Conoscenza, consapevolezza, comprensione

Tratto dal volume “La farfalla” del Cerchio Ifior, pagine 259-260

Il cammino che compie l’individuo nel corso del suo processo evolutivo va dallo stadio della inconsapevolezza ad uno stadio di sentire. Nell’arrivare a questo estremo, a questo opposto, l’individuo – incarnandosi più volte nel mondo fisico – ha bisogno di effettuare una sorta di processo interiore per arrivare ad abbandonare la sua inconsapevolezza e raggiungere il proprio sentire.
Questo processo è costituito essenzialmente da delle tappe, ovvero segue determinate regole necessarie per arrivare, per gradi, a costituire un po’ alla volta questo famoso sentire.
La prima tappa è quella della conoscenza, ovvero l’individuo – facendo esperienze nel mondo fisico – arriva a conoscere attraverso i sensi, attraverso le emozioni, attraverso i pensieri quelli che sono gli stimoli che gli vengono sottoposti dall’esistenza.
Intendiamoci però: questa è veramente e puramente una conoscenza dello stimolo, conoscenza come presenza, come realtà dello stimolo, senza comprendere quelle che sono le cause, gli effetti e senza andare un pochino oltre alla semplice conoscenza.
La seconda tappa di questo processo è quella che noi denominiamo consapevolezza, ovvero il rendersi conto che questi stimoli non soltanto esistono, ma influiscono sull’individuo in questione. Ho fatto l’esempio dell’individuo che si rende conto che prima esiste il sentimento dell’invidia e che diventa consapevole, in un secondo momento, che questa invidia costituisce non soltanto un problema per gli altri, ma che magari costituisce un problema anche per se stesso, e questo indipendentemente dal fatto che egli accetti la constatazione che l’invidia appartenga anche a lui.
Con il passare del tempo, delle incarnazioni, degli stimoli che l’esistenza procura, l’individuo – sempre fermandoci all’esempio dell’invidia – accetterà un po’ alla volta che anch’egli è un essere invidioso; accettandolo riuscirà a guardare questa sua invidia con maggiore serenità, riuscirà ad osservare se stesso nei momenti in cui questa invidia si estrinseca e, quindi, da questa sua osservazione più o meno conscia, arriverà a comprendere i perchè della propria invidia.
Ecco così la comprensione dei propri fattori interiori quale terza tappa per raggiungere il sentire.
Allorchè questa tappa è raggiunta e si consegue la comprensione di un fattore qualunque, pressochè automaticamente questa comprensione si trascrive in quello che è il corpo akasico, il corpo della coscienza, formando un piccolo nucleo di sentire che si unirà agli altri eventuali nuclei già presenti in questo corpo akasico.
Ovvero, per rendere un’immagine a cui voi siete abituati, il corpo akasico dell’individuo struttererà un’altra parte della sua materia in modo organico; parte di materia che formerà un disegno già più complesso, più strutturato, se altri nuclei di sentire saranno stati raggiunti dalla compresnsione di altri fattori, di altri elementi.
Nel corso dell’evoluzione, questo processo viene compiuto più volte, non è che si compia un’intero ciclo evolutivo per comprendere un fattore. Ovvero, in continuazione l’individuo, incarnandosi, andando avanti nel suo cammino incarnativo, conosce, diventa consapevole, raggiunge il sentire, magari anche contemporaneamente, ovvero: contemporaneamente può conoscere un fattore, può essere consapevole di un altro fattore, può comprendere un altro fattore ancora, e quindi trascrivere questo fattore (nel corpo akasico).

L’evoluzione dell’uomo: da ego ad amore, da conoscenza di sé a contemplazione

Nel sentiero raramente parliamo di evoluzione; ci focalizziamo sull’essere, sull’adesso, su quello che la vita ci presenta. Quello che accade ci trasforma, lo sappiamo, ma non poniamo l’accento sulla nostra trasformazione quanto sull’arrendersi alla vita. Perché?
Stare nella logica della trasformazione è un continuo valutare, misurare, parametrare il percorso: è un protrarsi verso un obbiettivo confidando sul proprio slancio volitivo.
Stare nell’abbandono è un darsi poca importanza, un rimettersi a un qualcosa di più vasto, un dimenticarsi di sé.
Si impara ad arrendersi ed è naturale che ci siano tanti passaggi, una successione di stati, di difficoltà, di momenti bui, di piccole o grandi consolazioni. L’arte dell’arrendersi si dipana nel tempo, quindi potremmo dire che c’è un evolvere della propria capacità di arrendersi, che sempre di più si affina e si sofistica, diventa sottile, vede le mille, piccole, impercettibili resistenze fino all’affermarsi di un’estrema duttilità e al sciogliersi nell’esperienza della contemplazione.
Ti proponiamo, di seguito, la lettura di un testo di Kempis (Cerchio Firenze 77) sull’evoluzione dell’individuo; sono linguaggi diversi da quelli che usiamo ma parlano dello stesso percorso: la persona che passo dopo passo porta a compimento la propria manifestazione e la trascende, fin quando inizia ad essere risucchiata nel grande mare dell’essere e sempre meno è incline al divenire. Sempre di più il suo vivere diventa un arrendersi, un perdersi, uno scomparire in una vastità.
Da ego ad amore: conoscenza di sé, consapevolezza, meditazione, contemplazione: questo è il processo.

Fasi dell’evoluzione individuale

L’uomo abbraccia degli ideali ed a questi si vota: Non importa che siano giusti o che rispondano all’etica comune: sono suoi ideali e per quelli, in maniera diversa, vive. Da ciò, ha diverse esperienze in ordine alle quali modifica i suoi ideali e la sua vita. E’ questa proprio una tipica caratteristica dell’evoluzione: evolvere per l’uomo significa passare da un minimo ad un massimo, svolgere, ampliare, accrescere il proprio “sentire”. Ed è logico, quindi, che la strada di questa evoluzione sia proprio così concepita: una tappa dopo l’altra, un ideale morale che si raggiunge, un altro che ci viene prospettato. Sembra facile e breve a dirsi, ma voi sapete quanto questo costi, quanto significhi di interna riflessione e d’esterna azione. L’uomo che noi vediamo, dal punto di vista del “sentire”, è ancora una piccola creatura in confronto aol destino al quale è chiamato. Egli è un essere ai primi movimenti di “sentire”, per il quale non è sufficiente meditare, riflettere con la mente per evolvere. Ciò che egli pensa, l’ideale che egli concepisce ed intravede, deve tradursi in natura interiore, attraverso ad azioni nella vita del mondo fisico.
Tutto ciò, ripeto, non è è che una prima fase di evoluzione di quell’essere che un giorno, superato il divenire, si riconoscerà nell’Assoluto.
Noi abbiamo fissato delle fasi nell’evoluzione di questo essere che abbiamo chiamato “individuo”. Durante la prima di esse egli anima nel piano fisico forme di vita inferiori all’umana; durante questa fase si organizzano i corpi, gli strumenti che gli serviranno nella fase successiva. Si forma il corpo astrale che gli da la percezione delle sensazioni, emozioni, desideri; il corpo mentale che gli insegna a ricordare le esperienze vissute, a cercare di ripeterle o a prevenirle.
Nella seconda fase di evoluzione l’individuo anima forme umane; durante questa, servendosi degli strumenti che si è formato nella trasmigrazione nelle vite inferiori all’umana, egli ha delle esperienze che formano la sua coscienza, quella che noi abbiamo chiamata coscienza individuale. Naturalmente la completa costruzione di essa occupa l’intero arco delle molteplici incarnazioni di un individuo come uomo ed il modo come si costituisce è quello che prima abbiamo accennato.
Coscienza individuale costituita significa press’a poco avere fatto proprio, perché divenuto intimo “sentire”, l’insegnamento dell’altruismo, dell’amore al prossimo, epilogo del quale il senso del proprio dovere rappresenta la prima tappa.(….)
A questo punto l’individuo è interamente costituito tanto che ha coscienza di sé, ma nello stesso tempo comprende di non essere il centro dell’universo; egli non è che una goccia in un infinito mare. (…)
Noi abbiamo visto che la coscienza individuale costituita dà un profondo senso del dovere, un essere altruista, amare il prossimo nostro come se stessi; che cosa significa invece “coscienza cosmica”?
Significa sentire in termini cosmici; sentire il Cosmo come un “tutto” del quale l’individuo fa parte in maniera viva. Significa non solo essere convinti di far parte del Cosmo, ma vivere di questa partecipazione, sentirsi sangue di questo Cosmo; partecipare in modo attivo ed inequivocabile alla vita del Cosmo; vederla nella sua eterna esistenza e nel suo mai trascorrere. Questo è il significato che si può dire con parole umane.
Ma -ecco la vostra domanda- come si perviene a questa coscienza cosmica?
Voi sapete che il Cosmo mai trascorre, ma che è l’individuo che ha l’illusione di trascorrere perché inserito in una gamma di “sentire “. Ed allora, quando sperimenta il “sentire” che corrisponde alla coscienza individuale costituita, tocca una tappa che prelude ad una fase del tutto diversa: immedesimazione coi “sentire” degli altri.(…)
Così quando l’individuo è pervenuto a costituire la sua coscienza individuale, deve pervenire a leggere il senso della storia cosmica, e ciò significa vivere, compenetrare, scorrere come sangue nelle vene del cosmo al quale appartiene. “Sentire” non già come ha “sentito” fino ad allora attraverso ai suoi veicoli; ma “sentire” di coscienza costituita da tutti i “sentire” del Cosmo. Dall’alto verso il basso: non più dal basso verso l’alto. Questa è la terza fase dell’evoluzione individuale. Ma la meta finale non è ancora toccata. Lo sarà quando con lo stesso processo” sentirà” tutti i cosmi, perché l’individuo è chiamato ad avere una “coscienza assoluta”, a “sentire” tutti i Cosmi, il “tutto” cioè l’Assoluto stesso, attraverso ad analogo processo: dall’alto verso il basso. Come ultimo episodio di questo vivere e partecipare, è la “coscienza assoluta”, è Dio stesso, è il cessare di ogni scorrere che illusoriamente si può percepire. E’ l’Eterno Presente, è l’Infinita Presenza. E’ il Tutto, l’Assoluto.

