Le diverse realtà dell’identificato e del non identificato

Afferma Maria nel commento al post Solo il giudizio ci separa dall’Uno: “[…] pura tossicità la logica del divenire, dell’imparare, del perfezionarsi.
Puro veleno che, immersi nella sequenzialità della mente e del divenire, non possiamo non bere fino a quando ci diviene evidente che esso ci ottenebra l’esperienza di quel che è”. Queste parole mi risultano di difficile comprensione, sarà che mi sento molto dentro la logica del divenire, avverto una logica di giudizio nel descrivere una parte ineludibile della nostra realtà. Perché deve essere veleno se è necessario passare di lì per giungere a superarlo? Sento che se non si sciolgono prima dei nodi identitari nel piano del divenire si rischia di rimanerne invischiati e parlare di Essere rimane solo una bella teoria.”

continua..

Solo il giudizio ci separa dall’Uno

Se ogni forma vivente altro non è che aspetto ed essenza dell’Uno, cosa ci separa dalla piena consapevolezza di quell’unità?
Il giudizio che diamo su noi stessi, i nostri pensieri, le nostre emozioni ed azioni.
Non esiste un censore che sia altro da noi stessi, noi blocchiamo l’accesso alla conoscenza, consapevolezza, comprensione ultime semplicemente etichettando, parametrando, giudicando ciò che siamo.
Senza giudizio ogni fatto è solo un fatto, natura ed essenza dell’Uno né alta, né bassa; né evoluta, né inevoluta; né unita, né disunita: il giudizio, che senza sosta opera in noi, è stato proiettato all’esterno ed è divenuto il Dio che chiede, che esige perfezione per essere conosciuto. Una mostruosità.

continua..

Ciò che ci separa da noi stessi e dall’Assoluto

Per ciò che pensiamo, proviamo, agiamo c’è sempre un cosa, un come, un perché.
Qui voglio sostenere una comprensione: non è tanto il cosa e il come pensiamo, proviamo, agiamo, ma il perché che ci mantiene connessi al sentire, a noi stessi, all’Assoluto, o ci aliena da esso.
Il perché riguarda l’intenzione: cosi muove quel pensiero, quell’emozione, quell’azione?
Qui parliamo di una persona consapevole, che sa osservarsi, non parliamo di chi vive e impara sperimentando e sbattendo.

continua..

Il perdersi e la natura della preghiera non duale

Prendo lo spunto da alcuni commenti al post Il dolore, la sua ragione, la funzione della preghiera per approfondire alcuni aspetti inerenti l’esperienza del pregare.
Premetto che, secondo la mia comprensione, esistono almeno due filoni d’esperienza distinti nella pratica della preghiera:
– la pratica che avviene nell’ambito duale, in una relazione dove esiste un io che interloquisce con un Tu considerato altro-da sé, il totalmente-altro;
– la pratica interna alla dimensione unitaria d’Essere, dove non c’è interlocuzione tra due soggetti ma confidenza, intimità, relazione interna ad un Unico Essere.

continua..