità di ordine, e di una realtà esperibile in modo stabile. Sarebbe solo un sogno evanescente, senza possibilità di esperienza.

    Un abbraccio

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  2. Sono giunto alla fine del libro “Conflitto identità-coscienza”, e proprio nelle ultime due pagine vi è la spiegazione esplicita del come il libero arbitrio esista, e di come sia possibile l’esistenza della scelta.

    E’ esattamente collimante con la visione quantistica, che in passato ho preferito nominare “Presente Eterno” invece di “Eterno Presente”, proprio perché questa sfumatura rende più semplice comprendere la non ineluttabilità del destino che risulta tale se visto come uno scatolone di informazione prestabilita.

    Prendendo atto di questo insegnamento così chiaro, l’intero assetto filosofico assume una sfumatura completamente diversa…

    un abbraccio
    Max

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    • Dice Scifo a pagina 232: “[…] in realtà, se voi siete una parte del Tutto, al punto tale che siete il Tutto stesso, non soltanto la pennellata è vostra ma tutto il Disegno è creato da voi; questo al di fuori del tempo, aldilà del tempo.
      Certamente, se poi il problema lo si osserva dal punto di vista della relatività, allora si possono fare tutti i discorsi che si vogliono e considerare se l’uomo – considerato avulso dal Grande Disegno, senza ricordare il Grande Disegno, senza ricordare l’evoluzione, senza ricordare l’Assoluto e via e via – ha la libertà di scelta all’interno della vita che vive, e basta che uno pensi che qualsiasi scelta che l’individuo compie la compie a conseguenza di una scelta precedente, è già evidente che qualsiasi scelta compia, è già condizionata, quindi non può essere libera”.
      Nel mio linguaggio: ciò che noi chiamiamo vita, persona non è altro che aspetto del Sentire Assoluto che si manifesta nel relativo, nel tempo, nel divenire.
      Siamo Assoluto, E’ l’Assoluto. Non esistono né Massimo, né Roberto; la Realtà E’ e contiene in sé tutto il possibile, tutte le possibilità: a questo livello parlare di limitazioni non ha senso e quindi la questione del libero arbitrio semplicemente non esiste.
      Questo è ciò che la persona intuisce e sperimenta in vari gradi quando non è più radicata nel divenire e con esso identificata.
      Prima di giungere a questa esperienza la persona ha vissuto nella identificazione, nel divenire e le scelte che ha fatto erano la conseguenza di altre scelte.
      Esistono quindi due punti di vista:
      – quello conseguente alla non identificazione con il divenire;
      – quello legato alla identificazione.
      La non identificazione contiene in sé l’identificazione: il Sentire Assoluto contiene in sé tutti i sentire relativi la manifestazione dei quali è solo rappresentazione del Sentire Assoluto nel tempo.
      Essendo noi niente altro che Assoluto, tutta la realtà generiamo e tutte le possibilità abbiamo.
      Essendo noi niente altro che illusione (generata dall’identificazione con un sentire relativo), tutta la realtà viviamo come illusione, siamo prigionieri del divenire e non siamo liberi di scegliere: non siamo liberi non perché non esista quella possibilità ma perché, nell’identificazione, non la vediamo e quindi per noi non esiste.

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  3. Eddy, sono dell’idea che una consapevolezza simultanea su tutti i piani richieda, a un certo punto, di affrontare e comprendere il mondo anche a livello logico, e ritengo che questo debba essere argomento d’indagine per chi promuove tale consapevolezza. Comportarsi con la mente come la volpe con l’uva alla lunga mostra necessariamente i suoi limiti.
    Per me una fonte ispiratrice è sempre stata una mente libera come quella di Einstein che non si è fermato di fronte al senso comune, e solo con dimostrazioni pragmatiche (anche complicate) ha potuto portare a termine una verifica e una comprensione rispetto a qualcosa di assolutamente controintuitivo ai più.
    L’enigma della scelta è il punto cardine che determina tutta una possibile filosofia (e una scienza) a valle, e non è affatto trascurabile.

