L’esperienza del “quel che è”

Quel che è non è quel che vorrei; non è quel che è stato; non è quel che sarà.
Il quel che è diviene accessibile se la mente è vuota di aspettativa e di giudizio: l’aspettativa colora l’accadere; il giudizio lo confronta con quel che è stato, con il conosciuto in genere, o con quel che dovrebbe essere secondo i parametri di una morale, di una religione, di una filosofia o di una qualche credenza.
Se c’è libertà da tutto questo, sorge l’esperienza del quel che è.
Noi diciamo: un fatto è solo un fatto; se non è caricato di significati, se non è ricondotto a sé attraverso l’identificazione; se non deve per forza servire a qualcosa, è solo quel che è.

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Stati e stadi dell’esperienza spirituale e del cammino interiore

Pubblico degli stralci di una lettera che mi ha scritto una lettrice con cui da tempo sono in contatto, e poi provo ad analizzarne delle parti significative per il cammino interiore di molti che vivono quanto la persona descrive e, magari, non riescono a vedere e analizzare con altrettanta chiarezza la loro situazione esistenziale. Naturalmente, non mi limito alle considerazioni che la nostra amica fa, ma da esse parto per sviluppare un tema così come oggi lo comprendo, senza pretesa di completezza nella trattazione.

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Il nostro orizzonte esistenziale e spirituale

Vi propongo queste parole del Cerchio Ifior che mirabilmente esprimono il senso compiuto del procedere interiore e l’approdo nell’esperienza dell’unità.

Quando comprenderò con tutto me stesso che «Tutto È Uno»
che sarà di me, Padre?
Moti

Tu non avrai più la tua famiglia,
ma ogni uomo, animale, pianta, cristallo
sarà un membro della fratellanza universale.

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La paura di perdere e del non conosciuto, la vita nel sentire

Vorrei affrontare tre argomenti:
– La paura di perdere.
– La paura di andare oltre il conosciuto.
– La sostanza dell’esistere che si manifesta in ogni singolo e semplice fatto a chi ha la capacità di coglierla.

La paura di perdere
Scrive Samuele nel commento al post La solitudine: “Infine non c’è più niente….” ma nel contempo non c’è né depressione né morte, né tristezza, né desolazione, vero? C’è comunque “altro”, l’accesso all’essere a qualcosa che basta a sé stesso, al di là di ogni perché, direzione e scopo?

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