La gestione del bisogno compulsivo di sperimentare

E’ una questione che riguarda poche persone problematiche? No, riguarda la gran parte di noi.
L’essere umano impara solo attraverso le esperienze, la coscienza amplia e struttura il proprio sentire solo se i suoi veicoli (mente, emozione, corpo) sperimentano nelle relazioni il compreso e il non compreso.
Dov’è allora il problema? Nell’assenza di ritmo, nell’eccesso, nel vuoto che si sperimenta quando l’esperienza non c’è.
Nella spinta compulsiva che ci porta a creare situazioni in cui si possano sperimentare sensazioni, emozioni, pensieri, trascendenze.
Come si può gestire questa spinta?
1- Comprendendone l’origine.
Cosa mi muove all’emozione, alla gratificazione intellettuale, all’esperienza spirituale eclatante?
Il bisogno di sentirmi d’esistere? Di sentirmi vivo e persona? Di percepirmi soggetto distinto da altri soggetti?
2- Creando degli spazi in cui osservare e ascoltare il bisogno, disconnettendolo.
Se sono consapevole del bisogno, posso gestirlo; se non riesco a vederlo mi può portare dove vuole.
Se lo vedo e ne conosco l’origine posso dire: “No, non adesso, questo è il tempo della pausa. Dopo.”
Come è evidente, il problema non è nell’avere dei bisogni, ma nel saperli gestire.
Concludo: l’essere umano impara attraverso le esperienze e queste sono generate dai bisogni: gestendo questi si impara non solo a non lasciarsi condizionare oltre il dovuto, ma anche ad entrare in un spazio altro in cui essi non sono più lo stimolo necessario per imparare.
A quel punto si inizia ad imparare non perché si ha bisogno, ma semplicemente perché è nella natura della vita imparare.

Immagine da: http://goo.gl/0j7Fn0


 

Chi crea la via spirituale e il suo “maestro”?

Prendo spunto da questa discussione in Comunità del Sentiero.
La tesi: la necessità di esperienza e di comprensione delle coscienze crea le vie spirituali e i relativi fondatori o maestri.
Il singolo fondatore/maestro non fonda alcunché, è il catalizzatore di una spinta che giunge da gruppi più o meno vasti di coscienze che generano la rappresentazione spazio-temporale a loro necessaria.
Il fondatore che inizia una via si trova a conferire a questa le caratteristiche, la filosofia, la teologia, le ritualità che necessitano alle coscienze che in quella via sperimentano e che è da esse stesse generata.
Il fondatore è il terminale di un processo creativo, non il punto di partenza.
Ciò che le coscienze vanno a condurre a rappresentazione può essere ancorato ad archetipi permanenti o transitori:
-ciò che Gesù il Cristo ha condotto a manifestazione è un impulso, una intenzione sicuramente ancorata ad archetipi permanenti, che durano nel tempo, sono oltre esso e parlano alle coscienze di ogni epoca mutando forma ma non contenuto.
Nella stessa rappresentazione del Cristo sono presenti archetipi transitori, principi che rispondevano alle esigenze di un tempo storico e che sono destinati a tramontare, vittime del tempo e del cambiamento delle necessità delle coscienze e delle identità.
Ogni via, se ha caratteri di autenticità, contiene in sé elementi permanenti ed altri transitori e, se rimane fedele alla sua intenzione originaria, saprà lasciar cadere ciò che è condizionato dal tempo e dal contingente.
Le coscienze hanno domande di fondo che necessitano di risposte/rappresentazioni coerenti: la necessità di imparare ad amare, ad esempio, è comune a tutte le coscienze di tutti i tempi e tutte, in tutti i tempi, genereranno le rappresentazioni spazio-temporali per apprendere e comprendere attraverso le esperienze quella capacità.
Noi chiamiamo queste rappresentazioni religioni o vie spirituali ed onoriamo i loro fondatori; non dovremmo dimenticare che le vie e gli insegnanti sono solo simboli ai sensi percepibili di processi altrimenti invisibili.
Ecco perché la persona che si è formata in una via o con un insegnate, ad un certo punto del proprio cammino sente la necessità di affrancarsi: in sé è nato lo sguardo interiore dei processi e non necessita oltre del simbolo esterno a sé.

Immagine: Vocazione dei primi apostoli, dipinto del Ghirlandaio, nella Cappella Sistina (1481).


 

L’esperienza della poesia coi ragazzi a scuola

C’è un momento in classe in cui i ragazzi rispondono in un certo modo, un modo inaspettato e inesplorato.
Succede quando, con davvero poco, li porti all’interno di sé, basta un respiro a volte.
E’ quello che mi è successo sempre come insegnante, toccare con mano la differenza tra il far lezione e lo stare invece insieme a rendere palpabile qualcosa di semplice e speciale.
E’ successo anche stamattina, in una prima media, dove abbiamo sperimentato un primo approccio alla poesia.
Abbiamo iniziato con alcuni minuti di silenzio scandito dal respiro, seduti correttamente sulla stessa seggiola dove di solito stanno stravaccati.
Era la prima volta. Hanno collaborato, nessuno ha riso o si è mosso.
Subito dopo hanno osservato come l’ambiente fosse impregnato di silenzio e di calma.
A metà lezione l’esperienza si è ripetuta per ritrovare il giusto ritmo tra il fare e lo stare.
Così i ragazzi hanno definito il silenzio:
calma
pace
tranquillità
vuoto
concentrazione
positività
libertà
respiro.
Il silenzio è innocuo,
sereno,
prezioso,
libera la mente.
Dopo aver letto il seguente Haiku abbiamo provato insieme a trasporlo

Vedendo la luna                                                    Osservando la luna
riflessa sul mare                                                   rispecchiata sul mare
dalla sacra montagna                                           dall’alta collina
le isole sembrano buchi                                      gli scogli sembrano ombre
in una distesa di ghiaccio                                   sopra una distesa argentata.
Saigyo                                                                                                 I ragazzi

Abbiamo poi provato con l’esperienza che i ragazzi avevano della luna, e dalla frase di uno di loro è stato elaborato insieme il seguente testo:

Tuffandomi nel mare
di sera
ho notato 
onde di luna
cavalcare l’acqua

E’ stato solo un primo approccio, ma significativo, su come sia possibile portare i ragazzi a porre l’attenzione su cose semplici che possono, però, diventare straordinarie: basta saper creare il giusto clima per insegnare a guardarle e scoprire parole adatte per raccontarle.

Immagine tratta da: http://goo.gl/d6d830