Amore, secondo il Cerchio Ifior

d-30x30Amore. Dizionario del Cerchio Ifior

Concetto fondamentale dell’insegnamento etico: tutto si riconduce ad esso, anche quello che più sembra in contrasto con quello che l’uomo definisce «amore». L’errore più comune è quello di identificare solitamente l’amore con la sdolcinatezza, con il lassismo, con il sacrificarsi per gli altri. Secondo le Guide questa è una visione molto parziale di quello che è l’amore, in quanto chi ama deve saper essere e dare quello di cui gli altri (ma anche se stessi) hanno veramente bisogno. E questo non sempre significa essere dolci o doversi sacrificare per accontentare i desideri degli altri.

Messaggio  esemplificativo

Avete mai amato davvero?
Riflettete attentamente, cercate di essere sinceri con voi stessi, poiché la chiarezza e la sincerità non sono mai stati così necessari come in questo caso.
Dal canto nostro per aiutarvi a chiarire questo punto, faremo alcune considerazioni, che poi voi – come siamo soliti dirvi – dovrete vagliare e decidere se accettare o rifiutare.  Se dovessimo noi rispondere alla domanda che vi abbiamo posto, risponderemmo che sì, avete amato in passato, ma non è stato amore quello che provavate per i vostri genitori, non è stato amore quello che avete provato, in età più adulta, per altre persone, non è stato amore quello che dite attualmente di provare per chi vi sta a fianco o per i vostri figli.
C’è stato solo un breve periodo di vero amore in ogni uomo: i suoi primi attimi di vita. Moti

Osservate il neonato: egli esce nudo, indifeso, incapace di fare del male, incapace di operare una scelta, tanto che ama così istintivamente, inconsapevolmente, da lasciarsi cullare da chiunque lo prenda in braccio, abbandonandosi al sonno senza ansie, senza timori di alcun genere.
Subito dopo non ama più: contrariamente all’immagine stereotipata che si ha del bambino, questi non è l’angelo che l’ideale romantico descrive, non è l’essere che ama sempre spassionatamente e con sincerità. In realtà, invece, il bambino è l’essere più vicino all’immagine del demonio che esista: è tremendamente egoista, smodatamente interessato, eccezionalmente fazioso, implacabilmente crudele, sottilmente ipocrita, oltre ad essere apertamente lussurioso e dedito all’esibizionismo… anche se tutto ciò gli è necessario e non è certo il caso di fargliene una colpa proiettando, come spesso si è usi fare, su di lui i propri sensi di colpa o le proprie vergogne.
Ma come avviene che, dopo i primi momenti di vita, il bimbo non sa più amare veramente, non sa più essere imparziale nel concedere la sua fiducia e nell’accettare allo stesso modo tutto e tutti?
Accade semplicemente che – sotto le spinte delle sensazioni fisiologiche – nasce la prima larvata coscienza di essere un Io che deve affermarsi e che, per poterlo fare, deve continuare a vivere, deve allontanare quella sensazione di minaccia alla sua incolumità fisica che gli proviene dall’apparato digerente.
“È normale e naturale tutto ciò”, direte voi.
Infatti, così è. Non sto facendo un processo al bambino o al neonato, ma sto semplicemente constatando il meccanismo che fa perdere al neonato la capacità di amare veramente e incondizionatamente.
Accade, infatti, che nel momento in cui il neonato avverte la fame e lo dichiara al mondo in modo quasi sempre chiassoso, il suo Io assume una forma più differenziata, modellandosi in modo orientato dal fatto che la sua fame viene appagata.
Ecco la prima scelta dell’oggetto d’amore, il primo frantumarsi del suo amore totale in frammenti diretti a seconda del proprio tornaconto; e, da quel momento, il suo amore più grande sarà per chi soddisfa i suoi bisogni corporali ovvero – solitamente – la madre.
Questo è nell’ordine naturale delle cose: stiamo infatti parlando di una coscienza larvata, istintiva, non ancora indirizzata coscientemente ma scaturente dallo scontro fra la realtà interna e quella esterna. Tuttavia il bimbo ha perso il vero amore: ama la madre perché lo sfama, separandola dallo sfondo, dalla totalità indistinta che prima raccoglieva tutto, in egual misura, il suo amore.
È necessario che proceda nell’analisi, che cerchi di spiegare meglio ciò che intendo dire? Non credo.
Penso che basti affermare che l’amore si frantuma sempre di più a mano a mano che l’Io del neonato si modella sotto la spinta del proprio fisico, e si atomizza addirittura allorché viene praticamente costretto a operare altre scelte dall’ambiente e dalle persone che gli stanno  intorno. Scifo

Quante volte vi è stato chiesto, quando eravate bambini: «Ami di più tuo padre o tua madre, tuo nonno o tua nonna, tuo fratello o tua sorella?» mettendovi davanti a un obbligo di scelta?
E riflettete un attimo: la vostra scelta di allora è stata operata davvero in base a un impulso di amore vero o è stata dettata dal vostro egoismo del momento e in vista del vostro tornaconto più immediato?
Non avete per caso scelto chi era solito darvele più vinte, o chi più di sovente giocava con voi, o chi più di frequente vi faceva compagnia?
E ancora: quante volte, alla stessa domanda, avete risposto in modo diverso a seconda del vantaggio che  una risposta diversa da situazione a situazione poteva fornirvi?
Gesù, a coloro che gli dicevano che sua madre e i suoi fratelli lo stavano cercando, rispose che non aveva madre e non aveva fratelli e la sua risposta non era sintomo, come può apparire a prima vista, di indifferenza o di disaffetto, ma era amore vero: sua madre e i suoi fratelli non possedevano giustamente titoli preferenziali per il suo amore; non poteva essere altrimenti, poiché egli amava davvero come nei primi momenti di vita del neonato, senza cioè imporre una direzione, una scelta, al suo amore.
Passiamo ora a una seconda domanda; seconda ma non per questo meno importante della precedente: state amando?
Chi tra di voi è riuscito a stabilire, a costruire un rapporto d’amore con un’altra persona certamente risponderà di sì. Noi possiamo dirgli, in questo caso, che forse è un piccolo passo in avanti rispetto ad altri, ma che non sta ancora amando davvero.
Il suo amore, infatti, è ancora orientato verso la parzialità e non verso quella totalità che è la qualità essenziale, secondo noi, perché si possa parlare davvero d’amore. Stiamo infatti cercando di parlare dell’amore vero, non di quello che, generalmente, l’uomo adulto – quell’uomo, cioè, che ha pronti tutti i mezzi per elevarsi ma che difficilmente riesce a usarli in piena coscienza – intende per amore.
Esaminiamolo un attimo l’amore dell’uomo adulto. Moti

«Amo mio marito o amo mia moglie, la mia donna o il mio uomo, il mio compagno o la mia compagna…»
Questo, di solito, è considerato amore e additato come esempio di amore vero. Ma basta considerare quel «mio» per avere già molte cose da obiettare sulla purezza e sulla verità di quell’amore, in quanto quel «mio» implica già, di per se stesso, che quell’amore non è poi così slegato dall’egoismo, ma è possessività, parzialità e gelosia. Non è quindi davvero amore, anche se può essere l’embrione dal quale spunterà poi quello che abbiamo definito come amore vero.
Come si concretizza quest’amore, diciamo  «coniugale»?
Solitamente in un rapporto sessuale che, di per sé, non è amore, in quanto può non essere un annullare se stessi nell’amore stesso, dimenticando la propria esistenza, dimenticando di dimostrare a se stessi quanto si è «potenti», quanto si è «caldi», quanta  «resistenza»  si ha,  quanta  «ripresa»  si possiede, quanta «fantasia» è in noi. L’atto fisico può essere una manifestazione d’amore – non un complemento, perché l’amore vero non abbisogna di complementi – ma non è l’amore, anche se vi è la tendenza a compiere un’identificazione tra atto sessuale e atto d’amore. Se così fosse, anche l’atto d’amore omosessuale, invece di provocare reazioni scandalizzate, dovrebbe fregiarsi tranquillamente dell’etichetta d’amore.
Bene, a costo di scandalizzarvi noi affermiamo con tranquillità e sicurezza che non vi è nessuno scandalo, nessun «andare contro  natura» nell’omosessualità.
Come potrebbe d’altra parte qualcosa che succede all’uomo essere «contro natura»? Sarebbe illogico e cozzerebbe contro l’idea di un Dio perfetto e assoluto in ogni sua manifestazione.
Basta, per portare argomenti a favore, che voi pensiate a tutte le vostre vite precedenti. Se è vero ciò che noi e altri abbiamo sempre affermato, voi siete stati a volte maschi, a volte femmine, ed entrambe le esperienze hanno concorso a formarvi come attualmente siete: passate mascolinità e passate femminilità sono state la causa di quell’effetto che voi siete oggi.
Allora ditemi: per quale motivo scandalizzarsi o meravigliarsi o restare traumatizzati se si scopre in se stessi o negli altri delle tendenze omosessuali?
Non esiste ragione per ritenerle contro natura perché fanno parte della vostra natura e, anch’esse, possono essere una manifestazione d’amore in quanto, non dimenticatelo, l’Amore non può avere sesso… altrimenti – scandalo, scandalo! – dovreste ammettere che spesso l’amore che ritenete di nutrire per i genitori o per i figli maschera degli impulsi sessuali, cosa già affermata da certe correnti di pensiero ma non proprio ben accetta dalla massa.
O meglio: ben accetta se la teoria è rivolta agli altri, ma rifiutata come certamente assurda se rivolta a se stessi.
Per non allargare troppo il discorso e darvi spazio di discussione, lascio a voi il compito di proseguire quest’analisi.
«Potete anche aver ragione, in parte; ma io son sicuro, ad esempio, di amare davvero i miei figli, così come amo tutti i bambini in generale», potrebbe obiettare qualcuno di voi.
Se voi affermate: «Non saprò amare gli adulti, ma amo certo i bambini», per noi non c’è via di scampo: ciò è indice che non possedete l’amore vero perché, ve lo ricordiamo ancora una volta, l’amore vero non può amare per categorie o operare delle preferenze. In quanto al vostro amore per i vostri figli, quale poca cosa si dimostra solitamente a un’analisi più accurata, obiettiva e spietata!
Pensate: amate i vostri figli allo stesso modo sempre o vi sono dei momenti in cui li amate di più?
Perché, vedete, se ci sono dei momenti in cui voi li amate di più, ciò vuol dire che non li amate davvero e che la sensazione di amarli di più è relativa e nasce dal vostro Io che si sente più appagato o più esaltato, da qualcosa che hanno detto o fatto i vostri figli in quella circostanza.
Guardateli attentamente questi vostri figli: fino a una certa età avete teoricamente potere su di loro, li forgiate, consapevolmente o meno, secondo un vostro modello ideale che il più delle volte siete proprio voi stessi, cosicché non c’è niente di più vero che dire che i vostri figli sono il vostro Io, o come vorrebbe essere il vostro Io.
E dite ancora di amarli davvero? Ma se così fosse, secondo logica, anche in loro ci sarebbe amore per voi, amore vero; e invece quanti pochi casi esistono al mondo di figli che amano davvero i loro genitori, mentre quanti ne esistono di figli egoisti, indifferenti, per non dire addirittura ostili!
Non esiste specchio migliore per riconoscere il proprio intimo che l’osservare i propri figli, così come il modo migliore per conoscere l’Io di un artista, è quello di osservare le sue opere.
In quanto al vostro amore per tutti i bambini, basta che proviate a osservare il vostro comportamento con i vostri figli e con i figli degli altri. Vi sembra lo stesso? Certo no. E allora dov’è l’amore che non fa distinzione tra mio e tuo, tra simpatico e antipatico, tra bello e brutto?
«Ci state distruggendo, ci fate sentire meschini, ci umiliate, ci fate capire che siamo bugiardi, faziosi… ma insomma: ci amate o ci odiate, volete infonderci speranza o indurci alla disperazione, volete farci avanzare o farci fermare sotto l’impressione della più grande impotenza?!»
Niente di tutto questo, vogliamo solo spianarvi la strada verso il meglio di voi stessi, vogliamo incominciare a togliere da essa i primi ostacoli affinché riusciate ora a muovervi, domani a camminare, e dopodomani a correre felici e sicuri che l’amore vero è lì, dentro di voi, che aspetta solo di trovare il modo per uscire… Scifo


Il Grande Amore

Messaggio  esemplificativo

Fratelli, sorelle, è abitudine dell’uomo ricercare le grandi sensazioni, tenere conto dei grandi avvenimenti, delle situazioni superlative. Eppure, anche se in apparenza non sembra così, non sono le grandi azioni, né i grandi uomini, né le grandi invenzioni quelle che hanno davvero segnato una svolta nel vivere del genere umano, ma sono le azioni piccole, gli uomini comuni, i piccoli fatti di ogni giorno, quelli che lasciano davvero un segno nell’umanità e ne influenzano in modo inavvertito ma costante l’avanzamento e l’evoluzione.
A volte vi vedo volere, vi vedo desiderare di possedere qualità eccezionali. Ma le qualità eccezionali, se non sono sorrette dalla vostra umanità interiore, che è una cosa anonima, a ben poco possono servire, a ben poco possono valere se non ad alimentare la ricerca di supremazia, a incrementare lo sciocco orgoglio di chi ama sentirsi al di sopra della media.
Molto di più vale l’umiltà, molto di più conta la semplicità, miei cari, vissuta con piena coscienza di tutto il proprio essere, senza avere vergogna del proprio scomparire nella massa, senza sentirsi in inferiorità quando vengono a mancare quelle cose superflue che definiscono l’agiatezza e il ceto sociale.
La stessa via vi vedo seguire nella vostra ricerca dell’amore. Forse che quando cercate l’amore nei vostri desideri non vi è pretesa di trovare un amore grande, immenso, unico, meraviglioso e simile a quelli che ricorrono nei miti e nelle opere d’arte di ogni epoca e paese?
Ma non vi accorgete, fratelli, non vi rendete conto, sorelle, che – immersi nella ricerca di questo immenso amore – vi lasciate sfuggire tra le dita tutte le occasioni d’amore che l’esistenza di continuo vi offre?
E cos’è quest’immenso amore che andate cercando, cos’è che lo distingue, che lo rende così appetibile? Lo sapete davvero o state soltanto seguendo un sogno chimerico e imprecisato che, probabilmente, ha il solo scopo di porvi una meta irraggiungibile al fine di non fermarvi mai un momento ad amare e ad essere amati veramente da chi vi sta accanto?
Quanti immensi e travolgenti amori sono sui libri di storia, e tutti sono crollati miseramente al primo soffio contrario di vento! Perché credetemi, fratelli, ascoltatemi, sorelle, l’amore fra gli uomini non è il sogno romantico fatto di sospiri e di baci che alimentate nelle vostre speranze, ma è fatto di mille cose, a volte scomode, a volte anche spiacevoli, ma ognuna delle quali dà il suo apporto di stabilità, di bellezza, di santità, di utilità al rapporto d’amore. E come potete sperare di poter incontrare e trattenere presso di voi il grande amore, quando non sapete e non volete scorgere e alimentare l’amore che vi sembra piccolo e lontano dall’ideale che vi siete prefissi?
Quanta confusione vedo nel vostro essere, miei cari, con quante grandi parole vi sento dipingere a colori vivaci e appariscenti l’avventura di una settimana, così simile alla facciata ben dipinta di una casa che, all’interno, è invece grigia e spoglia!
Voi parlate di grande amore e immaginate che sia fatto di mani nelle mani, di silenzi, di sensazioni, oppure lo vedete come una fiabesca avventura fatta di instancabile correre da un’esperienza all’altra, oppure ancora immaginate che esso sia perfetta intesa sessuale, continua e ininterrotta attrazione  fisica,  baci, carezze e moine senza fine.
Ognuno di voi ha la sua idea di come sia il grande amore, e non si rende conto quasi mai che questa sua idea è solo un riflesso dei suoi desideri, della sua mancanza di comunione con gli altri esseri, della sua repressione, delle sue inibizioni sessuali.
Mettete assieme l’idea che ognuno di voi possiede del grande amore e avrete una pallida idea di che cosa sia l’amore; quello che non ha bisogno di aggettivi supplementari per essere abbellito, perché è già tutto quello che ognuno di voi sogna e va ben oltre ai sogni che fate e che, pure, vi appaiono già così immensi e così difficili da rendere reali.
Guardateli attentamente questi vostri sogni, e vi accorgerete che, spesso, costituiscono per voi non uno stimolo, bensì un freno.Se riusciste a concepire l’idea che tutto ciò che vi circonda, dall’erba a voi stessi, fa parte di Dio; se arrivaste davvero a comprendere, non con la sola mente ma con tutti voi stessi, che Dio è Amore, arrivereste a comprendere anche  che  state  sbagliando nel voler delimitare, in qualsiasi modo, la vostra concezione dell’amore. Accade, invece, che voi vogliate un certo tipo di amore, e che lo desideriate da una particolare persona, e che soffriate quando il vostro desiderio non viene soddisfatto esattamente nel modo in cui voi vorreste che lo fosse e siete pronti a tramutare la vostra aspettativa inappagata in rancore – se non addirittura   odio – alla più piccola contrarietà.
Oh, miei cari, quante volte chiudete gli occhi all’amore e ve lo lasciate passare sopra senza che esso riesca a lasciare un segno su di voi, chiusi nella vostra idea fissa che vi rende indifferenti e che vi fa trascurare ciò che già potreste possedere, e che tanto vi potrebbe dare, solo che voi lo voleste! Perché, rendetevene conto, trovatene la certezza in voi: l’amore vi circonda ed è pronto ad entrare in voi solo che voi vogliate accoglierlo, senza ergervi davanti barriere fatte di sogni fuorvianti.
E se non sapete trovare l’amore nella natura che vi circonda, se non sapete scorgere l’amore nelle piccole creature che generate, se non sapete vedere che l’amore può, sì, essere trovato nell’avventura e nella sessualità, ma che è anche nell’amicizia, nel rapporto con gli altri e in quello che avete con voi stessi, se non riuscite a scoprirlo nelle piccole cose, come potete aspirare e ambire di trovare, scoprire e catturare il Grande Amore?
Perché il Grande Amore non è fatto solo di grandi cose, ma contiene anche una miriade di cose piccole, eppure tutte importanti e necessarie, così come contiene sia l’intesa che il contrasto, almeno fino a quando non riuscirete a raggiungere l’amore che tutto rende sacro perché è il Tutto stesso.
Solo allora incontrerete il Grande Amore, ed esso si rivelerà appagante in modo totale, soddisfacente sino in fondo; e non avrà importanza da chi sarà dato e in che forma, perché riuscirete a sentirlo non nella sua espressione ma nella sua intenzione.
Fratelli, sorelle, riconoscete l’Amore ed Egli si fermerà accanto a voi. Accettatelo senza volerlo modificare e sarà Lui che vi trasformerà. Abbandonatevi a Lui e Lui mai vi abbandonerà. Scioglietevi in Lui e Lui vi riplasmerà, rendendovi così come mai, neanche nei vostri sogni più arditi, avete mai sperato di poter essere. Viola

