Complesso edipico, evoluzione del bambino, sessualità

d-30x30Complesso edipico, evoluzione del bambino, sessualità. Dizionario del

Secondo lo psicoanalista il complesso edipico si instaura nel bambino nel periodo d’età che va dai due anni circa ai sette, e consiste nel rifiuto inconsapevole del genitore del suo stesso sesso, ed è causato da una proiezione amorosa nei confronti del genitore di sesso opposto. Si tratta di una fase che, affermano gli psicoanalisti, è normale per la crescita caratteriale del bambino e che finisce col risolversi da sola grazie alla progressiva identificazione col genitore del proprio sesso.
Pur concordando che si tratta di un processo normale, le Guide ne hanno esaminato, nel tempo, i risvolti collegati alla diversa costituzione dell’individuo, della sua coscienza e dei suoi bisogni evolutivi che, ovviamente, non erano stati presi in considerazione da Freud.

Messaggio esemplificativo

 C’è una domanda che è meglio affrontare subito: «Il complesso d’Edipo esiste sempre e comunque o no?».
Certamente no, in quanto gli stessi studi fatti hanno constatato che in certe società (in particolare società «poco civilizzate») non si è riscontrata traccia, presenza del complesso edipico. Che spiegazione dare, allora, a questo?
Questo significa che il complesso edipico non è una cosa assolutamente necessaria, indispensabile alla crescita dell’individuo, altrimenti si presenterebbe senza dubbio da qualsiasi parte, in qualsiasi situazione, ma nasce sotto la spinta di particolari condizioni. Quindi non si può dire che nasca da bisogni del bambino e, in fondo, neanche da bisogni del genitore; questo per lo meno in senso generale, valido per tutti.
Ciò non toglie che, nella maggior parte delle vostre società, si riscontra la presenza di questo fattore definito «complesso edipico», al quale il nostro amico Freud ha però dato alcune connotazioni che, secondo il nostro punto di vista, non hanno poi quell’importanza preminente che è stata loro attribuita.
Queste connotazioni sono l’aspetto sessuale e l’idea della competizione.
Secondo il nostro punto di vista, nell’ambito del complesso edipico la sessualità non può avere quel posto così importante e preminente che le è stato attribuito dalle correnti psicanalitiche e freudiane in particolare.
Consideriamo il bambino, creature.
Il bambino, quando nasce, ha certamente la sua base evolutiva, certamente ha un inizio di personalità che sarà quella che dovrà avere, per cui si sarà strutturata già in partenza su certi schemi; però, senza alcun dubbio, non ha una vera e propria sessualità; ovvero per il bambino certamente esiste (non dai 3 anni ma da prima) addirittura una sensazione di piacere che può essere associata anche agli organi sessuali, tuttavia da lì ad affermare che il bambino si comporta in un certo modo nei confronti dei genitori in quanto si sente attratto sessualmente dall’uno o dall’altro genitore, il passo è molto lungo! Infatti questo significherebbe dare alla sessualità del bambino di pochi anni un’attività in qualche modo cosciente, consapevole, e non è affatto così.
La sessualità del bambino – quella parte di sessualità che nel bambino per lo meno si manifesta – è ancora una sessualità epidermica, fisiologica, quindi non indirizzata verso un oggetto sessuale particolare ma indirizzata e manifestata nei confronti di tutte le cose che gli suscitano certe sensazioni: anche mangiare, essere appagato come stomaco, essere accarezzato sono tutte sensazioni di piacere. È una situazione, è uno stimolo che in qualche modo può essere paragonato, nel bambino a uno stimolo sessuale, però non ha connotazione né maschilefemminile.
Quando nasce, il bambino ha dunque questa capacità, queste sensazioni di piacere che poi chiaramente, con il passare del tempo, si fisseranno in una direzione più prettamente sessuale. Egli, tuttavia, nasce un po’ come una pagina su cui scrivere, quindi come un insieme che deve andarsi formando sotto la spinta di ciò che lo circonda e sotto la spinta anche di ciò che proviene dalla sua parte «esoterica». Ora, cosa succede? Succede che il bambino non è ancora completo, non è ancora un essere unito, ma un essere che si sta formando, che si sta creando, che si sta plasmando attraverso le varie spinte e attraverso i bisogni che si vanno sviluppando… attraverso, anche, a contatti con i vari corpi che lo costituiscono.
Voi sapete che fino ai 7 anni non vi è ancora neppure il completo allacciamento del corpo astrale, quindi non vi è ancora una coscienza, una consapevolezza completa delle sensazioni e dei desideri; tuttavia sensazioni e desideri sono le cose principali che smuovono, che fanno parte della vita della coscienza del bambino, e questo lo potete constatare tutti i giorni, a quest’età.
