La meditazione e lo scomparire

Dice Alessandro commentando il post L’illusione di una mente intossicataLa disconnessione senza indagine del simbolo e delle cause che ci muovono porta alla rimozione ma non alla comprensione e quindi quelle stesse cause vengono ributtate più in profondità, nel buio, dove possono lavorare indisturbate. E’ quello che intendevi?
Si, intendevo proprio questo. Dal nostro punto di vista la meditazione, e con essa la pratica della disconnessione, ha senso se è inserita nel più vasto complesso del conosci te stesso, nel processo del conoscere, divenire consapevoli, comprendere.
Al centro c’è questo processo, non la meditazione, questo deve essere chiaro.

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Zazen è consapevolezza simultanea

Zazen è la consapevolezza simultanea del sentire, del contenuto mentale e di quello emotivo e sensoriale: tutti i piani del’esistere sono simultaneamente presenti alla consapevolezza durante zazen.
La consapevolezza recepisce, prende atto, lascia fluire.
La persona che vive in modo preponderante la propria mente, o la propria emozione, durante zazen può vivere un riequilibrio ma, spesso, quella persona si ribella alla staticità della postura, ai tempi lunghi, all’accadere insignificante: è abituata alle sollecitazioni della mente e dell’emozione, è avvezza ad alimentarle, o a combatterle.

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Sedere insieme in zazen

Ieri a quest’ora eravamo seduti in zazen. La luce del tramonto e il silenzio ci hanno accompagnati.
Al termine non ci sono state parole, ognuno è tornato a casa portando con sé il raccoglimento di quell’ora.
Sedere insieme in zazen è l’essere assisi nella gratuità: praticare senza scopo, semplicemente stare.
Praticare zazen è praticare l’Essere: il film della vita scorre e non c’è adesione, né identificazione.
I pensieri sono solo pensieri, le emozioni solo emozioni, la vita solo vita.
Sedere in zazen è la libertà dal condizionamento che diviene fatto, esperienza tangibile.

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La via, la pratica, il monaco

Dicevamo nel post di ieri che nessuno si libera da sé, il vivere ci libera. Se così è, e dal nostro punto di vista di questo non dubitiamo, la via interiore e le sue pratiche hanno la funzione di accompagnarci nel cammino quotidiano incontro a noi stessi, che avviene nelle molte officine esistenziali di cui il mondo è costituito e in alcune delle quali siamo immersi.
Se la prima ed ultima maestra è la vita; se ogni comprensione viene generata grazie alla relazione con l’altro da sé, allora sorge un problema di non poco conto:
che senso hanno i radicalismi di non poche vie interiori, le meditazioni estenuanti, i voti di vario genere, le molte discipline interiori cui si dedicano i praticanti?
Ho in mente le comunità monastiche cristiane dove uomini e donne sperimentano e vivono in comunità separate e dedicano non poche delle loro risorse alla gestione e al contenimento delle loro nature.

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