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 31-39, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Altruismo e egoismo

d-30x30Altruismo. Dizionario del Cerchio Ifior

Il concetto di altruismo è uno dei più complessi da analizzare, in quanto è fin troppo facile usarlo per ricoprirsi – come ci dicono le Guide – di piume di pavone che non sono nostre nel tentativo da parte dell’Io, di apparire migliore di quello che è non soltanto agli occhi degli altri ma anche ai propri. Il più delle volte, sottolineano, l’altruismo che manifestiamo è una sottile forma di egoismo che finisce col creare più danni che aiuto alle altre persone.

Messaggio  esemplificativo

E a voi, figli, quanto occorrerà meditare per migliorare voi stessi anche di poco? Per comprendere che tutti i giorni, tutte le ore, tutti i secondi, date aiuto solo a chi vi ispira sentimenti d’amore e d’amicizia, rifiutandolo a coloro che non appagano in qualche modo i bisogni del vostro Io.
Eppure, quanto sarebbe più utile per voi stessi porgere aiuto a chi siete soliti, invece, rifiutarlo!
Meditate un attimo: per quale motivo una persona vi risulta antipatica? Non può essere che forse non dipenda solo da lei? Non può essere che il suo comportamento e il suo parlare colpiscano qualche cosa di dolente in voi, cosicché vi rifiutate di riconoscerlo e nascondete a voi stessi le vostre ferite, facendo scaturire in voi quella reazione che siete usi definire « «contro la sofferenza». Ma la sofferenza di chi: della persona antipatica o la vostra o quella di  entrambe?
Meditate ancora, se volete: non è forse più difficile riuscire a porgere aiuto alle persone più prossime che alle altre? Eppure dovrebbero essere le persone più prossime quelle meglio conosciute e, quindi, quelle alle quali meglio si dovrebbe saper porgere il giusto aiuto nel giusto momento. E allora perché questa  reticenza, perché questa incapacità?
Forse che in voi c’è il desiderio di non voler aiutare i vostri genitori, o i fratelli, o il coniuge, o i figli? O forse è il vostro Io che vi impedisce di farlo, per nascondere le proprie magagne o per auto esaltarsi di fronte all’altrui difficoltà?
“Ma tu hai detto di agire secondo il proprio ‘sentire’ e se il mio ‘sentire’ non mi dice di aiutare certe persone cosa devo fare?». È giusto se voi fate quest’obiezione: vi è un apparente contrasto nel mio dire. Eppure è evidente che per migliorare se stessi bisogna cambiare; e che per cambiare bisogna sempre tendere al gradino  superiore del proprio  sentire; e che per raggiungere questo gradino occorrono piccole violenze al proprio sentire.
Meditate, figli: vi è davvero contraddizione o quanto ho appena detto era implicito in quanto affermato precedentemente e, anzi, se così non fosse, tutto quanto ho detto riguardo al mutare del «sentire» non avrebbe alcun senso?
Abbiamo parlato di piccole violenze. Piccole. Infatti, per dare aiuto, a volte basta una frase detta con una punta di acrimonia in meno, o un lieve sorriso d’incoraggiamento, o uno sguardo dritto negli occhi invece di uno sguardo che elude. Meditate su quanto sforzo vi occorrerebbe per dare davvero a chiunque un po’ d’aiuto, ma meditate anche su quanti sforzi è basato tutto l’aiuto che ricevete nei vostri giorni e che siete soliti trascurare o ignorare perché a voi sì, è naturale e giusto che l’aiuto venga porto!
E l’aiuto dato per ricevere in cambio che senso ha? Non è inutile e privo di significato se è dato per ottenere un utile di qualche tipo?
Distinguete: per chi riceve aiuto non ha importanza il perché lo riceve ma – se d’aiuto ha davvero bisogno – è ciò che riceve quello che conta.
Per chi dà aiuto, noi diciamo: «Se ti rendi conto di non dare per avere, sei sulla strada dell’Assoluto poiché vuol dire che inizi a conoscere te stesso; e conoscere te stesso vuol dire allargare la tua coscienza espandendola nella giusta direzione».