Le figure dei genitori, per il bambino, sono quelle che devono fornirgli i modelli per creare il proprio «Io», per creare la propria manifestazione all’interno dell’ambiente fisico. Egli, quindi, guarda ai genitori (senza esserne consapevole, naturalmente: è un meccanismo che avviene spontaneamente) per prendere da essi ciò che egli reputa «buono» al fine di costituire se stesso nel modo migliore. Infatti, pensateci bene, creature: il bambino non osserva mai i genitori per prendere da loro i loro comportamenti sbagliati (magari a volte lo fa, perché non si rende conto ancora di ciò che è giusto o sbagliato) però principalmente cerca di prendere da loro ciò che a lui piace nei genitori. Ecco, quindi, che i genitori stessi hanno una funzione molto importante per il bambino, il quale conglobando gli aspetti migliori che rileva nei genitori, conglobandoli dentro di sé, dovrebbe arrivare a formare quell’individuo unito che poi crescerà, maturerà e darà il via a tutte le sue esperienze.
A questo punto entra in gioco, nella vostra società, quello che viene definito complesso edipico. Perché dico «nella vostra società»? Perché, in realtà, il complesso edipico non nasce da un bisogno del bambino, non nasce neppure dai bisogni dei genitori, ma nasce, invece, dal modo stesso in cui è strutturata la vostra società. È la vostra società che crea il complesso edipico, come reazione alla sua strutturazione («della società», ndc). Infatti, la vostra è una società in cui l’individuo è scisso, l’individuo è maschio o femmina; basta osservare i ruoli che il maschio e la femmina hanno nella società per rendersi conto che questa è una dicotomia non tanto reale quanto voluta e, in qualche modo, condizionante e imposta alla persona. Ecco così che il bambino che, come avevamo detto, prende a modello i genitori, invece di diventare nelle vostre società un individuo unito, parte già fin dall’inizio come un individuo scisso, un individuo separato, in quanto le due figure vengono vissute diversamente perché diversamente si comportano, diversamente sono inserite, diversamente agiscono e sono considerate all’interno della società, ed egli non riesce ad unire questi punti che vive come contrastanti, pur rendendosi conto che vi è del buono sia nell’uno che nell’altro.
L’idea che nascere maschio o femmina comporti già una scissione diversa all’interno del bambino non è del tutto condivisibile, in quanto certamente fisiologicamente un individuo nasce già maschio o femmina in teoria, quanto meno, però, il bambino non ragiona ancora in terminologia di maschio o femmina; per questo motivo ritengo che attribuire un carattere prettamente sessuale al complesso edipico non abbia del tutto senso: il bambino non ragiona in questi termini, ragiona in termini di ciò che gli piace, di ciò che desidera avere in se stesso e che gli altri che gli stanno attorno hanno. È «dopo» che viene l’identificazione del ruolo sessuale ed è quindi «dopo», a quel punto, che si smuoverà tutta la tipologia sessuale, che porta dall’adolescenza in poi, per l’individuo. Ma il bambino, almeno fino a una certa età, non pensa a se stesso come maschio o femmina; a meno che, naturalmente, in famiglia non lo condizionino ad osservare la vita in quella determinata prospettiva fin dalla più tenera età.
La sua situazione fisiologica, ovvero il possedere un corpo maschile o femminile, certamente lo porterà ad assumere un suo ruolo nella società, che però ricalcherà i ruoli che ha osservato nella famiglia e nella società di appartenenza. È a quel punto che nascono i problemi sull’identificazione sessuale. Ricordate che la parte fisiologica dell’individuo è un conto, e come vive interiormente l’individuo il suo modo di essere è ben diverso; e che la parte fisiologica non sia neanche poi così importante è vero proprio per il fatto che può esistere una parte fisiologica maschile e una componente interiore, invece, tendenzialmente femminile, anche se poi il discorso tra maschile e femminile andrà esaminato in seguito con più calma, perché è sempre più un condizionamento, una dicotomia imposta, che una realtà dei fatti.
Certamente, ricerche moderne sembrano voler porre una base all’essere maschio e all’essere femmina non soltanto a livello fisiologico ma anche a livello di cervello, a livello genetico e via dicendo. Sì, potrebbe essere vero e, in buona parte, è anche vero, ma vi è qualche cosa, però, al di là ancora, al di sopra di tutto questo, qualcosa che non è né maschio né femmina, e che influisce su questi aspetti; questi aspetti che la scienza genetica sta «a valanga» scoprendo sono, in realtà, ancora degli effetti secondari di tutta la situazione.
La condizione ideale, quella che l’individuo, la vostra razza, dovrebbe arrivare a raggiungere, a compiere, dovrebbe essere proprio quella di essere non scisso interiormente ma unito: riunire in sé gli aspetti maschili e gli aspetti femminili senza farsi condizionare da ciò che la società gli impone o da ciò che anche il suo fisico, in realtà, gli impone.
Quante volte voi osservate una donna e dite: «è molto dura, si comporta come un maschio» o quante volte deridete un uomo perché magari si commuove guardando uno spettacolo alla televisione! Questi sono certamente condizionamenti e null’altro, ma all’interno di ognuno di voi in realtà (e questo l’abbiamo sempre detto, fin dall’inizio dei nostri interventi) c’è una parte maschile e una parte femminile; e inoltre, creature, pensateci un attimo: come potrebbe essere altrimenti quando voi, nel corso delle vostre varie esperienze, siete stati ora maschi ora femmine, ora magari né maschi né femmine, e le esperienze che avete tratto da queste vite si sono inscritte nel vostro corpo akasico, fanno parte di voi.
Quindi avete in voi stessi entrambi i poli della sessualità individuale (e poi si dice sessualità individuale ma in realtà non è soltanto un polo sessuale, ma è un insieme di fattori, una costellazione di fattori che costituisce un certo tipo di esperienza, un certo tipo di personalità e via dicendo).
Il complesso edipico nasce dal desiderio da parte del bambino non di «competere» con il padre o con la madre o con, al limite, un fratello, con lo zio, con la sorella, con la zia, in mancanza delle due figure principali, ma quanto per far suo ciò che gli piace nell’altro individuo; quindi (e questa è una considerazione importante!) un sentimento positivo e non un sentimento negativo, come solitamente viene connaturato.
Questo accade perché cerca di diventare una creatura completa, cerca di inglobare tutti gli aspetti che gli piacciono. Perché inglobare ciò che non gli piace? Lui ha un ‘Io’ e questo Io cerca di primeggiare, di essere bello. Per questo motivo, quindi, cerca di prendere tutte le cose belle dagli altri e di farle diventare parte anche di se stesso. E in questo modo può squilibrarsi.
C’è da tenere presente che il bambino ha bisogno di formarsi e che avrebbe necessità di vedere le cose migliori intorno a sé per introiettarle e, quindi, creare un essere interiore equilibrato e tranquillo. Dal momento che non sempre le situazioni sono così idilliache all’interno delle famiglie e dei contesti sociali accade che il bambino finisca col diventare un individuo confuso.
Su questo bambino influisce una madre la quale, scontenta della sua condizione nella famiglia, scontenta del suo rapporto col marito, scontenta della posizione femminile, in generale, nella società, proietta sul bambino le sue ansie, le sue paure, senza rendersi conto del danno che fa alla costituzione di questa nuova personalità, la quale resterà squilibrata; e in quel momento sì che, allora, il bambino trasformerà il suo complesso edipico in un modo per ottenere ciò che non ha, ovvero per ottenere quell’affetto, quella sicurezza, quella tranquillità che la madre magari non gli dà, per sconfiggere quei fantasmi che la madre fa nascere dentro di lui, per togliere quel disagio nel momento in cui un padre che sembrava ormai sparito (e, quindi una possibilità di affetto, di emulazione, scomparsa) si ripresenta sbilanciando completamente il suo essere interiore e mettendo in dubbio ciò che egli ha preso da questi genitori, spaventandolo al pensiero che lui ha copiato queste persone e queste persone forse non avevano cose belle da copiare.
Ecco da dove può nascere il rancore nei confronti dei genitori: nella disillusione da parte dei figli!
La vostra società solitamente pone l’accento sulla madre, ma il ruolo di entrambi i genitori è importante, non può essere soltanto la madre. Se fosse soltanto la madre, allora sì che veramente il figlio nascerebbe in condizioni squilibrate fin dall’inizio, completamente squilibrate.
I ruoli del padre e della madre certamente sono identici. Può esserci una diversità nel ruolo dal punto di vista fisiologico, però dal punto di vista dell’accrescimento e dello strutturarsi della personalità del bambino i ruoli sono identici e alla pari.
Entrambe le componenti del padre e della madre sono strettamente necessarie e indispensabili al bambino per strutturare se stesso, ed è questa la grande responsabilità che entrambi i genitori hanno.
Se osservate quotidianamente i bambini che copiano gli atteggiamenti dei genitori, vedrete anche voi che non sempre copiano gli aspetti belli, ma copiano gli aspetti che a loro «sembrano» belli; ad esempio, un padre che scherza molto. Copiano questo atteggiamento e magari il padre scherza molto e non si cura degli altri, scherza molto perché è molto egoista, ma il bambino non si può rendere conto di questo! Resta affascinato dall’apparente affabilità, sensibilità, allegria del padre e copia questo atteggiamento, e questa sarà una disillusione poi, interiormente, quando si renderà conto di aver fatto la scelta sbagliata nel copiare proprio quell’aspetto.
Il discorso incomincerà a cambiare dopo i sette anni principalmente, quando il corpo mentale comincerà a costituire i suoi allacciamenti e anche il corpo akasico comincerà appena appena a costituire l’allacciamento con il seguito dell’individualità. Allora sì che la cosa diventerà più complessa e potrà esserci una scelta più consapevole, anche se chiaramente limitata per mancanza di esperienza da parte di quell’Io.
Il bambino tende a idealizzare i genitori e quando viene il momento della realtà dei fatti è difficile poi che riesca ad accettare di essersi sbagliato così completamente sui genitori, riportandoli ad una concezione di persone umane, normali; e, allora, corre il rischio di passare al comportamento opposto, quello del rifiuto totale, per cui entrano in gioco gli scontri generazionali, gli scontri adolescenziali, i rifiuti, i comportamenti antipatici, asociali, e via dicendo; che non sono, naturalmente, la norma, ma che possono essere segno di una non risolta accettazione delle scelte fatte dal bambino stesso, non delle scelte fatte dai genitori.
Di solito, si dà la colpa ai genitori (ed in parte è vero perché la loro responsabilità è grande), ma il bambino in realtà dà la colpa a se stesso per i suoi errori. Non mentalmente, naturalmente: interiormente.
Tirando le somme di quanto fin qui detto: il complesso edipico non è necessario, indispensabile all’evoluzione dell’individuo. Il complesso edipico non è da osservare – allorché esiste – nell’ottica prospettata dalle correnti freudiane; ovvero l’ottica sessuale è priva di una vera consistenza per quanto riguarda lo sviluppo di questo complesso edipico e, in particolare, l’idea della competizione, non soltanto non ha molta consistenza, ma, secondo il mio pensiero, non ha proprio assolutamente nessun fondamento.
Vorrei dire una cosa prima di andare avanti: quanto ho detto a proposito del complesso edipico, è necessariamente stato detto in chiave generale; in modo tale che ciò possa essere applicato, come base, come sfondo, a tutti i casi in cui questo fantomatico complesso si può evidenziare. Naturalmente, poi, le modalità di estrinsecazione sono variabilissime da un individuo all’altro, a seconda delle condizioni in cui si esplica, secondo l’evoluzione dell’individuo complessato, a seconda dei genitori che si trova o che non si trova, a seconda dell’ambiente sociale in cui si viene a estrinsecare questo complesso e quindi non si può più, oltre un certo punto, andare oltre alla generalizzazione, ma bisognerebbe, allora, proprio, parlare caso per caso.
Qualcuno ha tirato in ballo il discorso dei figli «mammoni». La mia interpretazione, in questo caso, è la seguente: il bimbo, come abbiamo visto, cerca di prendere dai genitori ciò che egli ritiene buono, giusto e utile (per se stesso, naturalmente).
Allorché si trova in una situazione di disequilibrio familiare – e nella vostra società solitamente questo porta ad un rapporto privilegiato del figlio nei confronti della madre – il figlio che cerca di prendere qualcosa, perché ne ha necessità, da entrambi i genitori, si trova a dover prendere quasi tutto dalla madre. Si trova, quindi, a introiettare dalla madre quelle che sono le principali emozioni che essa emana. Nel far questo (specialmente arrivato ad una età non più di tre anni ma più avanti) si rende conto del fatto che ciò che avverte dalla madre (che spesso poi la madre proietta sul figlio, dando luogo ad un attaccamento particolare) deriva da ciò che egli percepisce come mancanza da parte della figura paterna. Fin qua siamo d’accordo e non ci spostiamo neanche poi molto dalla concezione freudiana.
Dov’è che ci discostiamo? Ci discostiamo dall’idea di competizione nei confronti del padre e dall’idea inconscia di tendenza sessuale nei confronti della madre.
In realtà il figlio reagisce attaccandosi molto alla madre (diventando, appunto quello che viene definito un «mammone») proprio per il fatto che ha preso tutti questi elementi dalla madre e, siccome in questi elementi è compresa anche la mancanza del padre e i problemi che la figura paterna deficitaria ha fatto nascere nell’altro genitore, il figlio non entra in competizione col padre, ma si comporta in modo tale da cercare di dare alla madre ciò di cui egli sente che essa ha bisogno, non avvertendo la giusta presenza da parte del padre. Non è più, quindi, una competizione – quindi qualcosa di negativo, in un certo senso – nei confronti del padre; anche se poi possono esserci certamente dei sentimenti di rancore o di rivalità nei confronti del genitore deficitario, questo è inevitabile! – ma invece è, più che altro, un tentativo di dare alla madre ciò che egli pensa che non abbia avuto dall’altro genitore.
E questo – badate bene – al di là del comportamento reale della madre nei suoi confronti. Si parla comunemente, in questi casi, di madri che si attaccano molto a questi figli «mammoni»; molte volte invece non è neanche così; molte volte la madre si comporta normalmente nei confronti del figlio, non è neanche particolarmente attaccata al figlio: è il figlio che continua ad essere attaccato, in modo particolare, alla madre, perché si identifica con lei, avendo preso da lei molte parti e, quindi cerca in qualche modo di compensare in se stesso dando a lei ciò che sente mancare in tutti e due.
Non vorrei che dalle mie parole possiate giungere alla conclusione che, secondo me, io abbia affermato che i ruoli devono essere annullati; ho affermato che vi deve essere equilibrio, che l’individuo deve riuscire ad accomunare in se stesso tutti i ruoli, in modo tale da poter essere unito e non più scisso! È diverso il discorso. Anche perché, senza dubbio, un ruolo dell’essere femminile può essere quello di dar alla luce un figlio; questo non può essere un ruolo assunto da un individuo maschile. Quindi i ruoli devono esistere, ma certamente, l’insieme del dar vita a un figlio è fatto da un ruolo sia maschile sia femminile, che, nella loro componente di «sentire», hanno le stesse radici, devono avere le stesse radici; ed è a questo punto, a livello di «sentire», che l’individuo deve trovare la propria unità con gli altri.
Quando l’individuo trova l’unità con gli altri, all’interno del corpo akasico, del proprio «sentire», l’esistenza di un ruolo all’interno del piano fisico non ha nessuna importanza, in realtà, perché è un comportamento che l’individuo tiene perché è necessario; non è più un ruolo imposto dalla società, ma un ruolo sentito. È qua la sfumatura che dà un aspetto completamente diverso a tutto il discorso del ruolo.
Dobbiamo ricordare il fatto che il bambino non è totalmente costituito fin dalla nascita, ma che per il primo periodo di tempo è principalmente costituito da impulsi astrali (e, quindi, emozioni e desideri), poi da impulsi mentali (e, quindi, emozioni e desideri più pensieri) e soltanto poi, molto più tardi, da un inizio di «sentire» che incomincia in qualche modo a far capolino all’interno dell’individualità. Ora, forse, varrebbe la pena di esaminare un attimo l’evoluzione di questo fantomatico complesso edipico, all’interno delle dinamiche degli altri corpi dell’individuo.
Infatti nel corso dei primi anni di vita, il bambino cerca di prendere dai genitori ciò che ritiene meglio per se stesso; ma per se stesso chi? Per se stesso come «Io», certamente; no? Non può essere altro che qualcosa che gratifica il suo corpo astrale; quindi senza dubbio verrà attratto e cercherà di emulare in qualche modo il genitore che appaga i suoi desideri, che gli dà piacere fisicamente, che lo coccola, che lo vezzeggia e via e via e via. Soltanto allorché il corpo mentale comincerà a diventare più preponderante, soltanto allora il bambino cercherà di prendere dai genitori quello che appaga il suo corpo mentale, ovvero la capacità di pensare, gli interessi, le attività mentali; e soltanto dopo, quando ci sarà il corpo akasico più in funzione, più allacciato, più pronto a mettere in atto il proprio sentire, il bambino – il ragazzo, ormai, molte volte – incomincerà a fare una cernita tra le cose che avrà preso e sarà qua il punto difficile poi da superare.
Ecco perché, in realtà, è stato constatato che questo complesso si presenta in due fasi distinte: vi è una fase di acquisizione degli elementi e poi una fase di discussione, di cernita di questi elementi.
Io vi posso dire che, per lo meno nel primo anno di vita del bambino, l’identificazione della realtà, da parte del bambino, avviene principalmente attraverso il tatto e l’olfatto. Ed è per questo motivo che se mettiamo madre e padre vicino al bambino, certamente il bambino quando avrà fame, per essere allattato, si rivolgerà verso la madre, in quanto identifica la fonte del suo piacere e quindi della sua sazietà, con l’odore tipico della madre e del latte del suo seno naturalmente, che – ahimè – il padre non ha.

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 48-57, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior