Il cambiamento, la volontà, il non-agire

Chiede Caterina: Ma se le cose cambiano in continuazione e il cambiamento avviene anche quando si sta fermi, perché scegliere una cosa piuttosto che un’altra?
La domanda di Caterina viene dalla lettura di questa frase di Lao TzuLa vita è una serie di cambiamenti naturali e spontanei. Non opporvi resistenza – avresti solo dispiaceri. Lascia che la realtà sia realtà. Lascia che le cose fluiscano naturalmente verso la propria direzione.
La frase di Lao Tzu si presta a diverse letture e, quando queste non tengono conto del paradigma entro cui quelle parole sono state generate, la confusione può essere grande.

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La paura e le basi per il cambiamento

Un video Unicef pone la questione dello nostre reazioni di fronte ad una persona bisognosa: nello specifico vengono registrate le reazioni di fronte ad una bambina sola per strada, ma ben vestita e curata, e di fronte alla stessa bambina truccata da povera. La prima bambina viene accudita, la seconda ignorata.
Perdonate, ma in sé il video non dimostra niente se non che abbiamo paura e diffidenza rispetto a tutto ciò che può comportare un problema, o un’aggiunta di complicazione nella nostra vita.
Di fronte ad una bambina sola, ma curata e ben vestita, noi sappiamo che la soluzione non sarà complessa; stessa certezza non abbiamo di fronte alla bambina sola e in cattive condizioni: qui si può spalancare un mondo che non consociamo, che possiamo avere difficoltà nel gestire, che ci richiederebbe forze che non abbiamo, o che non vogliamo mettere in campo. Poi, magari, non sarebbe così e la gestione del primo caso e del secondo richiederebbero, alla prova dei fatti, lo stesso impegno, ma noi abbiamo paura della situazione che si configura come più complessa e meno gestibile.

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emancipazione

Emancipazione sociale ed esistenziale

Esiste una emancipazione economica, politica, sociale, culturale che non sia innanzitutto emancipazione interiore?
Le condizioni esteriori non rispecchiano quelle interiori?
Cambiando le condizioni interiori, cambiano quelle esteriori: cambiando le necessità della coscienza, cambiano gli scenari che la stessa crea.
La coscienza crea la realtà nella quale la mente, l’emozione e il corpo (l’identità) sperimentano: il conflitto tra coscienza ed identità, genera la malattia; una necessità di comprensione della coscienza, genera la povertà; un bisogno di comprensione, genera la sopraffazione.
Tutto questo è assurdo se non si entra nell’ottica che ciò che consideriamo reale, è il teatro di una rappresentazione: quella del cammino di conoscenza, consapevolezza, comprensione delle coscienze.
Ciò che appare è il simbolo inequivocabile del compreso e del non compreso: le povertà, le guerre, le ingiustizie parlano di non comprensioni di singoli e di popoli.
Il fronte è dunque quello del lavoro sulla conoscenza, sulla consapevolezza, sulla comprensione: nel mondo, nel quotidiano, nelle relazioni.
Vivendo si trasforma il proprio essere: semplicemente vivendo l’essere carnefice e l’essere vittima, si va oltre quelle condizioni.
La vita basta a se stessa ed è un incredibile processo di liberazione che si attua semplicemente accertando di viverlo.
L’ingiustizia è l’altro volto della giustizia: conoscendo l’uno si realizza l’altro.
Ma, se si guarda al limitato numero dei nostri giorni terreni e non si entra in un’ottica molto differente, non si possono che ritenere assurde queste nostre parole: se si mette al centro il cammino di una coscienza e non lo si confina nel limite temporale di una vita umana, allora si apre un orizzonte di comprensione molto vasto.
Una coscienza struttura il proprio sentire, compie il tragitto da ego ad amore in un lasso di tempo diverso da quello umano e comunque molto vasto: quando il proprio sentire è costituito, non ha più necessità di sperimentare nello spazio-tempo umano e cessa di generare rappresentazioni umane, vite.
La strutturazione del sentire della coscienza avviene attraverso le esperienze: ogni coscienza sperimenta la condizione di povertà, di violenza, di oppressione e sopraffazione e, pian piano, di progressiva liberazione dal dolore, dall’ignoranza, dall’egoismo.
Tutti (tutte le coscienze) siamo stati, o saremo, migranti; tutti siamo stati violentati; tutti siamo stati discriminati e attraverso quelle esperienze abbiamo realizzato la nostra emancipazione esistenziale.

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I cattolici, il mondo, la via della libertà

Confesso che provo un moto di fastidio quando i cattolici insistono sulle questioni economiche, sociali, etiche.
Sottolineo insistono, perché è certamente un loro diritto occuparsi di tali questioni.
L’ultima occasione ieri: il Papa a Torino, è entrato così nel dettaglio delle questioni sociali che a me è sembrato più un leader politico che una guida spirituale e religiosa.
Quando leggo i vangeli, non ne traggo l’impressione di un Gesù in continua tensione con il suo tempo: vedo un uomo che ha scelto di parlare alla gente del popolo, alle donne di cose che riguardavano la loro vita interiore, il loro sentire, i loro condizionamenti.
Non mi sembra che Gesù parlasse in continuazione dei mali del suo tempo: mi sembra che indicasse una via alla libertà, un cammino esistenziale e di conoscenza ai suoi interlocutori, a coloro che riponevano fiducia in lui.
Mi sembra che parlasse all’intimo delle persone e quello privilegiasse, consapevole che ogni cambiamento sociale ha bisogno di una conversione interiore e mi sembra in lui evidente la tensione al Regno, alla relazione con il Padre, al processo di unificazione interiore.
Non mi riesce sempre di vedere oggi, nelle persone che al suo insegnamento si riconducono, questa tensione interiore, quel vivere la vita accompagnati dalla guida dello Spirito, ad esso affidati: vedo gente che molto di frequente pressa il mondo per il suo limite e per le sue ingiustizie. Sembra che la realtà, per i cattolici, non sia creata dallo Spirito ma da quello che loro chiamano il male, e questo rimanda ad un problema mai risolto, la funzione del limite, dell’imperfetto, del contingente, del separato.
Come ho tante volte detto, per noi il mondo non è il luogo dell’ingiustizia immotivata, è lo specchio fedele dell’interiore dell’umano: abbiamo il mondo che creiamo e che, dato il nostro tasso di egoismo e di ignoranza, ci meritiamo.
Dunque non ci lamentiamo, né invitiamo alla protesta quasi fossimo vittime di quella ingiustizia: ci rimbocchiamo le maniche cambiando noi stessi e invitando gli altri a farlo, se possono e se vogliono: senza pressione, senza pressare alcuno perché si cambia solo quando si è pronti, non quando secondo qualcun altro sarebbe tempo.
Il mondo con tutti i suoi limiti, è per noi l’occasione, la possibilità della nostra trasformazione: la sua ingiustizia, il dolore che lo compenetra sono l’opportunità che ci induce a conoscerci, a divenire consapevoli, a comprendere; a camminare lungo il sentiero che da ego conduce ad amore.
Crediamo che sia così anche per i cattolici, ma poniamo accenti molto differenti: nella nostra irrilevanza, insistiamo sul cammino della conoscenza interiore, individuale e collettivo, poniamo al centro il processo interiore, su questo va la nostra insistenza, il nostro sforzo, la nostra dedizione.
Sappiamo che il resto, il cambiamento del mondo, la giustizia, sono conseguenza.
La libertà interiore, frutto della conoscenza, della consapevolezza, della comprensione, genera la giustizia.

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