Posso tendere una mano a chi soffre e Ti ringrazio per questo;
devo fare da stampella a chi sta per cadere e capisco il Tuo perché;
voglio asciugare mille lacrime con il mio sorriso
e ogni lacrima corroderà un atomo delle mie catene. Moti


Altruismo e sensibilità

Con la loro solita originalità nel brano che segue le Guide hanno parlato del rapporto che c’è (o dovrebbe esserci) tra altruismo e sensibilità, attraverso un «dialogo epistolare» tra due  persone.

Messaggio  esemplificativo

Caro Ernesto,
come vedi non ho resistito alla tentazione di rispondere nel più breve tempo possibile alla tua peraltro graditissima lettera, nella quale, prendendo spunto da una frase del Maestro, mi chiedi la mia umile opinione sul concetto di altruismo.
Certo che, sinceramente, sentirmi porre una cosiffatta domanda da te, da un cosiddetto ricercatore spirituale, devo ammettere che la cosa mi ha lasciato non poco stupito, tuttavia cercherò di fare del mio meglio ed esprimerti nel modo più chiaro possibile la mia opinione in merito.
È certo ancora che dare una definizione di «altruismo» non è cosa facile, anche perché l’altruismo è ben difficilmente codificabile, è ben difficilmente generalizzabile; tuttavia, ripeto, cercherò di fare del mio meglio.
Cosa può essere dunque codesto «altruismo», del quale tanto si parla?
Sembrerebbe molto più semplice e più facile poter definire l’altruismo dicendo che cosa in realtà non è altruismo, perché in questo modo il mio dire, il mio parlare sarebbe facilitato da esempi pratici. Altruismo si può definire un qualcosa che è innato nell’individuo, che è conquistato, che fa parte dell’interiorità umana, è un qualcosa che si acquisisce via via che l’individuo procede nel suo cammino evolutivo; ed è qualcosa, quindi, di ben lontano, di ben diverso dal misero egoismo che, invece, pare imperare nel mondo fisico attuale.
Ma lasciamo stare, mio caro Ernesto, lasciamo stare l’analisi dell’egoismo, perché io credo che ogni individuo riesca a vedere e a comprendere come si muove, come agisce nel mondo fisico,  e comprendere quindi, attraverso questa visione di se stesso e delle proprie azioni, che cos’è l’egoismo.
Ma lasciamo stare dunque; Ernesto mio, e vediamo di dare, dopo tanti giri di parole, una definizione di questo altruismo tanto caro a te e al Maestro.
Altruismo, a mio modesto avviso, è riuscire ad andare oltre se stessi, ad andare oltre i propri bisogni personali, cercando però di non mortificare se stessi, cercando però di mantenere inalterato il rispetto verso se stessi; questo è molto importante, caro Ernesto mio, perché molto spesso si ritiene che essere altruisti significhi mortificare appunto la propria persona, far tacere i propri bisogni. Eh no! Non è proprio così, perché fino a quando l’individuo, l’uomo, si troverà a dover agire, a muoversi nel mondo fisico, sarà necessariamente legato a dei bisogni, a delle necessità, ai quali dovrà far fronte e che dovrà rispettare.
E tu sai, caro Ernesto mio, tu sai certamente a chi e a che cosa mi voglio in particolare riferire.
Bisogna però, per proseguire nell’analisi dell’altruismo, fare molta attenzione, perché molto spesso mi sono trovato, osservando gli uomini, a vedere persone che agivano in un determinato modo, apparentemente altruistico e poi «rinfacciare» alla persona verso la quale si erano comportati in quel modo apparentemente altruistico, dicendo loro: «Questo l’ho fatto proprio per te, l’ho fatto per fare un favore a te»; e questo, caro Ernesto mio, non è certamente altruistico, poiché l’altruismo è, come dicevo prima, qualcosa di innato, di spontaneo, che ti fa agire così senza che tu te ne renda conto.
E quando un individuo si trova ad avere avuto, apparentemente, un comportamento altruistico, per poi farlo notare, sottolinearlo, metterlo in qualche modo in evidenza, significa che non ha capito nulla; significa che, quanto meno, sta cercando di convincere se stesso dell’essere stato altruista, significa che tra sé e sé sta dicendo: «Oh, come sono stato bravo; oh, come sono stato altruista!»; il tutto per nascondere il suo ancora grezzo egoismo. E tutto questo comportamento, caro Ernesto mio, non si avvicina di un millimetro all’altruismo.
Altruismo è cercare di aiutare gli altri, di rispettarli, di porgere loro una mano, anzi tutt’e due, di fare il possibile per la loro felicità e il loro benessere, ma in modo spontaneo, naturale, direi quasi come un qualcosa di connaturale; qualcosa che non si può conquistare come – che so – una laurea, un’ottima posizione sociale, e cose del genere; ma qualcosa che si conquista attraverso il tempo, attraverso vite, vite e vite, attraverso esperienze su esperienze, dolore, sofferenza, noia, rabbia, invidia, gelosia; attraverso, insomma, tutte queste cose.
L’essere altruista si conquista soffrendo, vivendo la solitudine, si conquista in migliaia di modi, ma è certa una cosa: che una volta conquistato non lo si dimentica, una volta introiettato, una volta entrato nella propria interiorità, non viene più abbandonato; e quelle persone che dicono all’amico, dopo avergli fatto una cortesia: «Questo l’ho fatto solo per te», sta certo che ancora non hanno conquistato neanche una briciola di quell’altruismo per il quale ancora si trovano a vivere nel mondo fisico.
L’altruismo è qualcosa che fa parte dell’essere, come il talento artistico ma, a differenza di questo, non viene usato, messo in atto per suscitare meraviglia, plauso, piacere, ma al solo scopo di fornire gratuitamente e umilmente benessere ad ogni creatura, nell’intimo intento di stimolare quella stessa creatura ad imparare ad avere un comportamento simile.
Caro Ernesto mio, avrei potuto dilungarmi ancora, ma non vorrei annoiarti; preferisco per il momento terminare qui, certo che tu ancora mi scriverai, certo che non ti sentirai appagato e cercherai ulteriormente la mia opinione in merito. Io ti saluto, caro Ernesto mio e, nella speranza di incontrarti presto, ti abbraccio affettuosamente. Tuo affezionatissimo, Vito

