dove la mente vede il deserto, l'esperienza contemplativa svela il seme della vita
Vorrei sviluppare quanto emerso nell’Essenziale di ieri.
Le menti-identità leggono i frammenti della realtà, per loro natura non colgono l’insieme ma il particolare e sono mosse da un bisogno di presenza, di manifestazione, di relazione con le loro pari.
Hanno, giustamente, l’esigenza di calare un impulso, una conoscenza, un assaggio di comprensione nella loro vita, di incarnarli, di trovare il modo per farli divenire vita nel quotidiano.
E’ il sentire relativo, quello proprio degli umani e degli altri esseri viventi, che crea la realtà.
Quel sentire contiene nel suo dna un programma che lo orienta: “provengo da un sentire più limitato e sono in continuo ampliamento”.
I sentire relativi costituiscono il sentire assoluto il quale non ha quel programma, ma è la realtà compiuta, infinita ed eterna del sentire.
Il sentire assoluto non diviene e non crea, non ha domande, non cerca risposte.
Il sentire relativo, in virtù di quella sua disposizione-programma di fondo, genera il divenire e le domande, cerca le risposte.
Ho letto con interesse questa intervista a Raphael. Ho anche evidenziato delle parti: quelle in cui c’è piena condivisione di sguardo; quelle dove c’è perplessità e infine quelle che mi sono sembrate approssimative.
Ad esempio, trovo approssimativo quello che, in genere, dice in merito al cristianesimo.
Raphael riconosce una funzione insostituibile alla tradizione nella via spirituale: solo conoscendo l’esperienza degli altri sedimentata nel tempo, puoi sapere dove sei ora, dove è l’altro a cui magari ti affidi.
Nei gironi della bulimia dei rapporti, delle parole, degli alimenti, delle retoriche si mostra il tentativo dell’umano di riempirsi e di circondarsi di senso.
Non so quale sia il risultato: per chi scrive, in un lontano remoto, era miserevole.
Le scelte ripetute di rottura e di estrazione dalla ritualità hanno, nel tempo, svelato la natura del tentativo bulimico, la sua illusorietà, la sua vacuità.