La differenza tra “il prendersi cura” e il “fare il necessario”

La differenza è molto grande. Fare il necessario significa rispondere ad uno stimolo, ad un bisogno, ad un comando e provvedere nei limiti ristretti di ciò che si ritiene “necessario”.
La situazione in sé viene isolata dal contesto, da ciò che la precede, da ciò che la contorna, da ciò che le consegue e ci si limita appunto al necessario, a quello che si considera tale.
Nella sostanza, detto in termini un po’ brutali, molto spesso facciamo il minimo indispensabile.
Il prendersi cura implica un atteggiamento radicalmente diverso: la scena viene colta nel suo insieme, l’azione è contestualizzata e tiene conto dei molteplici fattori in gioco e più è ampia la nostra capacità di valutare le implicazioni e le correlazioni, più l’intervento diviene efficace, duraturo, gratificante per chi lo attua e per chi ne beneficia.
Perché così spesso facciamo il minimo? Per egoismo, per pigrizia, per negligenza ma, soprattutto, perchè non abbiamo ancora compreso che solo dalla disposizione accudente sorgono l’appagamento di senso e la gioia profonda della gratuità e dell’esercizio di essa.

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comunita

La comunità, archetipo delle relazioni

E’ possibile leggere l’intero ambito delle relazioni umane come manifestazione articolata e piena del principio/archetipo comunitario.
Che cos’è una comunità?  L’ambiente nel quale avviene la manifestazione creativa del singolo, il suo processo di trasformazione interiore reso possibile dalla relazione con l’altro da sé che comporta vari gradi di responsabilità, di dedizione, di abnegazione, di servizio.
La comunità è anche l’organismo che testimonia “l’officina del vivere”; al suo interno accadono i processi della conoscenza, della consapevolezza, della comprensione che la compenetrano e divengono visibili come testimonianza, come fatto, come stimolo, come provocazione, come possibilità di riferimento e di formazione.
La famiglia è una comunità; il posto in cui si lavora è una comunità; il paese o la città in cui si abita, è una comunità; la nazione è una comunità; il continente e il pianeta sono comunità.
Nella comunità, all’interno del suo intreccio di relazioni, nei molti livelli di queste, avviene:
– il dispiegamento, a volte faticoso, del proprio esserci come individuo con i propri talenti ed i propri limiti;
– la conoscenza di sé, la consapevolezza di ciò che va affrontato e superato, la comprensione e la trasformazione della propria intima natura;
– la scoperta dell’altro da sé, il superamento del proprio egocentrismo, lo sviluppo della capacità di assumersi delle responsabilità e, infine, di mettersi al servizio.
Questo è il cammino di ciascuna persona, di tutte senza esclusioni, all’interno delle proprie molteplici comunità di appartenenza: il fatto che questo cammino avvenga nella inconsapevolezza quasi generale e che troppo pochi considerino la famiglia, o il posto di lavoro, come una comunità esistenziale, nulla toglie alla evidenza dei fatti e delle funzioni.
Esistono poi comunità, come quella del Sentiero contemplativo, che in maniera consapevole e deliberata perseguono tutto questo: lo coltivano, lo allevano tra mille limiti e altrettante cadute, ma senza sosta invitano a vedere con chiarezza come, senza la relazione consapevole e responsabile con il nostro prossimo, attraverso la piena esposizione di noi stessi, non ci sia altro che il confine angusto rappresentato dalla minuta e asfissiante coltivazione di sé.

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realtà

La realtà soggettiva, l’illusione del controllo

Ci sono persone che cercano di avere accesso alla realtà attraverso indagini minuziose quanto inutili.
Due esempi per tutti: l’indagine sulla fedeltà del proprio partner; il tentativo di conoscere l’opinione dell’altro su di noi.
Nel primo caso, il partner indagante può cercare nel cellulare del partner indagato le prove di una infedeltà.
Nel secondo caso, la persona che indaga l’opinione degli altri su di sé, sente gli amici comuni, chiede ai diretti interessati, o usa altri mezzi più raffinati.
In entrambe i casi, le risposte che si acquisiranno saranno oggettive?
O corrisponderanno ai bisogni esistenziali dell’indagante senza oggettività alcuna?
La seconda.
Se la persona ha necessità di vivere l’esperienza di essere tradita, troverà nel cellulare i numeri, i messaggi del tradimento.
Se, la stessa persona, ha necessità di percorrere ancora la via della fedeltà, nel cellulare del partner non troverà che conferme della sua affidabilità.
La persona che ricerca l’opinione dell’altro su di sé troverà, in modo simile al caso precedente, le conferme o le smentite che le abbisognano nel conseguimento delle comprensioni in corso.
La realtà sempre parla di noi e sempre in essa troviamo le occasioni per confrontarci con ciò che sul piano esistenziale ci è necessario.

Per un approfondimento delle dinamiche che ho appena accennato, vi consiglio la lettura dei libri del Cerchio Firenze 77, stampati presso le Edizioni Mediterranee.

Quando in una coppia muore l’amore fino ad allora conosciuto

Quanti abbandoni del conosciuto e dello sperimentato, quante crisi dei riferimenti consolidati debbono sperimentare i partner in una coppia?
Quante volte il loro rapporto deve cambiare profondamente natura? Tante.
Prima o poi l’innamoramento lascia il passo all’affetto e questo, nel tempo, è così appannato dalla routine che sembra che i due non abbiano più legame.
Erano carichi di bisogni e sembrava che l’altro fosse colui, o colei, che poteva rispondere, poteva appagarli; sapeva comunque gettare uno sguardo, darti del tempo, esserci.
Negli anni l’hai perso/a di vista: ti dorme accanto, ci parli, avete forse anche dei figli insieme; uscite la mattina, tornate la sera ma la routine via ha piallato il cuore.
Non c’è più niente, dite.
I bisogni rimangono e l’altro non risponde, non li copre con la sua mano, con la sua presenza.
Dite anche un’altra cosa: siamo al capolinea.
Tutti i rapporti arrivano al capolinea perché tutti i rapporti mettono a nudo i nostri bisogni, il nostro esserci o non esserci, la nostra capacità di relazione e di donazione; la conoscenza di noi, dell’altro, i rifiuti, le paure: i rapporti sani arrivano al capolinea, ad un punto morto, allo svuotamento.
Le favole che la mente narra sull’amore possono condurre all’innamoramento senza fine: esperienza che alcuni conoscono; piccoli, grandi accecamenti autoindotti, quasi sempre.
I rapporti sani conoscono il deserto; le persone sane conoscono il deserto; le società sane conoscono il deserto.
Il deserto e l’assenza, la perdita del conosciuto e del rassicurante, il tempo della decantazione, dello stare, della sedimentazione.
I due, nella coppia, sedimentano: come nel silenzio, come nel sonno, come nella morte.
La sedimentazione dei vissuti, delle esperienze conduce alla consapevolezza e poi alla comprensione.
L’umano deve perdere per trovare; deve passare per il deserto per comprendere il valore dell’acqua, dell’ombra, delle risa dei bambini.
Quando a noi sembra che tutto sia finito, in quel momento il nostro problema non è chiudere l’esperienza, è indagare sui nostri bisogni e su quelli dell’altro, sul nostro esserci, sul nostro fuggire, sulla nostra dedizione, sulla nostra latitanza: in quel momento si apre a noi la possibilità di vederci, conoscerci, divenire consapevoli, comprendere.
A partire da questo movimento interno che ciascuno dei due vive, o che almeno uno dei due vive, si può riprendere il cammino comune: la stagione dell’innamoramento è lontana; quella dell’affetto routinario superata, che cosa ci attende allora?
La capacità, possibilità di imparare finalmente ad amare.

Di questo parleremo il 26-28 settembre durante l’intensivo del Sentiero contemplativo al monastero camaldolese di Fonte Avellana (PU)

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