Kempis, Fasi dell’evoluzione individuale, Tratto da: Cerchio Firenze 77, Oltre l’illusione, Edizioni Mediterranee, pagg.253-255

Un viaggio incontro a se stessi senza discepoli e senza maestri

Il fine del sentiero è fornire alla persona gli strumenti per conoscersi e trascendersi: questo può realizzarsi più agevolmente se la persona non è lasciata sola e se viene accompagnata in questo processo. Nel sentiero all’insegnamento corrisponde una pratica di accompagnamento.
La persona, naturalmente se lo vuole, è seguita in tutto il suo processo: dalla costruzione degli alfabeti della conoscenza di sé, al vivere la vita come gioco, alla dimenticanza del proprio esserci, all’abbandono verso l’esperienza che sorge dalla meditazione e dalla contemplazione.
Non si tratta quindi di applicare un insegnamento, è qualcosa di più articolato: l’accompagnatore, il buon amico, è specchio della dimensione interiore dell’accompagnato, ed è colui che suggerisce, ad ogni passo, ad ogni sfida, uno sguardo nuovo, una interpretazione più vasta del processo che sta accadendo. E’ anche colui che vive la realizzazione di una libertà in sé e questa sostiene e alimenta il rapporto. E’ colui che può condurre oltre l’identificazione perché conosce la non identificazione. Il sentiero è innanzitutto questo rapporto vivo, intimo e profondo in cui la persona non è lasciata sola. Su questa piattaforma di relazione viene poi sviluppata tutta l’elaborazione dell’insegnamento, la sua declinazione e articolazione che prende forma nei gruppi e nelle meditazioni.
Il nostro sforzo è quello di tracciare una via non del discepolato ma della condivisione, dove ognuno dei protagonisti porta sé e la dimenticanza di sé, l’esserci come persona e il contemplare il presente; dove ciascuno vive la sua trasformazione senza limite in virtù dell’incontro con l’altro, nella ripetitività e ferialità di un piccolo quotidiano che non ha alcun carattere di eccezionalità.
Non c’è sequela nel sentiero, c’è solo l’essere ricondotti a sé, senza scampo e le uniche certezze sono rappresentate dalla possibilità di risiedere dentro sé stessi, dentro l’esperienza della meditazione come sguardo limpido sulla realtà e dentro quel frutto che sempre porta con sé, in varia misura, che è la contemplazione.

La conoscenza di sé fondamento della via spirituale, radice della contemplazione

Questo è il fondamento della via interiore. Qualunque cosa noi possiamo dire o fare, ha un senso se siamo passati e se passiamo, ogni giorno, attraverso la cruna dell’ago della conoscenza di noi stessi. Se l’essere della nostra mente, della nostra emozione, della nostra azione e della nostra natura profonda, conscia e inconscia, si apre allo sguardo senza paura, senza rimozione e nascondimento; se “vediamo” noi stessi, nella misura in cui questo è possibile a ciascuno, allora stiamo appoggiando su solide fondamenta: ogni altro passo lungo la via spirituale ha bisogno di questo, lo presuppone e lo alimenta.
La conoscenza di sé è ciò che conduce a meditazione e contemplazione ed è anche ciò che da esse è generato.