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  4. Questa interessante discussione solleva interrogativi mai morti in me.
    Da bambino capitava spesso che il mio corpo raggiungesse temperature di 40/41 gradi.
    durante quei momenti una specie di sogno avvolgeva i miei veicoli in grave disagio.
    Quel disagio veniva generato da quello che ho interpretato a livello simbolico come l’infinitamente grande che cercava di essere contenuto nell’infinitamente piccolo.
    Ancora oggi posso contattare quella forma di disagio, quel “prurito”, che in qualche modo mi spinge a fare sul piano pratico scelte … azzardate, a sperimentare fuori da logica ed istinto, insomma ad osare anche senza motivo apparente.
    Determinare se questa spinta arrivi dal piano akasico o no, sarebbe per me, come chiedermi chi ha disegnato il mio naso … che per inciso poteva anche essere fatto meglio!
    In questo periodo “ho scelto” di focalizzare il piu possibile “in basso”;
    prendersi cura del corpo, fisico emotivo e mentale, osservare e provare a rendere piu armonici i gesti e le parole, l’immagine che offro all’altro.
    E’ una scelta mia?
    francamente non mi importa, la trovo funzionale.

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  5. Che coscienza e identità non possano operare scelte al di là di ciò che possono concepire, non vi è alcun dubbio. Un gatto non può operare ad esempio la scelta di comprare azioni Apple.

    All’interno di questo limite, tuttavia, scuole di pensiero diverse collocano in maniera diversa l’intelligenza che crea nuova evoluzione. Molti pensano che la coscienza, ovvero il piano akasico, abbia un piano evolutivo precostituito e che sia generalmente bene allinearsi ad esso. La coscienza avrebbe quindi più di una semplice auto-coscienza, essa conoscerebbe la via giusta per l’evoluzione che deve ancora avvenire e pianifichi ogni vita di conseguenza. Molti sentono di confermare questo a valle di esperienze di sincronicità che non possono essere casuali.

    Altri invece considerano il piano akasico come un substrato di informazione che ha caratteristiche “meccaniche” di a) mnemonicità e b) di accessibilità da parte di più individui e poco più, con implicazioni che vado a spiegare.
    Le esperienze, tutti d’accordo, portano nuova informazione a questo strato. ***Ma proprio per questo, l’akasico non può avere capacità che vanno oltre il già esperito.***

    Attraverso queste caratteristiche le specie condividono fra loro informazione di base per poter operare esperienze ad un dato livello: la lucertola nasce sapendo scappare, il puledro nasce sapendo già camminare e correre, le madri mammifere accudiscono spontaneamente i piccoli, il respiro si fa da sé, gli organi interni si strutturano e funzionano autonomi con una complessità inaudita. Insiemi di pattern, di schemi, sono pronti all’uso da parte di veicoli fisici appropriati. Ogni esperienza poi rafforza l’archetipo confermandolo oppure ne porta un bit di trasformazione.

    E’ interessante notare che dai rettili all’umano, attraverso i mammiferi, gli esseri si sono evoluti regredendo da molte capacità istintive diventando sempre più dipendenti socialmente: mentre batteri, i pesci, una lucertola nascono autonomi, il mammifero viene accudito e l’umano è assolutamente inerme alla nascita.
    Il motivo biologico-evolutivo per questo è che l’umano, avendo meno informazioni in “hardware”, può imparare individualmente in maniera molto più variegata, creativa e complessa, in “software”. La specie diventa quindi più resistente in quanto decisamente più adattabile. L’uomo è l’unico animale che può sopravvivere a qualsiasi latitudine e perfino nello spazio. Sta di fatto che per proseguire nell’evoluzione l’umano si distacca da una parte dei sentieri già pronti e tracciati, in qualche modo più utili nel breve termine ma vincolanti nel lungo.

    In questa visione, i programmi archetipici (perché di questo parliamo) sono sia una base di partenza che “tiene in carreggiata” e permette di operare automaticamente programmi iscritti nei millenni e provati come adatti alla protezione della specie, ma sono anche un sentiero ristretto fuori dal quale è difficile uscire, bisogna appunto sapere cosa si sta facendo o aspettare millenni di evoluzione “meccanica”, sperando che una esperienza ci accenda quel “quid”.

    Stare nel flusso procura – secondo certi archetipi transitori stessi – una sensazione di benessere, uscirne crea attrito. E’ evidente: il benessere ti indica la strada già percorsa e più sicura fra quelle che puoi concepire, altrimenti la specie si estinguerebbe. Che un eventuale attrito generi però sofferenza o meno dipende da quanto l’individuo sa ciò che fa, e quindi accetta la sensazione ed è resiliente, oppure no, e quindi rifiuta le conseguenze del suo disallineamento soffrendo. Ma di fatto, secondo questa interpretazione, sono coloro che si disallineano (in serenità o dolore) a creare nuove strade, a scrivere nuove storie, nuove possibilità e nuovi archetipi sulle pagine dell’informazione akasica. Questo è il senso della sofferenza.

    L’intelligenza che a volte percepiamo come guidarci verso ciò che è meglio per noi, sempre in questa interpretazione, nascerebbe quindi dall’interazione sistemica e complessa fra le informazioni akasiche, di per sé meccaniche come la materia che compone un cervello. Nella interrelazione complessa emergerebbe l’intelligenza e l’auto coscienza. Così come le connessioni neuronali abilitano l’intelligenza, allo stesso modo le connessioni informazionali a livello akasico creano una intelligenza collettiva che può guidare verso percorsi “armonici”, già battuti, per una evoluzione individuale guidata.

    Questo non vuol dire, però, che essi siano preferenziali o migliori perché, appunto, non introducono di per sé nuova informazione a livello sistemico o esperienze “fuori dal seminato”, né permettono libero arbitrio: permettono unicamente all’individuo di evolvere in relativa serenità fin là ove la specie, o il suo gruppo, nel suo insieme, è già riuscita a concepire.
    Stare nelle tradizioni della tribù ci guida con benessere, finché sono abbastanza ampie da offrire possibilità di evoluzione, ma uscire a contatto con altre realtà o concepire altri orizzonti e aprire altre strade è altra cosa. L’archetipo dell’avventuriero ci può aiutare, ma quando avendo vissuto in pianura si incontra una montagna, nuove modalità vanno trovate da sé, non si trovano informazioni utili nella coscienza.

    ***L’intelligenza della coscienza là non opera più, siamo alla frontiera, da soli coi nostri veicoli, potendo solo provare a combinare elementi di conoscenza passata in maniera creativa secondo le risposte sperimentali che ci dà la realtà. Non abbiamo più nulla a cui affidarci.***

    Si potrà dire che forse queste nuove strade non sono necessarie, poiché infiniti umani sono già usciti dal ciclo delle incarnazioni senza di esse; o forse invece in maniera diversa tutti coloro che sono usciti dai cicli hanno dovuto fare l’esperienza di tracciare una nuova strada da soli, nudi, inermi, senza appoggio, e quindi nuove strade vanno sempre create per poter esperire questo.
    E’ evidente che un illuminato di un secolo fa non può aver esperito né concepito una passeggiata nello spazio: questa nuova possibilità deve avere un senso, in qualsiasi interpretazione.

    Venendo dunque al libero arbitrio, in cosa consisterebbe?
    L’umano che si è evoluto inconsciamente, quasi meccanicamente, attraverso l’opera degli archetipi e delle combinazioni di eventi che hanno generato esperienze nei millenni, giunge ad un certo punto all’auto-coscienza e alla coscienza del funzionamento dell’akasico. Sa non farsi trascinare dalle emozioni, sa usare la logica, le unisce all’intuizione del sentire e diventa autocosciente, anche nei veicoli.
    Conoscendo i meccanismi della realtà, quindi, può riconoscere ciò che gli è ignoto, si accorge dove gli manca informazione, e può deliberatamente – e quindi senza sofferenza – esporsi alle esperienze che sceglie ***pur non potendo sapere ancora dove lo porteranno***. ***Sa solo che è inevitabile che ogni nuova comprensione, qualsiasi sia il percorso, è un passo verso l’unità**.
    Riconosce e comprende i programmi a cui ancora aderisce meccanicamente e non vi si oppone, sempre di più sa che non può rifiutarli prima di comprenderli, ma può ipotizzare le esperienze necessarie per giungere a comprensione, vi si espone e quindi può svincolarsi dal programma. Può scegliere di fluire con alcuni programmi, e contribuire a trasformarne altri. In altre parole, può opporsi a un programma esponendosi ad esperienze inconsuete, e può anche sceglierne altri in cui lasciarsi trasportare consapevolmente con uno scopo di apprendimento deliberatamente scelto.

    Si esce sempre da un destino per entrare in uno più ampio, tuttavia, non stretti dall’urgenza di una comprensione, e gestendo le esperienze, l’intervallo fra l’uno e l’altro è sempre più ampio e libero. Si può scegliere di apprendere, e si può anche scegliere il contesto, anziché subire gli effetti dell’incomprensione; perché là ove si orientano le esperienze, là si orienta anche l’emersione di nuovo ignoto e la conseguente spinta (o attrazione), la conseguente manifestazione. Non vi è un programma unico e prestabilito. Vi è solo un esito finale dato, così come tutti i fiumi arrivano al mare prima o poi. Ogni comprensione è una rarefazione dei dettagli di un modello, ma non si può crescere e comprendere oltre l’unità, a cui perciò per forza si tende asintoticamente, qualsiasi sia il percorso.

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  6. Ricordo quella affermazione, la fece di punto in bianco e poi non la riprese o, perlomeno, non ho mai letto dove l’ha ripresa.
    Comunque, il libero arbitrio di cui parla è quello che io definisco “libero arbitrio relativo”:
    “Ma l’umano che ha una comprensione parziale, su un dato fatto, tra cosa sceglie in realtà?
    Tra due o più opzioni relative che le sue comprensioni gli permettono di avere: non sceglie tra Dio e mammona, tuttalpiù sceglie tra una azione con un certo tasso di egoismo, ad esempio, e un’altra con un’altro tasso di egoismo.”
    All’interno di un certo grado di sentire può fare scelte relative condizionate dall’ampiezza del sentire stesso: non può fare scelte possibili ad altri gradi di sentire.
    L’assassino non può praticare le scelte che sono possibili al santo e viceversa.
    Indipendentemente da ciò che sostiene Scifo questa è la mia percezione della realtà; in particolare, in merito al “sia fatta la tua volontà” la mia percezione è che quando il sentire ci porta in una direzione, là bisogna andare..
    Va notato che qui non si discute di come si va in quella direzione, la scelta dei mezzi prevede un libero arbitrio: si discute della direzione esistenziale su cui, secondo me, non c’è scelta.

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  7. Caro Roberto,
    Scifo, in “Conflitto identità-coscienza”, pag. 113-114, scrive:

    “Il libero arbitrio, in realtà, esiste checché voi possiate pensare, e non si limita semplicemente ad essere un’accettazione di quello che accade […] Dire ‘Sia fatta la tua volontà e non la mia’ può essere una manifestazione di libero arbitrio però non è soltanto quello il libero arbitrio, il libero arbitrio come scelta, la possibilità di scelta da parte dell’individuo esiste veramente, alla faccia del Disegno”

    Potresti spiegare cosa intendeva Scifo in questa sua affermazione? In questo contesto egli non si dilungò a spiegare.

    Grazie infinite e un abbraccio,
    Massimo

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