Zazen: capaci di stare di fronte alla vita che sorge

Noi sappiamo che la realtà che viviamo è ampiamente soggettiva: fatta eccezzione per alcuni dati che sono oggettivi e condivisi da tutti, il resto di quello che viviamo riguarda solo noi.

La coscienza genera le scene necessarie al cammino esistenziale personale.
L’identità introduce le sue priorità e colora gran parte di ciò che la coscienza attiva.
Le meccaniche del carattere e dei corpi sono in gran parte date, e in piccola parte modificabili.

Sedere in zazen è sedere nel mezzo della vita che sorge, dentro al suo generatore, noi, la nostra coscienza, la nostra mente, i nostri corpi.

Se non si ha chiaro questo, non si hanno gli strumenti per gestire i processi che accadono durante lo zazen.
Quali sono questi processi?
– La protesta dell’identità che non ha di che nutrirsi.
– La prigione/illusione del tempo.
– Il non senso del semplice osservare la vita sorgere.

Del primo di questi processi ho ampiamente parlato in altre sedi.
Del secondo, la prigione/illusione del tempo:
il tempo non passa mai, oppure scorre in un attimo; la dimostrazione della sua soggettività ed illusorietà.
Più ti opponi e protesti, più il tempo si allunga e non scorre.
Più stai e ti arrendi al semplice stare, più il fluire del tempo e dei processi si fa naturale e non costituisce problema: infine si entra in una specie di non tempo, di eterno presente.

Sul terzo, il non senso, vale la pena dilungarsi.
L’umano è legato al fare che gli conferisce l’illusione di governare i processi, di esercitare un potere attraverso il libero arbitrio: se togli all’umano il fare, l’operare, il modificare l’ordine dei fatti nel tempo e nello spazio, gli togli gran parte della pretesa di essere un io, una identità autonoma e libera.

La persona in zazen, davanti al muro bianco, si sente impotente: quante cose potrei fare, conoscere, sperimentare e invece sono qui davanti!
Solo con l’esperienza la persona comprende che è lì, nell’osservazione del sorgere di ogni moto e processo, che risiede il vero potere e la vera libertà, non dopo, quando l’intenzione e l’identità hanno già dato una direzione all’azione.

È quando l’intenzione sorge che si può vederla con chiarezza nel suo limite e nella sua potenzialità.
È quando un pensiero, un condizionamento identitario prende forma che lo si può conoscere, osservare, integrare, lasciare andare.
Quando torneremo ad agire, alzandoci da zazen e andando incontro alle nostre occupazioni, quella consapevolezza delle nostre intenzioni, e quella coscienza chiara della danza delle nostre identità, ci illumineranno l’agire, il fare, il relazionarci: saremo vividi e presenti perché avremo conosciuto l’origine di quello che ora stiamo mettendo in atto.

Zazen è una forma delle tante meditazioni possibili, qualcuno può ritenersi più portato per altre meditazioni: questo è legittimo, ma non scontato se non si conosce la differenza tra meditazione e meditazione.

Farò l’esempio delle meditazioni dinamiche di Osho.
Lo stato meditativo, di abbandono e superamento della propria centralità ed identificazione, viene raggiunto attraverso la danza a diversi livelli di intensità e di ritmo, quindi è il risultato di una pratica motoria che, di suo, produce uno stato di disidentificazione.
Qualunque danzatore dedito alla sua arte sa che danzando giunge ad uno stato di non identificazione, di sostanziale superamento di sé.
La danza, come tutte le arti, ha una valenza contemplativa intrinseca: praticandola assiduamente essa conduce, consapevolmente o inconsapevolmente, in uno spazio d’esistere altro.

La questione: queste aperture contemplative, per quanto ripetute e frequentate, non necessariamente consapevolizzano, cambiano la persona e la conducono verso nuove comprensioni, dunque non necessariamente sono pratiche spirituali.
Artisti che vivono profondi stati contemplativi in virtù della loro arte, possono poi, nella vita, essere particolarmente ottusi, od egoisti, o smodatamente ambiziosi.

Zazen è una meditazione interna ad una via spirituale, dunque è una pratica di conoscenza, di consapevolezza, di comprensione.
Non si può separare zazen dal paradigma del proprio cammino, dalle relazioni comunitarie, dallo studio, dalla dedizione..
Non si tratta di raggiungere stati contemplativi, ma di conoscere e modellare le proprie esistenze e per conseguire questo è necessario un approccio unitario che tenga assieme la pratica meditativa con il modo di pensare, con l’esercizio della volontà, con la costanza, con la cura amorevole del prossimo.

Quindi la pratica meditativa è interna ad una via spirituale, e una pratica non vale l’altra: c’è pratica e pratica e, a seconda del cammino, si segue l’una o l’altra.
Ciò non toglie che, in un cammino che ha la sua pratica, non si possano praticare forme secondarie ed ausiliarie per determinati scopi e fini.
Il Sentiero contemplativo ha privilegiato lo zazen come pratica meditativa centrale e costitutiva, e questo per le ragioni sopra descritte; d’altra parte ha incoraggiato altre forme, dalla “preghiera”, al mantra, alla danza, al canto nella consapevolezza che molte sono le vie personali alla relazione con l’Assoluto.

C’è stato un limite nel non coltivare prevalentemente una forma meditativa: le persone hanno praticato un po’ di questo e un po’ di quello, in genere molto poco di tutto, e poco hanno conosciuto dell’esperienza meditativa profonda.
Cercheremo di rimediare privilegiando una pratica, lo zazen, e praticandola con una certa intensità e costanza finché non l’avremo interiorizzata ed essa non potrà agire in noi come “luce che rischiara il cammino”.


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10 commenti su “Zazen: capaci di stare di fronte alla vita che sorge”

  1. Riconosco l’importanza di quanto scritto e ringrazio. Diverse volte ho avuto modo di scoprire l’origine di alcune identificazioni durante lo Zazen, quindi comprendo bene come esso sia una “pratica di conoscenza, di consapevolezza, di comprensione”. Un grazie particolare a Samuele per il suo pregnante commento.

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  2. Chiarimenti utili, anzi necessari nel processo di conoscenza,consapevolezza, comprensione.
    La logica dei concetti espressi nel sentiero, che Roberto sa esprimere in modo unico, è ciò che sta alla base del ” è cosi”, quell’approvazione che sorge dalla coscienza senza dubbio alcuno.
    Grazie

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  3. Sappiamo che la porta per l’essere è rappresentata dal ritorno incessante alle sensazioni. Tutti riescono a farlo in vario grado, intensità e frequenza. Non tutti possono integrare questa esperienza in un paradigma che ne riveli la portata esistenziale.
    Prima del Sentiero vivevo questa esperienza con consapevolezza minimale soprattutto nella corsa (jogging). Ad un certo punto la consapevolezza del corpo è in tutti i pori, in tutte le fibre; il profumo del sudore è avvolgente. Dissi ai miei nipoti che quando fossi morto mi potevano incontrare lì dove andavo a correre, correndo anche loro. Avevo colto la dimensione “oltre il tempo” di quella esperienza. Altro esempio è da bambini il profumo della terra e dell’erba, specialmente se umide. Sensazioni che risentirle ora esperienzano ad una esperienza probabilmente fuori dal tempo.
    Un conto però è accedere alla condizione dell’essere in determinate circostanze, come esperienza sporadica, un’altro conto è invece farlo in zazen, con consapevolezza e metodo.
    Zazen lo considero una sorta di palestra; un esercizio a frequentare la sorgente capace di sviluppare un’attitudine che si estenda al resto della giornata.
    Al tempo stesso esso non è e non può essere solo una palestra funzionale in quanto la presenza di funzionalità, di scopo, in certa misura lo snaturerebbe. È anche, o forse soprattutto, vita in atto. Vita che sorge e che transita. Vita che accade mentre qualcuno se ne accorge. Grazie.

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