maestro

Il primo ed ultimo maestro

Il nostro cammino di trasformazione avviene con poche persone, quelle che ci danno la vita: i nostri genitori; quelle con cui condividiamo il nostro quotidiano: il partner, i figli, i colleghi di lavoro, il datore di lavoro, i dipendenti.
Impariamo attraverso quelli che ci sono vicini, al fianco; quelli che non riconosciamo come maestri, perché il maestro è sempre altro, in un altrove, è sempre speciale.
È un errore madornale: il maestro di ciascuno è la persona più vicina che ha, chiunque essa sia.
Se avremo il coraggio di aprire gli occhi su questa persona, su queste poche persone, avremo trovato la chiave della nostra vita, la chiave per superare il condizionamento.
Dal libro L’essenziale, Ed. privata, pagina 46

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karma

Le cose fatte bene e quelle fatte male

Non conta quante volte hai fatto bene, conta quando il tuo raglio si sente da costa a costa.
Perché? Perché è dal raglio che impari, è lui che ti rende migliore se ne comprendi l’origine e la manifestazione.
Allora le cose fatte bene che fine fanno? Finiscono nella “contabilità generale”, in quello che viene definito il karma positivo.
Le cose fatte male muovono quello che chiamerei il karma produttivo, quello che genera opportunità nuove di apprendimento.
Ciò che è venuto male per un difetto di comprensione, si ripresenta e si ripresenta fino a quando non viene fatto bene.

Come nasce il Karma, C.Ifior, pdf.

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discernimento

“Segui il tuo sentire!”

Quello riportato nel titolo è uno dei consigli più usati e più abusati, scodellato indistintamente a persone con una elevata capacità di discernimento, come a persone che nel discernimento difettano palesemente.
In sé l’affermazione è ineccepibile: l’umano dovrebbe seguire il proprio sentire di coscienza, senza sosta dovrebbe affidarsi alla parte più profonda di sé e su essa confidare.
Domanda: quanta è la capacità dei singoli di ascoltare e discernere chiaramente e consapevolmente l’indicazione esistenziale che sorge dal sentire?
Non molto alta, spesso decisamente bassa a mio parere. Le persone seguono a volte i loro istinti primari, altre le proprie sensazioni ed emozioni, altre quello che dice la loro mente: tutto questo ha relazione con il sentire, a volte lo esprime, altre lo vela o, addirittura, lo ottunde.
Allora, come si ascolta e decodifica il sentire che affiora dalla coscienza?
1- Facendo spazio dentro di sé: lasciando che sensazioni, emozioni, pensieri non occupino tutto lo spazio della consapevolezza;
2- disponendosi ad osservare, ascoltare, accogliere ciò che emerge dal silenzio di sé, da quegli spazi che si aprono tra pensiero e pensiero, tra pensiero ed emozione;
3- distaccandosi dall’identificazione con i propri vissuti, con i propri processi, con i propri dolori;
4- dubitando radicalmente di ciò che la propria mente dice e della lettura che diamo della realtà con la quale siamo identificati;
5- dandoci tempo, non prendendo decisioni affrettate, non obbedendo a degli impulsi;
6- osservando i propri comportamenti e abituandosi a leggerli nel loro portato simbolico;
7- analizzando i propri sogni e, con tutte le prudenze del caso, interpretandone il significato simbolico relativo ai processi dell’identità come a quelli della coscienza;
8- chiedendo consiglio, facendosi accompagnare, se necessario;
9 – osservando la realtà che ci accade nel quotidiano, in famiglia, sul lavoro: ogni fatto parla di noi e ci svela nei nostri meccanismi e nelle nostre sfide esistenziali.
Alla luce di questa consapevolezza diffusa di sé, di questo sguardo profondo sui processi, la capacità di ascolto del proprio sentire sarà divenuta sufficientemente nitida da permetterci di operare un discernimento sensato e delle scelte ponderate alla luce del reale e di ciò che esistenzialmente è bene per noi.


Immagine da http://goo.gl/TWZ7oZ

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senza orizzonte

La nostra vita senza obbiettivi

Per molti anni ci siamo alimentati e dissetati alla fonte dell’amore che provavamo per il nostro partner: ci dava senso, esperienza, orizzonte.
Per tanto tempo il nostro lavoro è stato la nostra vita. Le nostre mansioni, la nostra funzione, le relazioni erano il nutrimento delle nostre giornate.
Quando tutto questo, e molto altro, viene meno, oscilliamo tra il non senso e la depressione che incombe.
Quando non abbiamo più adesioni a qualcosa e siamo privi di obbiettivi, di cosa si sostanzia il nostro vivere? Che cosa ci rimane?
Quello che abbiamo.
Quello che accade.
Quello che si presenta e ci chiede di essere vissuto.
Dobbiamo riconvertirci dall’essere protesi, dall’incessante edificazione di una interpretazione della realtà che ci gratifichi, al ciò che è, al ciò che accade.
Dal sogno dell’esserci, alla realtà dell’essere.

Immagine da http://goo.gl/t6xYtY



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