La stabilità affettiva ed economica nel cammino spirituale

Non siamo eroi ma piccole persone che necessitano di una piattaforma stabile su cui muovere i propri passi interiori.
La nostra vita affettiva deve tendere alla stabilità, le turbe del corpo emozionale e mentale devono essere limitate e questo in genere è garantito da un rapporto affettivo maturo e stabile, o dalla condizione di singletudine.
Lo stesso si può dire per le condizioni economiche: una preoccupazione continua, o frequente agita l’identità e le impedisce la focalizzazione su qualcosa di più profondo.
Ciò che perseguiamo nella via spirituale è un ampliamento di sguardo e di consapevolezza: le tensioni emotive e mentali indotte dai conflitti interiori, dalla instabilità nei rapporti affettivi, dalla indisponibilità di reddito ci distolgono da quello sguardo e ci focalizzano sui bisogni primari dell’identità.
E’ possibile la stabilizzazione affettiva ed economica? Ci si può lavorare, si può attivare un processo che ad esse conduce: se la persona è consapevole della propria necessità interiore, se questa ha fondamento e concretezza, a partire da questa disposizione di fondo tutto il resto verrà ordinato.
Perché? Perché il bisogno spirituale è uno “stato della coscienza” ed è questa che genera tutte le scene della vita: se la persona mette al centro la dimensione della coscienza il resto si ordinerà affinché la priorità di quel centro possa essere mantenuta stabile.

Immagine da: http://www.centrocoscienza.it/


 

Chi crea la via spirituale e il suo “maestro”?

Prendo spunto da questa discussione in Comunità del Sentiero.
La tesi: la necessità di esperienza e di comprensione delle coscienze crea le vie spirituali e i relativi fondatori o maestri.
Il singolo fondatore/maestro non fonda alcunché, è il catalizzatore di una spinta che giunge da gruppi più o meno vasti di coscienze che generano la rappresentazione spazio-temporale a loro necessaria.
Il fondatore che inizia una via si trova a conferire a questa le caratteristiche, la filosofia, la teologia, le ritualità che necessitano alle coscienze che in quella via sperimentano e che è da esse stesse generata.
Il fondatore è il terminale di un processo creativo, non il punto di partenza.
Ciò che le coscienze vanno a condurre a rappresentazione può essere ancorato ad archetipi permanenti o transitori:
-ciò che Gesù il Cristo ha condotto a manifestazione è un impulso, una intenzione sicuramente ancorata ad archetipi permanenti, che durano nel tempo, sono oltre esso e parlano alle coscienze di ogni epoca mutando forma ma non contenuto.
Nella stessa rappresentazione del Cristo sono presenti archetipi transitori, principi che rispondevano alle esigenze di un tempo storico e che sono destinati a tramontare, vittime del tempo e del cambiamento delle necessità delle coscienze e delle identità.
Ogni via, se ha caratteri di autenticità, contiene in sé elementi permanenti ed altri transitori e, se rimane fedele alla sua intenzione originaria, saprà lasciar cadere ciò che è condizionato dal tempo e dal contingente.
Le coscienze hanno domande di fondo che necessitano di risposte/rappresentazioni coerenti: la necessità di imparare ad amare, ad esempio, è comune a tutte le coscienze di tutti i tempi e tutte, in tutti i tempi, genereranno le rappresentazioni spazio-temporali per apprendere e comprendere attraverso le esperienze quella capacità.
Noi chiamiamo queste rappresentazioni religioni o vie spirituali ed onoriamo i loro fondatori; non dovremmo dimenticare che le vie e gli insegnanti sono solo simboli ai sensi percepibili di processi altrimenti invisibili.
Ecco perché la persona che si è formata in una via o con un insegnate, ad un certo punto del proprio cammino sente la necessità di affrancarsi: in sé è nato lo sguardo interiore dei processi e non necessita oltre del simbolo esterno a sé.

Immagine: Vocazione dei primi apostoli, dipinto del Ghirlandaio, nella Cappella Sistina (1481).


 

