L’interpretazione di sé e dell’altro

“Ecco perchè vi diciamo che l’unica interpretazione possibile, alla fin fine, è quella che ognuno fa di se stesso; ed ecco anche perchè vi diciamo così spesso che è difficile poter veramente comprendere gli altri; perchè ogni volta che vi mettete a cercare di comprendere gli altri comprendete qualche aspetto che vi ha colpito, quindi che a voi interessa, ma non comprendete l’altro nella sua totalità; comprendete soltanto quelle che sono le vostre spinte nell’interpretare un certo aspetto dell’altro.”
Tratto da “Sfumature di sentire”, pag.170, Cerchio Ifior

Religiosità

I tempi sono maturi perchè il concetto di religione che fino a qua è stato portato avanti venga superato e si vada oltre alla religione così come attualmente è intesa.
Voi potete dire: “Ma, forse, il concetto di religione è diverso da paese a paese, da epoca a epoca”. Certamente, senza dubbio la manifestazione, l’esteriorità, la ritualità presente nelle varie religioni cambia, sia nel tempo che nello spazio, eppure quello che è diventato l’elemento portante di ogni religione è un elemento che accomuna tutte le religioni che esistono; questo elemento è la concezione che per poter comunicare con Dio sia necessario un tramite.(…)
E’ ovvio che il concetto di tramite dovrà sparire, in quanto ogni uomo arriverà a comprendere che, in realtà, può arrivare a Dio semplicemente passando attraverso se stesso.
In quel momento nessuna forma religiosa esteriore avrà più molto senso; ognuno sentirà non più una religione ma una religiosità personale che lo porterà a intrecciare il suo rapporto con Dio in una maniera più intima, diversa e più diretta.
Tratto da “Sfumature di sentire” vol.1, Cerchio Ifior, pag.164

Vivere il presente

Quando noi vi diciamo “vivete il presente” non vi diciamo di lavare i piatti concentrati nel lavare i piatti (anche perché concentrarsi nel lavare i piatti è una cosa noiosissima!) ma intendiamo dire che dovete vivere con tutte le vostre componenti attente su quello che state facendo e vivendo.
Questo non significa accettare “tutto” quello che fate o che vivete, ma significa essere consapevoli di ciò che vi sta accadendo in quel momento, quindi essere consapevoli che state lavando i piatti ma che ne fareste a meno e sarebbe molto meglio che li lavasse vostro marito o i vostri figli, che quindi, indubbiamente, siete egoisti perché demandereste ad un altro un compito da fare, però per voi sarebbe molto meglio andare a fare una passeggiata e togliervi dai piedi quei piatti noiosi… Essere consapevoli di questo e, allora, chiudere l’acqua, ragionare se il fatto che i piatti li laviate dopo tre ore porta danno a qualcuno e, se così non è, in piena coscienza, essere consapevoli che voi avete bisogno di andare a fare una passeggiata, uscire e abbandonare lì i piatti per fare ciò che voi sentite consapevolmente essere meglio per voi in quel momento.
State attenti: non “far ciò che più vi aggrada”, ma fare ciò che – senza nuocere ad altri – permette a voi di fare le vostre esperienze nel modo migliore.
“E se uno ha tanti desideri – dice la nostra amica – come faccio?” Eh, cara, se se ne hanno tanti questo molte volte succede perché l’individuo non ha ancora trovato quello giusto, altrimenti, se avesse trovato quello giusto, quello più importante, non ne avrebbe alcun altro. E allora, se uno ne ha tanti, signifiaca che la sua ricerca è ancora da portare a buon fine.
Dal volume “L’uno e i molti”, vol 5, Cerchio Ifior, pag 102

L’ultima verità

Ozh-en stava tranquillo sul suo capitello decorato a fiori di loto, aspettando che entrasse uno dei tanti visitatori che, nel corso della giornata, delle giornate, dei mesi e degli anni, venivano a parlare con lui per porgli delle domande, in quanto la sua fama oramai si era così a lungo sparsa che da tutti i punti cardinali arrivavano degli individui a porgli dei quesiti.
La persona sulla porta ebbe un momento di esitazione e poi si fece avanti. “Mio Signore”, – disse – “mi hanno detto che tu sei molto saggio e sapiente, che è la stessa Parvati che ti mette in bocca la sua Realtà e la sua Verità, e allora ti prego, mio Signore, io tanto ho vissuto, tanto ho girato per il mondo, tante cose ho visto, tante cose ho imparato, tante altre cose ho imparato a non conoscere, e adesso mi piacerebbe tanto, mio Signore, che tu potessi dirmi infine la tua ultima verità. Ozh-en incominciò ad arricciare il naso, a stringere gli occhi, a storcere la bocca, a gonfiare le gote e persino a muovere le orecchie; assumendo, in tal modo, arie sempre più strane e, in qualche modo, anche spaventose; al punto tale che l’interlocutore, quasi atterrito, si alzò precipitosamente e si allontanò dalla grotta.
Di fianco a Ohz-en, una giovane ragazza che lo osservava gli si rivolse interrogativamente: “Mio saggio Signore, possibile mai che l’ultima verità sia così spaventosa da farti assumere quelle espressioni terribili!?”. “Ah, mia cara” – rispose Ohz-en con un sospiro di sollievo – non hai idea di come sia stato difficile per me sentirmi prudere il naso e non potere farci niente!”
Tratto dal volume 7 de: “l’Uno e i molti”, pag. 88, Cerchio Ifior