semplici fatti

L’amore per i semplici fatti

Un fatto piccolo non è un fatto banale, il vuoto chiacchiericcio nella mente, o tra le menti: è un fatto considerato nel suo essere, isolato dal contesto, non giudicato, non caricato di aspettative, osservato, ascoltato, accolto per quel che è.
In questa ottica tutti i fatti, anche quelli giudicati dalla mente come grandi, divengono semplici fatti.
Se il fatto non è qualificato e caricato dei nostri bisogni, mostra quel che: l’osservatore, libero da sé, dall’ingombro di sé, vive un incontro che sempre lo stupisce e lo riempie di meraviglia.
Cerchiamo l’eclatante, il forte e l’intenso nell’eccitazione della mente e dell’emozione, avviando così una ricerca senza fine perché quello che oggi ci eccita, domani è già banale.
Basterebbe che aprissimo gli occhi sui piccoli accadere liberi dal giudizio e dall’aspettativa e verremmo attraversati da una meraviglia che non sfiorisce.

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sentiero contemplativo formazione

La formazione 2015-2016 nel Sentiero

Il percorso formativo perseguito nel gruppo L’essenziale 1 e 2, negli intensivi, nelle meditazioni guidate.

Osare esserci e nel contempo essere disposti a lasciar andare.
Vivere un’emozione, concedersi un’espressione, permettersi di agire: simultaneamente osservarsi, essere consapevoli delle mille sfumature, discernere, abbandonare il giudizio e l’aspettativa.
Tra parola e parola; tra emozione e parola; tra emozione-parola-azione; tra azione ed azione che cosa c’è, cosa sorge in quello spazio intercalare quando se ne diviene consapevoli?

Negli esercizi dinamici sperimentare l’azione e la stasi, la parola e il silenzio, la sensazione, l’emozione e il vuoto di esse. Divenire consapevoli della pregnanza di ogni movimento, della volontà che lo genera, della fiducia che lo sostiene e lo accompagna.
Negli esercizi statici sviluppare la consapevolezza delle sensazioni, delle emozioni, del pensiero, del sentire: imparare ad osservare la sfilata dei flussi interiori e del divenire della vita.

Imparare ad osservare ciò che sta dietro la nostra espressione identitaria, ciò che la sorregge, la genera, la rende possibile.
La vita è pienamente vita quando la consapevolezza abbraccia il gesto vitale e la sua origine, la manifestazione egoica e ciò che la genera.

Vivendo nell’identificazione, con la consapevolezza della sola manifestazione della nostra identità, non cogliamo niente dell’essere della vita, della sua profondità, del suo senso, della sua vastità.