Di cosa ci pentiamo o ci pentiremo

Rivolgendosi ai mafiosi il Papa ha detto: “Convertitevi per non finire all’inferno, è quello che vi aspetta se continuate su questa strada”.
Non voglio discutere della nozione di inferno che ancora trova spazio nella visione cattolica.
Per chi scrive il problema è di natura molto diversa: in questa vita, coloro che hanno accesso al senso di colpa lì trovano il loro inferno; nella vita dopo la morte tutte le tradizioni riconoscono che la persona si trova a rivisitare la vita trascorsa e a soffrire per il male inferto e l’egoismo provato.
In questa vita coloro che praticano la sopraffazione, l’egoismo, la violenza, l’assassinio, lo stupro si confrontano con la propria coscienza, se questa ha compreso il limite di quelle azioni: ma se non lo ha compreso?
Abbiamo la bizzarra idea che la coscienza sia “Dio nell’uomo” quando invece non è che uno dei corpi di quest’ultimo, una delle sue dimensioni (come lo sono la mente, l’emozione o il corpo fisico), per di più in evoluzione e strutturazione continua.
E’ vero che la coscienza guida l’operato umano, è anche vero che se non ha compreso determinati principi e valori procede per tentativi, impara attraverso le esperienze, sbagliando diremmo nel linguaggio comune.
Una coscienza che non ha compreso che non si ruba e non si uccide, permetterà che il suo veicolo, la persona, coltivi il furto e l’assassinio finché, di esperienza in esperienza non acquisirà i dati, le informazioni, le comprensioni per cambiare atteggiamento.
Chi ascolterà l’appello del Papa? Quei mafiosi la cui coscienza ha già compreso che certe azioni non sono legittime, che è pronta al cambio di vita ma che, per una resistenza dell’identità al cambiamento, ancora persevera.

Immagine tratta da: http://goo.gl/JtLBfq


 

La natura dell’identità

La coscienza manifesta in una vita non tutto lo spettro del suo sentire (l’insieme delle comprensioni derivate dalle esperienze delle varie vite-rappresentazioni) ma solo quella parte/porzione di sentire che deve essere completata, ovvero quelle comprensioni che non sono giunte a maturità o sono assenti.
In una vita ciascuno di noi manifesta prioritariamente il non compreso : lo scopo del vivere infatti è il conseguimento di comprensioni, non la manifestazione di esse.
Questa è la ragione per cui appariamo così limitati e ottusi: ciò con cui ci confrontiamo non ci è chiaro, non lo conosciamo, la coscienza si confronta con qualcosa che non sa, su cui non possiede dati.
Ogni coscienza/individualità è generalmente più ampia di quanto in una vita appaia, questa è la ragione per cui mai bisognerebbe giudicare, non sapendo in effetti chi è  quella persona che abbiamo davanti, quale il sentire che la caratterizza.
La coscienza realizza le scene del proprio apprendimento attraverso i suoi veicoli transitori: la mente, l’emozione, il corpo fisico.
I tre veicoli generano l’immagine di sé, l’identità, l’io: sono i tre veicoli, sulla base delle loro caratteristiche – ad esempio la memoria, i sensi, la capacità riflessiva – che generano l’immagine di sé, non è la coscienza che genera l’identità, questa non è un corpo, un veicolo, ma la risultante della relazione tra mente-emozione-corpo-coscienza.
L’identità è una sorta di derivato, di risultante, di prodotto del rapporto tra coscienza e veicoli.
La coscienza è la regista, i veicoli l’attore; siccome i veicoli danno luogo all’identità, noi diciamo che l’identità è l’attore.
Bisogna considerare che se i veicoli non sono stimolati e condotti dalla coscienza, l’identità non sorge o sorge in maniera residuale; si può dire quindi che l’identità rappresenta, nel tempo e nello spazio, nell’incarnazione, l’aspetto visibile di alcuni processi di comprensione con cui la coscienza si sta misurando.
La personalità rappresenta e manifesta invece uno spettro più ampio del sentire e dei processi esistenziali di una vita.
L’identità è anche la rappresentazione di come la persona si comprende, dell’immagine che ha di sé, di come interpreta il proprio cammino esistenziale, di come desidera essere.
Ciò che viene vissuto dall’identità svela ciò su cui la coscienza sta lavorando, ciò che non ha compreso, o ha compreso parzialmente. I nostri conflitti, le paure, le resistenze, gli abbandoni, le fughe, i fideismi tutto parla dei processi della coscienza.
Alcune dinamiche dell’identità parlano soltanto dei fantasmi che la popolano ma, anche in questo caso, la presenza di fantasmi denuncia un processo di comprensione non compiuto.
Quando in un determinato ambito la coscienza ha compreso, la mente/identità non genera fantasmi essendo il segnale forte e chiaro.
Guardando una persona possiamo vedere sia il messaggio – la lettura/interpretazione di sé che essa proietta – sia aspetti del sentire che sono soggetti a verifica ed approfondimento, sia elementi del sentire compiuti.
Se entriamo dentro questa visione complessa di noi e di tutti i viventi, forse ci rimarrà più difficile identificarci con le dinamiche identitarie nostre e del nostro prossimo; forse, di fronte a qualunque manifestazione saremo indotti a portare lo sguardo più a fondo, sui processi esistenziali, sulla relazione coscienza-veicoli: forse ci ricorderemo che l’identità è solo un prodotto dei processi, non una realtà.

Immagine tratta da: http://goo.gl/I3toCG