La gestione del bisogno compulsivo di sperimentare

E’ una questione che riguarda poche persone problematiche? No, riguarda la gran parte di noi.
L’essere umano impara solo attraverso le esperienze, la coscienza amplia e struttura il proprio sentire solo se i suoi veicoli (mente, emozione, corpo) sperimentano nelle relazioni il compreso e il non compreso.
Dov’è allora il problema? Nell’assenza di ritmo, nell’eccesso, nel vuoto che si sperimenta quando l’esperienza non c’è.
Nella spinta compulsiva che ci porta a creare situazioni in cui si possano sperimentare sensazioni, emozioni, pensieri, trascendenze.
Come si può gestire questa spinta?
1- Comprendendone l’origine.
Cosa mi muove all’emozione, alla gratificazione intellettuale, all’esperienza spirituale eclatante?
Il bisogno di sentirmi d’esistere? Di sentirmi vivo e persona? Di percepirmi soggetto distinto da altri soggetti?
2- Creando degli spazi in cui osservare e ascoltare il bisogno, disconnettendolo.
Se sono consapevole del bisogno, posso gestirlo; se non riesco a vederlo mi può portare dove vuole.
Se lo vedo e ne conosco l’origine posso dire: “No, non adesso, questo è il tempo della pausa. Dopo.”
Come è evidente, il problema non è nell’avere dei bisogni, ma nel saperli gestire.
Concludo: l’essere umano impara attraverso le esperienze e queste sono generate dai bisogni: gestendo questi si impara non solo a non lasciarsi condizionare oltre il dovuto, ma anche ad entrare in un spazio altro in cui essi non sono più lo stimolo necessario per imparare.
A quel punto si inizia ad imparare non perché si ha bisogno, ma semplicemente perché è nella natura della vita imparare.

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La natura profonda della disconnessione e della fiducia, sabato 12 aprile, Eremo dal silenzio

Disconnettere è non unire pensiero a pensiero, emozione ad emozione, azione ad azione.
La disconnessione è l’aspetto pratico della non identificazione, del lasciar fluire, la condizione per poter vivere il presente e non subire il condizionamento della mente e dei suoi fantasmi.
Disconnessione e fiducia camminano assieme: nello spazio che la disconnessione apre, e che può anche essere popolato di angosce, opera la fiducia, l’affidarsi, il confidare, l’abbandono; un modo di guardare a sé, alle proprie relazioni, ai mille fatti del quotidiano completamente diverso.

Sabato 12 aprile ore 15,40, Gruppo di approfondimento, Eremo dal silenzio, San Costanzo (PU)

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L’importanza dell’identificazione e della disidentificazione

C’è identificazione quando attribuiamo a noi stessi un pensiero, un’emozione, un’azione.
Se non ci fosse identificazioni non si attiverebbero i processi esistenziali: la vita è un’immensa officina proprio perchè la persona è capace di dire: “Questo è mio!”
I processi attivati permettono di confrontarsi con il proprio limite di comprensione e di superarlo.
Mano a mano che la comprensione si amplia, la persona sente in sé che quel continuo appropriarsi della realtà genera spesso dolore, frustrazione, mancanza di senso: spinta dal disagio interiore comincia a mettere in dubbio la legittimità dell’attribuirsi ciò che accade e, nel tentativo di scoprire un’altra possibilità di lettura del proprio esistere, inizia il lungo cammino della disidentificazione.
Disidentificarsi è lasciare che un pensiero, un’emozione, un’azione siano solo fatti che accadono, non i propri fatti, solo fatti.
La capacità di superare l’identificazione, e di aprirsi alla realtà come semplice accadere, è fondamentale se si vuole scendere nell’intimo del vivere.
Siamo in presenza di un vero paradosso: scopriamo la vita solo quando non l’attribuiamo più a noi stessi!
Fino a quando esiste il “nostro” pensiero, il “nostro” bisogno, il “nostro” punto di vista non vediamo altro che le pareti della nostra officina, di quello che non abbiamo compreso: quando quel “nostro” scompare allora affiora ciò che è sempre stato lì, la semplice realtà che non è né nostra né dell’altro, semplicemente è.
Se la persona non fosse passata per l’identificazione non sarebbe giunta a scoprire il reale: se non avesse sperimentato il reale non potrebbe comprendere l’importanza dell’illusione, unica chiave al “ciò che è”.

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Sabato 15: imparare a riconoscere e a lasciar emergere lo zero

C’è una dimensione di esistenza che non è condizionata dalla mente e dalle emozioni, è lo spazio del sentire che noi chiamiamo anche zero, vastità, essere.
Quella dimensione è sempre presente, non conosce oblio, siamo noi che da essa ci allontaniamo e, perduti nell’identificazione, dimentichiamo la sua esistenza.

Sabato 15 febbraio, all’Eremo dal silenzio a San Costanzo, discuteremo e faremo esperienza di quello zero, fondamento di tutto l’esistere.
Ore 15,45, arrivare in anticipo.
La partecipazione è riservata ai componenti del Gruppo del Sabato e a due ospiti eventuali.

La foto è di Mirco Belacchi