La relazione tra sentire di coscienza

Vorrei sviluppare quanto emerso nell’Essenziale di ieri.
Le menti-identità leggono i frammenti della realtà, per loro natura non colgono l’insieme ma il particolare e sono mosse da un bisogno di presenza, di manifestazione, di relazione con le loro pari.
Hanno, giustamente, l’esigenza di calare un impulso, una conoscenza, un assaggio di comprensione nella loro vita, di incarnarli, di trovare il modo per farli divenire vita nel quotidiano.

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Sentire, non-azione, silenzio

La prevalenza consapevole del sentire genera non solo la condizione di non-azione, ma anche un sostanziale ammutolire.
All’ampliarsi del sentire corrisponde ineluttabilmente un affievolirsi dell’esercizio della volontà, un venire condotti nell’azione e  nella presenza e un altrettanto ineluttabile affermarsi del senso della propria marginalità nel mondo, che induce alla discrezione, al fare un passo indietro, al tacere tutte le volte che la vita non ci indica diversamente, e anche quando sembra non ci sia alternativa al dover dire, la nostra parola si fa prudente e discreta. 

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La mente divide, ma non per sempre

Per sua natura la mente analizza e di ciò che si mostra nella sua unitarietà coglie il dettaglio, evidenzia il particolare, sottolinea un aspetto.
Nello svolgere questa mansione ad essa connaturata, perde di vista l’insieme della cui natura poca sa comprendere.
D’altra parte, non è compito della mente occuparsi dell’insieme, ma della coscienza: essa è l’organo che tutto tiene assieme, che guida il procedere frammentato ed unilaterale dell’umano conferendogli direzione e scopo.

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