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perdere scomparire

La paura di perdere e i fraintendimenti relativi

Nel linguaggio del Sentiero, i temimi perdere, scomparire, irrilevanza ricorrono di frequente: quando vengono letti, o ascoltati da una identità che li interpreta secondo il loro significato corrente, nascono quasi sempre degli equivoci e, non di rado, un rifiuto.
Eppure in ambito spirituale dovrebbero essere ampiamente sdoganati: è risaputo anche dai neofiti che la libertà, è libertà da sé.
Alcuni vedono in questa libertà da sé quasi la negazione della nostra umanità, del significato stesso del vivere, della sua importanza, della sua sacralità.
Provo un certo imbarazzo a discutere dell’ovvio: chiunque conosca l’esperienza dell’ascolto, dell’osservazione, dello stare, del darsi tempo, del pregare, del meditare, del contemplare dovrebbe aver avuto accesso ad una visione più ampia della realtà in cui ha sperimentato la limitatezza del sé personale.
Avere la consapevolezza che l’umano non è riducibile alla sua incarnazione, non credo significhi negare questa e ciò che essa può portare come esperienza, come possibilità, come dono.
Solo una mente prigioniera della propria dualità, può pensare che l’aprirsi sul non conosciuto, sul non riconducibile ai sensi e a ciò che riteniamo oggettivo, voglia dire negare il conosciuto. Tutti sanno, lo spero, che oltre il mondo dei sensi esiste il mondo che un tempo si chiamava il mondo dello spirito, che è possibile sperimentare, che viene quotidianamente sperimentato da tutti coloro che meditano, che pregano, che hanno consapevolezza del loro essere interiore.
Perché mai debba esserci contraddizione, o addirittura incompatibilità, tra l’esperienza del mondo dei sensi e l’esperienza spirituale, è per me un mistero.
Se si ha conoscenza dei propri processi interiori, si sperimenta che l’accesso ad una percezione più spirituale della realtà, l’aprirsi all’ascolto vero, all’osservazione vera, all’accoglienza vera richiedono un farsi da parte della propria centralità egoica.
Con me al centro, vedo solo me. Con la disponibilità a mettermi da parte, si apre un mondo sconfinato perché quella marginalità di me crea le condizioni di una ricettività, di una accoglienza, di una permeabilità alla realtà che accade, impensabile e inaccessibile finché la consapevolezza è occupata dal mio esserci.
Ecco perché noi parliamo di perdere, di scomparire, di irrilevanza: perché sono le condizioni per allargare il nostro sguardo, ma nulla hanno a che fare con la perdita del nostro essere incarnati, del nostro tragitto personale ed esistenziale.
Certo, comportano la perdita della nostra centralità egoica ed egoistica: sarà per questo che alcuni di noi sobbalzano quando usiamo quei termini?

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Immagine da https://goo.gl/mnBs8P

amore

Sull’amore che tutto è

Continua la riflessione iniziata nel post precedente.
Molto si parla dell’amore, ma a noi non interessa parlarne, ci interessa trasmetterne l’esperienza ed offrire gli strumenti per conoscerlo e sperimentarlo nelle proprie esistenze.

  • Fornire gli strumenti

Non c’è albero che non produca frutto, non c’è persona che non possa vivere l’amore.
A volte l’albero è ammalato; a volte non piove o piove troppo; a volte non è curato a dovere e allora i frutti sono pochi, ammalati e soggetti a non conservarsi.
Il nostro compito, se abbiamo un compito nella nostra insignificanza, non è offrire frutti, ma mettere a disposizione di chi quei frutti desidera, le possibilità e gli strumenti per la conoscenza, la consapevolezza, la comprensione che da soli condurranno al frutto desiderato.
Non è compito nostro distribuire l’acqua, ma insegnare semmai ad aprire il rubinetto.
Questa è la ragione per cui poco parliamo dei frutti e molto della cura dell’albero.

  • Trasmettere l’esperienza dell’amore

Si può fare in molti modi, quello da noi scelto è il modo da persona a persona, della testimonianza più passiva che attiva, del viverlo e del coprirlo con il velo della discrezione.
In quanti modi potrei declinare l’esperienza dall’amore che ci attraversa? In molti, e potrei declinare l’esperienza parlando di meraviglia, di gioia, di senso incontenibile e senza confine. Ma non andrò oltre, questa è una sfera privata e tale deve rimanere.
Ma, come dicevo, l’esperienza dell’amore si può trasmettere da persona a persona: accade durante gli individuali, durante i gruppi, durante gli intensivi.
Pervade l’ambiente e lo rende saturo del suo essere tutto ciò che è e che c’è.
Possiamo fare l’esperienza dell’amore conoscendo ciò che in noi ci separa da esso, ce lo vela e ce lo nasconde.
Possiamo farla incontrando qualcuno che quella realtà vive nella sua ferialità, qualcuno per cui è norma, quotidiano integrato e ordinario.
Possiamo anche incontrare l’amore nelle parole, anche in quelle del web, o di un libro: è naturale, esse fanno risuonare qualcosa  che in noi già c’è, che ci appartiene ma non è così evidente e lo diventa quando viene risvegliato.
Noi abbiamo fatto la duplice scelta:
– dell’offrire alcuni strumenti per aprire il rubinetto dell’acqua da sé;
– dell’offrire una testimonianza silente di ciò che vive in noi come amore compreso, lasciando che si manifesti come fatto nella relazione, nella presenza, nella vicinanza.

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