La consapevolezza del condizionamento

Dice Sandra nel commento al post Il letamaio, il monachesimo nuovoSono nel letamaio, ma l’odore mi sta diventando insopportabile, sto cercando così di dare una svolta alla mia vita e dell’altra parte sento tutti i condizionamenti che mi urlano che sono sciagurata, che un lavoro come il mio non si può buttare […]
Il centro della questione è la consapevolezza del condizionamento che sorge solo ad un certo punto del nostro cammino evolutivo, solo quando il processo di disidentificazione è giunto a maturità: allora vediamo l’ambiente nel quale siamo immersi, i mille sentire che lo sostengono e in noi è chiaro che quel sentire non ci appartiene, che l’abbiamo conosciuto e integrato, ma anche superato in ampiezza. 

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Oltre identità/coscienza

Chiede Marco: “Mi sembra che quello che dici nel post ‘Fin quando tutto parla di noi?’ abbia a che fare con il tema dell’ultimo Essenziale, che era, come tu stesso hai detto, uno stimolo ad andare ancora più in profondità.
Il riconoscere ciò che si presenta come qualcosa che parla di noi è già un passo avanti rispetto al lamentarsi e all’attribuire agli altri le nostre reazioni, ma evidentemente non ci si può fermare lì.
Finché siamo noi il punto di arrivo di tutto, l’ego comunque trova pane per i suoi denti.
All’Essenziale ci hai fatto notare come facilmente l’ego possa nascondersi anche dietro i gesti, almeno apparentemente, più altruistici.
Il protagonismo, l’essere comunque al centro di una realtà sentita come propria è sempre dietro l’angolo.

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Prendersi troppo sul serio

Dice Catia commentando il post su Identificazione e gioco: “Capisco che la vita è rappresentazione dove accadono le scene utili al nostro cammino evolutivo, ma non riesco a leggerla come gioco. Non ho allora compreso? Sono ancora troppo identificata?”
Troppi di noi si prendono troppo sul serio e questo dipende dal tasso di identificazione.
La vita è vissuta più come dramma che come rappresentazione: il dramma implica identificazione, la rappresentazione un certo grado di neutralità.
I torti subiti, i tradimenti, le incoerenze, le ingiustizie vengono rubricate negli angoli più austeri della sconfinata biblioteca del censore.
Il censore ci induce a fare sul serio, ad essere seri perché la vita è una faccenda seria.
No, la vita è una rappresentazione: né commedia, né dramma. Non è ne seria, né faceta, è un’officina esistenziale.

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Da coscienza a coscienza

Quando le menti sono quiete, la comunicazione avviene da coscienza a coscienza, da sentire a sentire.
Mente quieta equivale a mente che non ha da aggiungere del suo sulla realtà sentita.
Il sentire può allora dominare il campo e utilizzare le parole e i gesti , le azioni per esprimersi, per travasarsi, per divenire realtà intellettiva, emozionale, fisica.
Se le menti sono quiete, le relazioni tra persone divengono una danza fondata sull’ascolto, sull’osservazione, sulla donazione reciproca.
Se le menti sono silenti, opera senza fine il principio dei vasi comunicanti e gli interlocutori, vicendevolmente, versano se stessi nell’altro.

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