essenziale

Il cammino nell’essenziale, gruppo del sabato: meditazione e formazione all’Eremo dal silenzio, San Costanzo (PU)

Un percorso formativo permanente, una volta al mese, dieci mesi all’anno:
15,40-16,20 meditazione guidata statica e dinamica
16,20-17,30 esposizione del tema e discussione
17,45-18 meditazione guidata statica e dinamica
18-18,40 approfondimento di un tema della via spirituale, della conoscenza di sé, della relazione con l’altro, dell’essere della vita.
Il calendario.

Il percorso è accessibile anche a persone che non hanno confidenza con il Sentiero contemplativo purché siano disposte ad integrarsi, con la dovuta pazienza e disponibilità, nel cammino.

E’ necessario arrivare alle 15,30 e non oltre, muniti di sgabello o cuscino, tappeto da palestra, coperta.
E’ richiesta continuità di presenza.

Per iscriversi compilare il modulo seguente:

Un’omelia di Enzo Bianchi, promettere la propria vita a Dio e all’altro: è possibile promettere qualcosa che non si possiede?

Parto da un’omelia di Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, tenuta in occasione della ricorrenza della trasfigurazione di Gesù e della professione monastica definitiva di un fratello, per sviluppare una riflessione su un tema che mi preme: promettere.
Mettere in vista, porre sotto gli occhi, mettere avanti è il significato di promettere.
Enzo Bianchi nella sua omelia dice cose impegnative, intrise di idealità, di slancio, di volontà come di abbandono: parla della comunione in Cristo, dell’uomo che promette, della coerenza che ne consegue, del peso di non essere affidabile se l’epilogo dell’esperienza vede l’intenzione originaria svanire.
Tanta idealità, tanto slancio, tanto peso. Questa è una prima e approssimativa conclusione cui giungo: tanto peso sulle spalle di chi apre la propria esistenza al processo del conoscere, del divenire consapevole, del comprendere.
L’umano che si affida, che si impegna, che fa una promessa, che dà una parola, di questo parla Enzo: rispetto questa visione, ma non ne condivido l’impianto ispiratore.
Su cosa posso impegnarmi? Su qualcosa che non mi appartiene, che non è conseguito nel mio sentire? Sarei destinato alla frustrazione, alla lotta contro me stesso, all’irretimento dentro qualcosa che non sento, ad una alienazione sostanziale.
Allora, su cosa posso impegnarmi? Su ciò che è già configurato nel mio sentire, anche se non ancora maturo e pienamente consapevole.
In questo caso l’impegno è alla mia portata, è sostenibile perché fondato non sulla volontà dell’identità, ma sul compreso che risiede nella coscienza, nel sentire.
Questo promettere comporta uno sforzo molto relativo e, in molti casi, nessuno sforzo.
Il Sentiero contemplativo è anche una comunità monastica, persone che vanno consapevolmente incontro a sé e alla condizione unitaria dell’esistere:
se questo cammino fosse basato sulla volontà, noi avremmo perduto in partenza;
se fosse fondato sulla idealità, non avremmo fondamenta salde;
se fosse fondato sulla responsabilità verso Dio e verso i fratelli e le sorelle nel cammino, saremmo prigionieri della nostra promessa.
La nostra comunità è fondata sul sentire e i suoi membri ad esso obbediscono, ad esso si abbandonano, da esso sono guidati e condotti nei passi personali e in quelli comunitari: non alla volontà, non all’idealità, non alla responsabilità essi fanno appello, ma a ciò che risiede nel loro sentire, che li conduce incontro a questa esperienza e non lascia loro alcuna vera libertà di scelta, né di dire sì, né di dire no.
Possiamo noi parlare di promessa, di mettere avanti? Si, mettiamo avanti l’evidenza di non scegliere alcunché, di arrenderci a ciò che già esiste nel sentire e da questo è determinato.
Se le persone che sono parte dell’organismo comunitario fossero qui per scelta, noi avremmo sbagliato tutto e tradito il poco che abbiamo compreso: le persone sono qui perché non hanno potuto sciegliere, quello si è presentato, quello hanno riconosciuto, a quello si sono arresi.
L’identità, quando è legata alle proprie visioni e ai propri principi, sceglie, o crede di scegliere; quando non è più identificata con il proprio piccolo mondo sceglie molto poco, il più delle volete accoglie, obbedisce, asseconda, si piega al sentire.
Se nella nostra comunità fossimo legati anche, non solo evidentemente, dalla responsabilità nei confronti di Dio e degli altri, saremmo prigionieri: ciò che ci fonda è la comunione nel sentire, “l’essere uniti in Cristo/da Cristo” direbbe Enzo, questa unione e comunione è dinamica, fluida, responsabilizzante e liberante perché non si preoccupa di costruire, di preservare ciò che solo al sentire compete e da esso è alimentato, sostenuto, condotto aldilà della fragile intenzione umana.
Non sento pesi sulle mie spalle e sulle mie incoerenze; non ci sono pesi sulle spalle dei fratelli e delle sorelle nel cammino; rispondono a sé stessi e solo di sé si occupano e preoccupano? No, rispondono al sentire che li conduce dove è bene per i loro processi. Vanno dove sono, dove possono, dove non possono che essere.
Concludo: se l’umano costruisce, desidera anche preservare e perseverare. Se il sentire edifica, tutto è soggetto a trasformazione e nessuno deve promettere a qualcuno qualcosa che non sia già accaduto e in accadere.
Il nostro monachesimo è la consapevolezza dell’azione di un archetipo in noi, di quella forza che ci conduce incontro a noi stessi e all’unitarietà dell’essere e del vivere. E’ il monachesimo scritto nell’intimo di ogni vivente, consapevole o no che sia.

Immagine da: http://v.gd/6jPT1H


Lo sguardo parziale, la visione d’insieme: da ego ad amore

Più lo sguardo è ristretto, più l’orizzonte che ci riguarda è quello personale, più la difesa del nostro punto di vista è insistita, più ci muoviamo nel limitato spazio della nostra egoità.
Come si può comprendere quando la nostra identità si è fatta meno limitante?
Osservando l’ampiezza del nostro sguardo, del nostro interesse, del nostro slancio:
– quando cominciamo ad occuparci dell’altro da noi;
– quando cominciano ad interessarci i destini degli altri, persone o popoli che siano;
– quando in noi sorge la responsabilità consapevole delle nostre intenzioni, dei nostri pensieri, delle nostre azioni;
– quando cominciamo a considerare la ricaduta del nostro essere sull’altro da noi, sull’ambiente.
Quando incominciamo a comprendere cosa sia l’esperienza del “prendersi cura”, allora la nostra vita diviene testimonianza concreta di un sentire che si è ampliato, di un passo compiuto nella direzione dell’amore che si lascia alle spalle porzioni di egoità.

Immagine da: http://goo.gl/pou37B


 

Brevi, amare note, sui Test Invalsi, la formazione standardizzata, l’educazione vuota e formale

Ho letto l’intervista che Eleonora Fortunato ha fatto a Giorgio Israel, professore di matematica all’Università “La Sapienza” di Roma e membro dell’Academie Internationale d’Histoire des Sciences, riguardo ai Test Invalsi. L’analisi fortemente critica che il professore fa di questi test di valutazione scolastica, è illuminante e invito pertanto a leggerla.
Vorrei soltanto comunicare alcune riflessioni. L’intervista mi ha riportato a quando ero insegnante e  ha richiamato il fortissimo disagio, che ho vissuto allora, nel dover sottoporre agli alunni i suddetti test.
Quando ho avuto per la prima volta sotto gli occhi i quesiti preparati per una seconda classe di scuola primaria, sono rimasta scioccata dall’astrattezza e dalla difficoltà delle domande.
Pensavo: “Come possono tradurre, i nostri alunni, il linguaggio di queste consegne in qualcosa a loro comprensibile, dal momento che durante la somministrazione sono vietati qualsiasi chiarimento o spiegazione non dell’esercizio, ovviamente, ma delle consegne stesse?
Ora sappiamo, perché succede anche a noi adulti, che di fronte ed una novità abbiamo bisogno di un po’ di tempo per comprenderla ed adattarci ad essa e, spesso, di qualche esperto che ce la chiarisca.
Per acquisire certe competenze di base, inoltre,sappiamo che ci sono diverse strategie per arrivarci ed un alunno può sentirsi disorientato o inadeguato se si trova a dover utilizzare una strategia che non conosce o non padroneggia.
Da ciò è nata la necessità di preparare i ragazzi ai test, non di prepararli a risolvere  in modo creativo e dunque personale un problema, ma semplicemente a saper dare le risposte richieste a stimoli standard, proprio quelli, uguali su tutto il territorio nazionale, come se i ragazzi fossero tutti uguali e i modi di apprendere gli stessi per tutti. Non ragazzi unici ma omologati e standardizzati
Quanto tempo è richiesto agli insegnanti per preparare gli alunni a questi test? Quanto tempo è tolto ad attività più propriamente formative?
Se poi i risultati di questa somministrazione servissero anche a valutare la qualità dell’insegnamento e dunque degli insegnanti, come paventa il prof Israel, l’insegnamento si svuoterebbe di senso dato che si ridurrebbe a formare batterie di alunni in grado solo di dare risposte adeguate a determinati stimoli.
Preoccupa molto che la scuola sia sempre di più orientata verso un sapere nozionistico e astratto perché la vera competenza non si misura con dei test ma la si coglie in situazione, vale a dire nell’agire complessivo e concreto dell’alunno, quando corpo, emozioni  e mente sono coinvolti e collegati; questo tipo di competenza la può valutare solo l’insegnante quando è formato adeguatamente per coglierla prima in se stesso poi nell’altro.
E’ triste che coloro che stanno in alto nella gerarchia scolastica, nonostante i propositi contenuti nei programmi ministeriali di ciascun ordine, indirizzino invece la scuola a recepire solo indicazioni formali. I ragazzi invece chiedono con forza di essere guidati, nel corso della propria crescita, a conoscere se stessi attraverso un insegnamento che, nel formare abilità che servono nell’agire concreto, non  trascuri l’acquisizione di capacità che li portino a scoprire il loro interiore, a capire chi sono, qual è il loro compito nella vita  e come rapportarsi con se stessi e con gli altri.
La  misurazione di queste competenze non potrà avvenire con uno sterile Test Invalsi ma potrà essere colta dal modo col quale i i nostri ragazzi sapranno muoversi nel mondo.

Immagine da: http://goo.gl/JKXis9