La vita nell’eremo con i suoi modi, i suoi tempi, i suoi silenzi è la conseguenza di una scelta: permanere nella radice di sé.
Quella scelta è stata compiuta molto tempo fa e non è fondata sulla volontà, ma sul piegarsi ad un’esigenza esistenziale.
Un’esistenza intera chiedeva tempo, ritmo, silenzio, lontananza dalle menti e dalle emozioni, abbandono al semplice processo del vivere così come si srotola nella routine dei giorni.
Solo chi vive qui può comprendere l’incolmabile lontananza dal mondo e la simultanea vicinanza con tutti gli esseri imposta dalla compassione.
eremo
Stati e stadi dell’esperienza spirituale e del cammino interiore
L’esperienza della via spirituale nell’Eremo dal silenzio
L’eremo non è tanto e non solo un luogo fisico, è innanzitutto uno stato del sentire e una profonda esperienza esistenziale.
Una esperienza che oscilla tra il tempo e il non tempo: nella sfera del divenire – in cui l’eremo si colloca – ogni fatto è assorbito dall’essere, come la luce assorbe le ombre, come il caldo evapora la goccia.
Il corpo dell’esperienza dell’eremita è come la pietra del fiume che nei millenni si lascia invadere, scaraventare, rotolare, accarezzare e placare dalla corrente ora agitata, ora pigra e indolente.
Pietra di fiume è un eremo e l’esperienza che in esso avviene: ha bisogno di tempo, spazio e silenzio non condizionati, non mediabili più di tanto, non contrattabili.
La via nel silenzio e nella discrezione
Da giovani volevamo avere tempo, spazio, orizzonte vasto: la vita è stata generosa e ce li ha donati.
L’umano pensa sempre nei termini del fare: in un eremo non fai, stai.
Quando il mondo vortica, tu sei immobile.
Quando l’umano desidera, nulla ti attraversa.
Difficile comprendere, quando tutta la vita è azione condizionata, cosa significhi lo stare, l’essere senza condizione.
Finire in pace
Scrive una lettrice che qui chiameremo Ina:
“Anni fa ho avuto la sensazione netta della chiamata, una forza irresistibile che mi ha dirottata dalla vita solita, ho frequentato gruppi spirituali, fatto ritiri. […] col tempo ho lasciato i gruppi […] non c’è più nessuno con cui rapportarmi […] andrebbe bene anche così se ogni tanto non pensassi (come dici tu) di essermi persa […] vuoto..quello sì, la chiamata non la sento più, sono tornata a una realtà insipida […] non ho una pratica spirituale, meno che mai ne vedo il senso, i miei compagni di pratica sono i canti dei merli, i cespuglietti d’erba […] potrei dire che vivo di questo e in questo trovo gioia […] le paure […] mi hanno lasciata da lungo tempo […] ci sono per tutti ma così lontana da tutti […] è un po’ quello che ho sempre desiderato, l’eremitaggio.. e ora ci sono per davvero nell’eremo, rabbrividisco solo al pensiero di tornare in un gruppo di pratica, non amo i ritiri e le letture si sono ridotte..non c’è più ricerca […] È qui che si arriva? Distacco dal mondo, isolamento? Sì, c’è pace….e poi?