La gratitudine per ogni fatto ed ogni situazione

Dice Nadia commentando il post Niente più dell’ordinario ci interroga e ci insegna: A volte ho l’impressione che ciò che sto vivendo sia una grande concessione, un regalo, un dono troppo grande per me. Non riesco sempre a riportarmi sulla questione che ciò che sto vivendo sia invece generato dalla mia coscienza e niente altro che il mio pane quotidiano. 

1- Dal divenire sorge l’esperienza dell’imparare, del comprendere.
Questo è il pane quotidiano: nel divenire siamo e nel divenire viviamo la trasformazione da un sentire limitato ad uno più vasto e, se non viviamo pienamente e intensamente, trasciniamo i processi e con essi il dolore, o la fatica che si portano appresso.
Vivere pienamente e intensamente, questa è un’espressione molto equivocata dalle identità che ritengono significhi vivere con un alto tasso di eccitazione mentale ed emozionale.
Non è così: l’eccitazione è figlia dell’identificazione e madre di altra eccitazione e non produce nulla che abbia sostanza nel tempo, è l’effimero per antonomasia.

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L’interesse per l’altro, l’amore oltre sé, la gratuità

Fai per l’altro senza aspettarti nulla in cambio;
non dare per ricevere;
sia il tuo interesse per l’altro qualcosa
che da solo basta per la tua felicità;
se davvero lo ami, sii vicino all’altro
qualunque cosa 
pensi o faccia,
perché il vero amore non ha bisogno
di essere corrisposto e,
quando tu ti aspetti di ricevere qualcosa,
allora stai attento a quello che
pensi,
perché già lì potresti trovarti in faccia
al tuo egoismo mascherato d’amore.
Scifo

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La gratuità: i pesci non esistono per essere pescati

Ciò che esiste non ha bisogno di giustificazione, esiste e basta.
Poi, certo, nella relazione si può essere funzionali l’uno all’altro, ma non è questa l’intenzione che muove il gesto creativo che dà origine all’esistente.
Nell’umano troppo è legato alla funzione, allo scopo, al soddisfacimento di un bisogno.
La creazione artistica fa, a volte, eccezione: l’artista crea perché è interno ad un flusso e non si pone il problema dello scopo, del fine, dell’uso della sua opera.

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Dare e avere

d-30x30Dare e avere. Dizionario del

Fare ciò che si sente – ci dicono le Guide – significa agire e rapportarsi con gli altri senza pensare ai vantaggi o agli svantaggi che ciò ci comporta.
Se stiamo attenti ai nostri comportamenti ci rendiamo conto che ben difficilmente facciamo questo ma che quasi sempre il nostro agire o non agire è regolato da una specie di «libro contabile» dell’Io sul quale riporta con attenzione le voci in attivo o in passivo.
Ma esistono dei momenti in cui si tiene il comportamento indicato come ottimale dalle Guide? Certo che sì, e si verifica quando le nostre azioni sono dettate non dall’Io bensì dalla nostra coscienza e fluiscono spontaneamente senza che l’Io possa contrastarle. Il principale problema per chi è incarnato, nell’osservare questo meccanismo, consiste nel fatto che proprio in quanto si tratta di comportamenti totalmente spontanei vengono messi in atto senza che neppure ce ne rendiamo conto, così il nostro Io non ha neanche la possibilità di accorgersene e di auto gratificare e incensare se stesso dicendosi: «Guarda come sono bravo». Se questo non accade, ci insegnano le Guide, se ci sentiamo soddisfatti per aver compiuto qualche buona azione, significa che non era poi così sincera e pura come ci piace pensare che fosse.

Messaggio esemplificativo

Vi vedo, fratelli, vi vedo, sorelle, riempire il vostro essere di carezze mai date e di sorrisi mai ricevuti, che rimangono dentro di voi simili a fiori seccati tra le pagine di un libro. Tristi carezze e tristi sorrisi, miei cari; come fiori tra le pagine del libro – per voi che sfogliate le pagine dei vostri giorni in cerca di validi perché – più che ricordi sono rimpianti di qualche cosa di incompiuto che era sul momento, che avrebbe potuto essere anche più a lungo, ma che invece è appassito nell’indifferenza, lasciando solo una povera spoglia, un pallido ricordo di ciò che era un giorno e che poteva essere ma che non è stato.
Ma perché non è stato, fratelli, che cosa gli ha impedito di essere, sorelle? Vi vedo sempre, miei cari, sfogliare le pagine dei vostri ricordi e fare un rapido calcolo; vi vedo sempre prendere la penna rossa e blu e diventare perfetti ragionieri, decisi a non lasciare nulla all’improvvisazione e a fare del vostro meglio affinché le colonne del dare e dell’avere, alla fine della vostra giornata, risultino in parità, in bilancio perfetto. Come siete attenti, fratelli, come siete pronte, sorelle, a trattenere una carezza se non siete sicuri di riceverne una in cambio, a rifiutare un sorriso come se aveste paura di aprire un nuovo conto doloroso che vi preoccupa perché, prima o poi, dovrete estinguerlo.
Dare e avere, avere e dare sono diventati le colonne portanti delle vostre esistenze; e quanto poco posto lasciate nelle vostre vite per la spontaneità, per l’azione immotivata fatta solo per il gusto di vedere rifiorire un sorriso su di un volto amareggiato!
Trovate così difficile dare, ma non è certo più facile per voi ricevere, e dov’è poi la differenza tra le due azioni se non nella vostra mente?
L’essenza del dare e del ricevere è la stessa, tanto che una stessa azione diventa per due persone diverse – e contemporaneamente – per una amore ricevuto e, per l’altra, amore donato.
Perché, vedete, dare e ricevere non sono solo un arido elenco di atti da contraccambiare, ma sono una questione d’amore; eppure è così difficile per tutti sia dare che ricevere; e quante scuse siete sempre disposti a trovare per non agire!
Quante volte vi ho scoperti a dire o a pensare che piuttosto che dare a malavoglia è meglio non dare?
Non è vero fratelli, state sbagliando sorelle, non ascoltate il vostro egoismo che cerca di creare giustificazioni al vostro non agire, che si dibatte in voi, per ciò che la fiamma di un atto d’amore, per quanto sforzato, vi può fare.
E cos’è più difficile: dare o ricevere? Come in coro vi sento rispondere che è certo più difficile dare che ricevere; ma che cosa c’è di difficile? Guardatela bene in faccia questa difficoltà; forse che ciò che gli altri – direttamente o indirettamente – vi chiedono è così grande da costituire per voi un sacrificio insopportabile, una barriera invalicabile? Ma che cos’è che vi viene richiesto, in fondo, se non un po’ dell’amore che avete dentro e che non vi costa niente, perché è nato insieme a voi ed è illimitato, e permea così tanto tutto il vostro essere che, per quanto ne doniate agli altri, a voi mai ne verrà a mancare anche in più piccola parte? Cos’è allora che vi rende incapaci di dare?
Una cosa sciocca, che sembra trascurabile e di nessuna importanza, eppure è proprio quella che rovina il vostro rapporto d’amore con quegli altri Voi stessi che vi circondano. In realtà, non è vero che non date o che non volete dare o che vi rifiutate di dare; non sarebbe giusto incolparvi di questo perché la voglia di dare fa parte di voi, e vi preme dentro in continuazione e fa sì che spesso diate anche quando sembra che vi rinchiudiate in voi stessi per non cedere. Ciò che rende così difficile dare, per voi, è il conflitto tra ciò che vorreste dare e ciò che il bisognoso, invece, richiede, tra quando vi sentite di dare e quando il bisognoso, invece, ha bisogno di ricevere.
Eppure ognuno di voi interpreta di continuo entrambe le parti, ognuno di voi è all’occasione un bisognoso e sa quindi – per esperienza diretta – quanto sia difficile accettare un fiore quando invece c’è interiormente la necessità di ricevere un bacio; quanto sia difficile accettare la mano porta prima di averne bisogno, o dopo che il bisogno è finito, o è stato represso, o è stato trasformato. Quante volte in voi brucia la ferita di una mano offerta a qualcuno con amore eppure ignorata se non addirittura disprezzata e derisa? Quante volte avete ignorato e deriso e, addirittura, disprezzato la mano che qualcuno vi offriva solo perché non era il tipo d’amore che voi avreste desiderato ricevere, o non era più o non era ancora il momento in cui ne avevate bisogno? È così importante saper dare agli altri ciò che più loro può servire riuscendo, quando è il caso, anche a travalicare se stessi!
Lo so che può sembrare difficile capire qual è la cosa giusta da fare, ma non è così; c’è una sola cosa da poter donare: l’amore; e l’amore non è fatto di reticenza, di resistenza, di indifferenza, di freddezza, di passività, di ostilità, ma è spontaneità, abbandono, calore, fluidità, partecipazione, trasporto, interesse per l’altrui bisogno, senza condizioni di alcun tipo.
È così importante saper ricevere dagli altri ciò che essi sono in grado di offrire; basta ricordare che qualsiasi cosa vi venga offerta, anche se non è proprio quella che aspettavate, anche se non arriva nel momento esatto in cui l’avreste desiderata, costituisce sempre un atto d’amore, perché quasi sempre è frutto di uno sforzo, il risultato di una fatica.
Cercate di non dimenticare ciò che, come bisognosi, avete provato nel ricevere quando cercate di dare, così come vi prego di cercare di avere sempre presenti le difficoltà che avete trovato in voi come donatori, allorché vi aspettate di ricevere.
Se riuscirete a fare questo, una grande comprensione vi riscalderà, una grande dolcezza – così immensa da sembrare quasi insopportabile per la sua intensità – pervaderà il vostro essere. E ogni volta che la sentirete sbocciare dentro di voi, siate certi e consapevoli del fatto che essa significa per voi e, di riflesso, anche per chi vi circonda, metamorfosi.
Provate a guardare in quel momento le carezze mai date e i sorrisi mai ricevuti che conservate dentro di voi, e scoprirete che non sono più tristi fiori appassiti ma che sono rifioriti più belli e più profumati che mai e che sono di nuovo pronti per essere donati in nome dell’Amore. Viola

Felice è l’uomo che tende la mano per aiutare un suo fratello e non soffre, non resta ferito, non s’adira
se non sente nella mano che prende la sua lo stesso calore che sente nella sua mano.
Com’è facile dare per ricevere, amare per essere amati, aiutare aspettandosi di essere aiutati,
sorridere per ricevere un sorriso, parlare per avere parole,
donare una lacrima per averne una in cambio.
Felice è l’uomo che è pago del calore della sua mano offerta, della sincerità del suo amore,
del disinteresse nel suo aiutare, della felicità nel suo sorriso,
della spontaneità nelle sue parole, della partecipazione nelle sue lacrime.
La candela accesa non si chiede a chi sta donando fa sua luce, non si domanda chi è che il suo calore sta riscaldando
ma, semplicemente, senza neppure accorgersene, dà tutto ciò che può dare,
con umiltà, ma totalmente e senza preclusioni. Labrys

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 104-108, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior