Evolvere non è divenire

.. Il mondo che voi osservate è un mondo che sembra in continuo divenire, ma la verità è che voi avete la visione dinamica di un mondo statico.
La realtà non è “una” che diviene, ma “una” costituita da molte che “sono”.
Il selvaggio non diviene santo, ma l’uno e l’altro fanno parte di un “essere” che ha molteplici fasi di esistenza.
Evolvere, quindi, non significa “divenire”, ma è il manifestarsi in successione di differenti “sentire” corrispondenti a tanti stati d’essere.

Dal sito del Cerchio Firenze 77
http://www.cerchiofirenze77.org/

La consapevolezza dell’Uno

L’esperienza dell’unita’
prende corpo non nella consapevolezza di sé,
ma dell’altro da sé.
Quando l’attenzione si posa sull’altro
senza condizionamento,
ciò che sorge da quella osservazione
è il canto dell’Uno.
L’apparire molteplice,
il miracolo del differenziato,
esprime in sé il mistero dell’Uno.
L’Uno è un’esperienza
non esite concetto che possa descriverlo.
La vita dell’Uno è muta, è immobile,
si mostra come parola
e come creazione
che lo esprimono
ma non lo contengono.
L’Uno contiene ogni cosa,
lo stare che contiene tutto il movimento,
il silenzio che contiene tutta la parola.
Ti è possibile cogliere quell’essere che,
per un gioco percettivo,
appare come divenire:
se posi lo sguardo oltre
la percezione di movimento
provocata dallo scorrere della consapevolezza
davanti ai fotogrammi,
se guardi nella profondità del fotogramma,
quel mistero ti si dischiude.
Di chi è quella consapevolezza che scorre?
Forse puoi osare dire
che l’Uno osserva l’Uno,
è il suo gesto di consapevolezza.

A chi a occhi per vedere

Ho visto “La fabbrica di cioccolato”.
Ad un certo punto un bambino afferma: “Ma questo non ha senso!”
E l’altro bambino: “Ma il cioccolato non deve avere un senso!”
La vita del cioccolataio era un gesto puramente creativo.
Quattro dei cinque bambini sono metafora del mondo ingordo ed arrogante;
il quinto è curioso, attento, presente all’essenziale della vita, l’unico essenziale che veramente conta:
il gesto che crea, il gesto gratuito, il gesto senza scopo, pura tenerezza, puro gioco.
Il quinto bambino viene assorbito nel mondo magico del cioccolataio,
è metafora della vita vera oltre le fauci dell’appetito egoico.
Mentre guardavo il film ho capito il senso di una scena vissuta nel pomeriggio:
una conversazione con una persona in merito ad alcuni aspetti della nostra esperienza.
Nelle ore seguenti a quel colloquio era cresciuto in me un senso di disagio,
un senso di sbagliato, dove lo sbagliato ero io, naturalmente.
Stavo guardando questa cosa per comprenderla.
Poi abbiamo visto il film ed è diventato più chiaro.
Noi viviamo qui, nell’eremo, e questo è veramente un mondo a sé:
un mondo interiore privo dei parametri del “mondo”, costituito di una quotidianità,
di una piccolezza, di una insignificanza che, chi non la vive, difficilmente può comprendere.
Essenzialmente noi viviamo il “mondo” quando esso viene qui, nella forma di persone che capitano
per la nostra attività, o nella forma di notizie attraverso la televisione.
Ma noi siamo dentro la nostra piccola riserva, dentro questo spazio esistenziale
e quando il “mondo” viene è solo un piccolo tassello
in un sistema molto più grande che è il nostro quotidiano.
Quando noi usciamo di qui e andiamo nel mondo siamo noi il tassello
in un mondo molto grande che pulsa secondo un sentire altro dal nostro,
con altre priorità, con altri occhi.
Quando noi usciamo di qui siamo sperduti e smarriti come penso siano sperdute e smarrite
quelle balene o quei capodogli che di tanto in tanto, sempre troppo spesso, si spiaggiano.
Stanno lì, con i loro grandi corpi, fuori dal loro ambiente, al confine tra i mondi
e vivono il senso di una perdita irrimediabile.
Quando noi andiamo nel mondo viviamo il senso di questa perdita irrimediabile:
non la nostra, non siamo noi che perdiamo qualcosa.
Quando andiamo nel mondo si palesa ai nostri occhi la dimensione di quanto il mondo
sia perduto a sé stesso, di quanto sia lontano dalle poche cose che hanno importanza nella vita,
di quanto sia ammalato di niente.
Per noi l’esperienza del mondo è l’esperienza del niente.
Abbiamo paura e siamo fragili, questa vita ci rende estremamente fragili.
Qui, nella trascuranza, nella insignificanza, nella routine senza scampo,
ogni respiro, ogni movimento interiore è vita che canta se stessa.
Qui, osserviamo la vita accadere, o meglio, si rinnova il miracolo
di essere la vita che accade perdendo ogni definizione di sé.
Qui accadiamo con la vita che accade, non altro da essa, vita che accade.
Quando incontriamo il mondo fuori di qui, sul terreno del mondo,
è come un precipitare nelle sue viscere: sorge uno spavento e un ritrarsi per tornare a respirare;
allora, nel ritorno, ci sembra che quel grande corpo spiaggiato possa tornare
a riprendere il mare e fare ritorno a casa sua.
Dove è casa sua?
Dove la vita accade.
E dove accade la vita?
Dove sei consapevole del suo accadere.

Questi giorni

Questi giorni pervasi
di quella intelligenza della realtà.
Alla fine ogni cellula è permeata
di quella apertura.
Troppo vasta.