Divenire ed essere, operare e contemplare

[…] la vastità è pervasività del già preformato. Ed è proprio con questa visione della realtà che si scontra l’uomo che percorre quella via cosiddetta evolutiva (la via del migliorarsi e trasformarsi, ndr), perché non è abituato a mettere in discussione la sua voglia ed il suo sforzo tesi verso la costruzione di un obiettivo di crescita comune, di aiuto all’altro e di miglioramento di ciò che lo circonda, che però parlano principalmente di lui in un mondo “per lui”.
E quando sente questo suo assunto venir messo in crisi da una visione dell’esistenza in cui ciascun essere è inserito in una rete di incontri che è solo da riconoscere, quell’uomo ha difficoltà a decostruire ciò che ha edificato sulla vita e perciò a togliere via quei veli – i suoi concetti – che nascondono che tutto è già. (1)

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Il fare nell’accadere, agire nel non-agire, essere specchio (94)

La naturalità del pensiero porta l’uomo ad agire guidato da ciò che accade nel quotidiano; il pensiero ne viene catturato e l’uomo scopre che mai nulla riguarda colui che osserva. Quindi lui tende a dimenticarsi di sé ed a vivere in sintonia con ciò che accade, perché il pensiero è assorbito lì e l’emozione esprime accoglienza, mentre l’azione è non-azione – è stare in – perché muore il bisogno di agire per un fine.
Tutto questo accade perché l’uomo viene colto: in lui muore ogni finalità e ciò che c’è è il nuovo motore che determina l’agire. Perché colui che vive uno stato di non-mente vive ed agisce in aderenza con la radice profonda dell’esistenza.