Contemplare è vivere la sacralità del presente

La contemplazione è un qualcosa che accade, non è qualcosa che la persona fa di sua volontà, le accade.
Quando si crea uno spazio nella mente, attraverso la consapevolezza e la conoscenza di sé, quando sorge un abbandono al presente, accade che quel fiore colpisca l’attenzione in un modo completamente nuovo, accade che quella parola ti esca di bocca con un senso e una pregnanza mai sperimentati; accade che il movimento di un braccio sia così vivido che, dal profondo, sorge una meraviglia che porta con sé lo stupore per un dono ricevuto, un dono immeritato per noi in fondo irrilevanti, che non deriva dalle nostre capacità, un dono gratuito.
La contemplazione introduce ad un vivere pervaso dal senso di gratuità, dove diventa evidente che la vita distribuisce a ciascuno le opportunità di incontrare il senso ultimo delle cose.
La gratuità porta con sé il senso del sacro: sacro non è ciò che l’uomo definisce tale o reputa tale; sacro è tutto ciò che esiste: nel suo esistere viene colto dalla persona nella sua intima natura.
Quella natura canta semplicemente se stessa: ogni persona canta se stessa, ogni cosa canta se stessa. Quel canto è ciò che l’uomo chiama sacro: sacro è ciò che l’uomo esprime e coglie nella sua autenticità.
Qui le parole non possono descrivere un’esperienza: la meditazione che fiorisce nella contemplazione è l’esperienza di questo, è l’esperienza della realtà.
Ad un certo punto lungo il sentiero tutta la vita diventa contemplazione: che si stiano lavando i piatti, camminando, mangiando, lavorando; in treno, alla guida dell’auto, durante un colloquio, la contemplazione affiora e pervade.
La persona diventa quel gesto, quella parola, quella situazione: lì non c’è più qualcosa che viene agito da qualcuno, lì scompare quel qualcuno e c’è solo l’azione. Non c’è più il fiore e colui che osserva il fiore: quando la contemplazione si afferma c’è solo il fiore e la meraviglia e la benedizione di quell’esistenza che si mostra nel suo essere.
Lì, l’osservatore è scomparso e lì, finalmente, si manifesta la libertà e con essa la leggerezza e il senso della propria irrilevanza e lì, solo lì, si può affermare: “l’unica cosa che conta è la vita!”
Lì, per la prima volta, illuminata da questa consapevolezza, forse possiamo usare la parola amore.
Quella parola non è contaminata da noi, a quel punto, è un’esperienza della realtà, dono della realtà.
La possiamo usare perché si è imposta come esperienza, altrimenti non potremmo azzardarci a pronunciarla.

Un’altra descrizione dell’esperienza della contemplazione la trovi alla pagina Meditazione e Contemplazione e ai seguenti capitoli del libro “Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione”:
14-L’esperienza dell’attraversamento
18-Lo sguardo del contemplante
19-La pregnanza di ogni singola esperienza
20-Il sorgere dell’esperienza della compassione

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