Caro Vito,
ho ricevuto da alcuni giorni la tua lettera ed ho letto con attenzione la tua risposta, il tuo pensiero in merito all’altruismo. Devo dire che sono rimasto un poco perplesso, stupito, nel vedere quanto poco tu ti sia dilungato sull’argomento, secondo me così ampio e così vasto.
Per sintetizzare, quindi, tu hai affermato nella tua lettera che l’altruismo altro non è che sapersi donare agli altri, senza però mortificare se stessi. In altre parole, essere altruisti significa  porgere la mano al prossimo cercando di non venire meno ai propri bisogni. Non accetto questa affermazione e la contesto in parte perché, secondo me, essere veramente altruisti significa sapersi dare interamente agli altri, perché secondo me nel momento in cui uno sente dentro di sé il desiderio di aiutare gli altri dimentica, automaticamente, i propri bisogni.
Voglio dire con questo che a mio avviso – e forse in questo modo io sbaglierò – essere altruisti significa soprattutto dimenticarsi di avere dei bisogni, di avere delle esigenze, di avere degli impulsi e cose del genere. Questo viene fatto non per mortificare la propria persona, la propria personalità, la propria individualità, ma proprio perché la spinta verso gli altri, verso il prossimo, è così forte da rendere totalmente nulli quelli che sono i bisogni egoistici più forti.
Sono d’accordo con te, invece, per quella parte che riguarda il fatto che il vero altruista è colui che aiuta senza far nulla per mettere in mostra il proprio altruismo; su questo sono perfettamente d’accordo e credo che qualsiasi altro individuo sia d’accordo con noi, per quanto riguarda  questa affermazione,  almeno.
Resta dunque oscuro, secondo me, questo punto, e credo di potermi fare interprete anche di altre persone che come me non condivideranno questo punto.
Ti prego, quindi, di chiarirmi, di cercare di essere più chiaro, perché io intendo che forse tu volevi dire qualche cosa di diverso da quella semplice affermazione che, così messa, così detta, può essere facilmente travisata. Ti prego, quindi, di chiarire almeno in parte e mi auguro che tu riesca a farlo nel più breve tempo possibile. Mi rammarico di essere con te così oppressivo e di chiederti sempre spiegazioni in merito, ma la tua figura per me è così importante che quanto tu riesci ad esprimere può essermi di molto aiuto.
Aspetto una tua risposta, mio caro amico, e ti saluto affettuosamente. Anonimo

Mio caro Ernesto,
è con grande rammarico che mi accingo a risponderti, rammarico motivato dal fatto di non riuscire in realtà ad esprimere coerentemente determinati concetti.
Quanto io affermai in quella missiva è stato decisamente da te male interpretato, così come molto probabilmente verrà male interpretato da chiunque altro lo leggerà.
Avevo infatti affermato in quell’occasione che essere altruisti significa dedicarsi agli altri, porgere un aiuto agli altri senza danneggiare se stessi e, a mio avviso, questa affermazione mi appariva chiara, mi appariva lucida, mi sembrava che potesse esprimere esattamente quanto  io, dentro di me, sto sentendo.
Anche perché, se faccio un raffronto con un’affermazione fatta dal Maestro, vedo che non v’è nulla che possa indicare qualche contrasto. Infatti quell’affermazione del Cristo diceva di amare il prossimo proprio (il «prossimo tuo» anzi, per la precisione) come se stessi. Il che, a mio avviso, implica che prima di tutto l’individuo che si accinge a porgere una mano ad un altro individuo deve essere in grado di amare se stesso, ma amare se stesso – a mio avviso – significa non sopprimere, non annullare la propria personalità, dare ascolto ai propri bisogni, se non altro a quelli primari, a quelli non così palesemente ed evidentemente egoistici, ma, quanto meno, al bisogno di mangiare, di riposare le giuste ore, di fare tutte quelle cose necessarie alla propria sopravvivenza, se non altro alla propria sopravvivenza fisica.
È in questi termini, infatti, che la mia affermazione di non mortificare se stessi voleva esprimere quel concetto.
Non mortificare se stessi significa dare ascolto, prima di tutto, alle proprie esigenze fisiche e, perché no, alle proprie esigenze spirituali. Soltanto in questo modo – a mio avviso e, perché no, all’avviso di molti altri miei compagni – sarà possibile per l’individuo stesso ritrovarsi in quella condizione fisica e mentale adatta, giusta e necessaria per riuscire a fare qualcosa di veramente utile per i propri simili, per i propri fratelli.
È veramente assurdo – sempre a mio avviso – rinunciare ai propri bisogni per darsi agli altri, mortificare se stessi per aiutare gli altri rischiando in questo modo di non avere la forza necessaria (anche solo a livello di energie) per poter agire positivamente sugli altri! Spero che questa volta possa essere sufficiente questo chiarimento. Tuttavia, se così non fosse, puoi continuare a scrivermi ed io cercherò di ampliare maggiormente quanto vo sentendo. Sarà sempre ben accetta ogni tua riga e con ciò ti saluto caramente e ti abbraccio affettuosamente. Tuo, Vito

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 26-31, Edizione privata

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Aggressività, meccanismo di difesa

d-30x30Aggressività. Dizionario del Cerchio Ifior

Senza dubbio l’aggressività è un meccanismo di difesa e non di offesa come si è soliti interpretarla. Infatti è difficile riuscire a trovare una reazione aggressiva che abbia solamente caratteristiche offensive ma è sempre riconducibile al tentativo di difendersi da qualche cosa, sia essa la sofferenza, la paura di vedere la verità su se stessi o sugli altri, l’ammissione delle proprie responsabilità e via dicendo.
Come tutti i meccanismi di difesa ha il pregio di essere un cartello indicatore del vero problema per la persona consapevole che cerca di comprendere se stessa senza voler nascondere la testa nella sabbia come potrebbe fare uno struzzo.

Messaggio esemplificativo

Fratelli, sorelle, quante volte vivete il vostro rapporto con gli altri non come un rapporto d’amore ma come un rapporto fatto di aggressività. Se vi accorgeste, fratelli, se vi rendeste conto, sorelle, quante volte dietro al vostro ritirarvi dalla lotta è celato, invece, un comportamento aggressivo! Non può bastare, miei cari, chinare il capo sotto la reazione di un’altra persona, quando, all’interno di voi, questa persona viene maltrattata, viene oltraggiata in tutti i modi possibili; ma solo all’interno di voi poiché all’esterno, invece, riuscite ad apparire tranquilli, freddi, riuscite a non mostrare la tormenta che avete dentro; osservate il vostro comportamento, guardate le vostre reazioni; che differenza vi è tra aggressività e violenza? Forse voi pensate che sia la stessa cosa ma non è così.
Il rapporto che vi è tra loro è lo stesso che vi è tra un albero e una delle sue foglie.
Può accadere che vi sia aggressività ma non vi sia violenza, perché la violenza può essere solo un aspetto esteriore dell’aggressività,  mentre possono esservi aspetti interni più aggressivi  di un atto inconsulto e violento.
Così non crediate che quando – in un litigio – vi ritirate dalla lotta ciò significhi essere tranquilli, significhi mostrarvi migliori della persona con cui avete il diverbio perché spesso così non è: ciò accade quasi sempre perché ambite mostrarvi superiori, perché non avete il coraggio di affrontare quella che può essere una risposta dura, perché il vostro Io in quel modo si mette al di sopra di questa persona. Non è, quindi, un comportamento sentito.
Molto meglio sarebbe mostrarvi così come siete, perché mostrarvi diversi da come siete è una menzogna: se dovete operare un auto dominio, se dovete operare un freno, non è tanto sulla vostra aggressività che dovete agire – in quanto fa parte di voi ed è retaggio di passate incarnazioni e di esperienze mal comprese – ma sul modo in cui questa aggressività si manifesta.
È molto meglio lasciarla uscire con dolcezza piuttosto che lasciarla sedimentare dentro di voi come un fiume in piena, piuttosto che lasciare che il fango che porta con sé si fermi, strato su strato, nel vostro intimo. Non serve a niente porgere l’altra guancia quando questo sentimento non è sentito, non serve a niente se non a mascherare voi stessi; molto meglio sarebbe riuscire ad essere sinceri.
Ma come fare a modificare la propria aggressività in modo che diventi utile a voi e agli altri? E così facile lasciarsi andare a reazioni che sono spropositate rispetto alle situazioni che le provocano!
Esiste una aggressività, un modo di essere aggressivi che – quando viene attuato – diventa un mezzo di comunicazione, una liberazione, qualcosa di utile e sano, e questa reazione aggressiva è la sincerità. Eppure la sincerità è sempre violenta, miei cari, è violenza per chi la compie e per chi la subisce: ognuno di voi sa quanta violenza ha sentito ricadere su di sé non appena una parola spietatamente sincera gli è stata rivolta: eppure è solo in questo modo che riuscirete e rendere utile la vostra aggressività.
Fratelli e sorelle, il vostro rapporto d’amore con gli altri non può essere davvero un rapporto d’amore fino a, quando non riuscirete a mostrarvi a voi stessi e agli altri così come veramente siete. Viola

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 22-23, Edizione privata

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Agire per comprendere

d-30x30Agire. Dizionario del Cerchio Ifior

Le Guide non si stancano mai di ripeterci che «agire» è importante per alimentare le nostre possibilità di comprensione: immergersi nell’esperienza diretta, infatti, permette all’individuo incarnato di vivere quello che l’esistenza gli presenta con tutti gli strumenti che ha a disposizione, ovvero i corpi transitori (fisico, astrale e mentale) che gli permettono di agire, emozionarsi e ragionare, permettendo agli elementi che gli servono di giungere al corpo akasico completi nella loro complessità di interazioni.
Certamente, dicono inoltre, anche il non-agire risulta non essere inutile e, alla fin fine, porta elementi di comprensione alla coscienza, ma sarebbe come accontentarsi di guardare una tavola imbandita in un programma televisivo quando si ha accanto una vera tavola imbandita colma di ogni ben di Dio!
Le Guide ci hanno esortato sempre, dunque, a interagire con la vita che viviamo durante l’incarnazione, a cercare di non subirla soltanto in maniera passiva, ma di mettere in atto il più possibile quel complesso di azioni e reazioni che permette alla coscienza di arrivare a comprendere quello di cui ha bisogno e di aiutarci ad effettuare, nel contempo, i miglioramenti che sarebbe necessario effettuare nella conduzione della nostra vita, col risultato di riuscire più facilmente ad allontanare o a rendere più sopportabile la sofferenza che spesso ci sembra pesante come un macigno sulla nostra esistenza.

Messaggio esemplificativo

La vita che vivete vi presenta in continuazione qualcosa da affrontare, riuscendo, molte volte, a prendervi impreparati e di sorpresa; cosicché, volenti o nolenti, siate costretti a lavorare su voi stessi e sulle vostre azioni in modo tale da interagire con la realtà di quanto vi accade e capire, quindi, qualcosa di più di voi stessi, avvicinandovi alla vostra realtà interiore. Questa è la bellezza e la necessità della vita; questo è il perché voi vivete; tuttavia non sempre è facile, osservando gli accadimenti dal vostro punto di vista, trovarsi impreparati di fronte a ciò che accade ed ecco, così, che molto spesso voi tendete a cercare di evitare i problemi, le situazioni difficili, le controversie, dicendo – forse più a voi stessi che agli altri – «Non ci posso fare niente», o «Non so cosa fare». Moti

In poche parole, creature, non fate altro che scaricare le responsabilità. Pensateci un attimo: «Non ci posso fare niente»… Lasciamo da parte l’Insegnamento, che – negli anni – ha giustificato il fatto che, in realtà, in qualsiasi situazione che si presenta voi «potete» sempre e comunque fare qualcosa; perché, se così non fosse, la situazione non vi si presenterebbe neppure! Vero, creature? L’Insegnamento ha cercato negli anni di insegnarvi questo. Ma, per chi non sapesse l’Insegnamento, io dico: «Creatura, osserva un attimo una situazione con sincerità, con attenzione: tu ti trovi davanti a una situazione che ti fa in qualche modo star male e pensi di non poterci fare niente; allora, cosa hai intenzione di fare? Di diventare la vittima della situazione? Lo so che questo può anche essere appagante, perché magari ti attira le simpatie di qualcuno che dice: ‘Oh, poveretto!’, ma non risolve il problema. Resta il fatto che, comunque, ciò che stai evitando di affrontare esiste, persiste e continuerà fino a quando tu non lo avrai affrontato per risolverlo in qualche maniera».
Dovete, quindi, cercare – nell’affrontare le situazioni di questo tipo – di entrare in un’ottica differente da questo vostro ritirarsi di fronte agli avvenimenti, e rendervi conto che con gli avvenimenti, comunque sia, siete, e dovete – in qualsiasi frangente – interagire; quanto meno (pensateci bene) per un interesse egoistico e personale, perché fare qualche cosa fa soffrire molto meno che restare impotenti di fronte alla situazione; il che significa che, se riuscite a soffrire molto meno, qualcosa avete già fatto ed è anche, poi, una cosa di poca importanza; vero, creature? Quindi, io vi esorto a non dire più quella frase quando vi è l’occasione per dirla o, se la dite, di ripensare a quanto io ho appena detto e, allora, osservare quella frase, ribaltarla su di voi, cercare di essere più obiettivi e decidere se veramente voi, in quella situazione, non potete fare qualche cosa. Scifo

Più difficile è il caso in cui vi trovate in frangenti tali per cui la vostra reazione è quella di dire: «Io non so che cosa fare», ma anche qui, figli e fratelli, dovreste porre maggiore attenzione a quello che dite perché non è vero che non sapete cosa fare, è impossibile che voi non sappiate cosa fare in qualsiasi situazione vi si presenti perché, per quanto difficile possa essere una situazione, vi è sempre qualche cosa da poter fare: può essere un reagire, può essere anche un ritirarsi dalla situazione; in fondo, se ci pensate, anche questo è fare qualche cosa, pur non essendo, secondo noi, l’atteggiamento migliore.
Noi non possiamo fare altro che consigliarvi, suggerirvi in una situazione di quel tipo di cercare di capire cos’è che voi volete da quella situazione e, in base a quello che voi volete, desiderate, ecco allora, a quel punto, agire. Rodolfo

Eh già, creature, agire, agire, agire … «È facile, per voi, – direte – Voi che sapete come son le cose, avete raggiunto una certa evoluzione, sapete gli errori, sapete qua, sapete là, sapete su, sapete giù …» eppure dimenticate tutti quanti che anche noi siamo passati attraverso lo stesso tipo di tormenti che adesso attanagliano voi, e il fatto che ne siamo usciti significa che abbiamo trovato qualche cosa da poter fare, altrimenti ci saremmo rivoltolati nel nostro fango ancora per vite, vite e vite.
Se così non è stato è perché, evidentemente, a un certo punto abbiamo trovato il coraggio – perché è di questo che si tratta – di metterci davanti allo specchio osservarci negli occhi e decidere ciò che si ritiene sia meglio per noi; e poi agire di conseguenza. Intendiamoci, non intendo dire con questo che quello che uno ritiene che sia meglio per lui sia giusto;  potrebbe  essere un «quello che è meglio per me: per soddisfare il mio Io», tuttavia è ancora un «fare qualche cosa» e, anche dall’errore, si può ricavare un utile non indifferente. E voi lo sapete benissimo, creature; sapete benissimo quanti errori fate nel corso della vostra giornata, e sapete anche – se volete essere sinceri con voi stessi – che, alla fin fine, forse ricavate più utile dai vostri errori che dalle cose giuste che fate. Ed è chiaro ed evidente perché questo accade: le cose giuste che fate sono conseguenza di una comprensione che avete già acquisito; quindi, se fate qualche cosa di giusto, non vi porta nulla di più, magari, che una soddisfazione particolare per averla fatta; mentre l’errore che avete fatto è frutto di un’incomprensione e quindi significa che, osservando l’errore che avete fatto, potete veramente acquisire qualcosa di nuovo per voi stessi.
La morale, creature, non può essere che una sola: come diceva qualcuno «Non siate freddi né tiepidi, ma siate caldi» (parafrasi tutta mia particolare, chiaramente) o, meglio ancora, per essere ancora più semplici e terra-terra: «Non ristagnate, ma agite»; perché, più si passa il tempo a ristagnare, più diventa difficile trovare le soluzioni. Scifo

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 19-21. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior