L’unità non è tra noi e l’Assoluto, è Unità e basta

Vi propongo una riflessione sulla condizione unitaria d’essere: forse vi risulterà un po’ complessa e magari anche astratta, ma vi prego di meditarla accuratamente: meditandola oltre la mente, vi dischiuderà un mondo nuovo che non parla del conosciuto, ma di un possibile sentito.
Qui viene indagata un’esperienza interna alla natura di Colui-che-è, abbandonando ogni visione antropomorfica dell’Assoluto.

La Via del monaco è un cammino per coloro che si sentono pronti per affrontare in modo consapevole il processo di unificazione interiore.

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Essere e divenire, eremo e cenobio

In preparazione dell’incontro della Via del monaco del 12 maggio 2018.
Una pratica fondamentale nel Sentiero consiste nel coltivare lo sguardo simultaneo tra Essere e divenire: simultaneamente operare nel mondo e coltivare il pieno allineamento all’Essere.
Risiedere nell’Essere e sperimentare nel mondo.
Vivere la famiglia, il lavoro, le relazioni e le responsabilità e, nel contempo, abitare, incarnare l’archetipo del monaco che ci rende soli di fronte al processo di unificazione.

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Donami il pane duro

Tu che sei la mente che ho in uso,
il cuore che pulsa e scalda l’esperienza,
gli occhi che vedono,
le gambe che camminano,
la consapevolezza che scandaglia e discerne,

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L’identità, il sentirsi d’esistere e l’infinita ricerca del significante

L’identità è simile ad un cane da caccia, instancabilmente alla ricerca di una traccia olfattiva il secondo, di un motivo per sentirsi d’esistere la prima.
Tutta la ricerca del nuovo, dello stimolante, dell’interessante, del curioso, dell’attraente, dell’eccitante, del significante altro non è che l’infinito simbolo di un ologramma che ricerca i segni della propria concreta esistenza: non trovandoli, essendo essa niente altro che una interpretazione, una lettura, una etichetta sul modo di vivere e di relazionarsi con i fatti, il dubbio dell’inconsistenza la pervade e la conduce ad una ricerca senza fine di conferme.

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Sulla natura dell’amore che è e che diviene

Approfitto di due commenti al post Il ciclo del vivente che da amore torna ad amore per approfondire l’argomento.
Marco: 1- mi viene in mente il canto “Io non sono nulla”, che a un certo punto dice: eppure senza di me… Frase che sembrerebbe affermare una peculiarità del nostro esserci; 2- se la realtà non è altro che dispiegamento dell’amore, è gioco forza intendere tutti quegli atteggiamenti e azioni, che poco o nulla hanno a che fare per lo meno con l’idea che noi abbiamo di amore, come il risultato di una distorsione identitaria di un impulso che è comunque impulso d’amore.
Samuele: 3- Come compendi però l’amore imprescindibile verso sé stessi? Anche proprio a livello di cura della persona, salvaguardia del proprio equilibrio psico-fisico? 4-Anche questa è una forma d’amore, e non necessariamente va sempre verso l’altro, ma va verso sé.

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Permanere nella radice di sé: l’eremo interiore

La vita nell’eremo con i suoi modi, i suoi tempi, i suoi silenzi è la conseguenza di una scelta: permanere nella radice di sé.
Quella scelta è stata compiuta molto tempo fa e non è fondata sulla volontà, ma sul piegarsi ad un’esigenza esistenziale.
Un’esistenza intera chiedeva tempo, ritmo, silenzio, lontananza dalle menti e dalle emozioni, abbandono al semplice processo del vivere così come si srotola nella routine dei giorni.
Solo chi vive qui può comprendere l’incolmabile lontananza dal mondo e la simultanea vicinanza con tutti gli esseri imposta dalla compassione.

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Una vita, una esperienza e delle parole piene di senso

Vi proponiamo un’intervista di Luciano Costa ad Enrico Ghidoni, l’uomo-che-cammina: una vita feconda, esperienze vissute senza risparmio, parole che dicono della vita così com’è nel momento in cui non è oscurata dalla narrazione di sé, dalle pretese e dal velo della mente.

Non è che da quelle parti ha sentito la presenza di un Dio grande e sconosciuto?
«L’ho avvertita; ho sentito la presenza di quel Dio grande e misericordioso che il vangelo racconta e propone e mi ha aiutato a comprendere lo scorrere del tempo. Quel buon Dio l’ho cercato insistentemente… Poi l’ho trovato nel mezzo di delusioni, dentro la felicità suggerita dall’immensità del silenzio e anche nelle amarezze di cui la vita è sempre condita».

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La via della compassione e il bisogno di un Dio da pregare

Dice Roberta G.: Le parole di Teresa, pur dolci e poetiche, non trovano piena rispondenza in me, qualcosa mi “stona”. Mi sembra che Teresa percorra la via della Devozione e che io sia su una diversa strada…una strada in cui non si nomina neanche Dio, o il Signore…  Mi è venuta in mente la conclusione della  poesia di Moti, alla quale mi sento vicina: ” …La tua vita avrà un senso, figlio mio, quando non avrai più bisogno di un Dio per dare credibilità e senso alla tua via.” Mi chiedo, anche, da dove nasce in me, e  in ognuno di noi, questo diverso sentire.
Il Sentiero non è una via devozionale e questo è evidente: in esso confluiscono persone che non hanno nell’affetto e nella devozione la loro personale focalizzazione.
Il Sentiero non è neppure una via concettuale: è una via fondata sulla compassione e generata da essa.
La devozione ha bisogno di un oggetto, almeno fino a quando non è divenuta pura gratuità.

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I sette simbolici passaggi da illusione/morte a vita

Oggi è il sabato di Pasqua, il giorno dell’ammutolire.
Il Maestro è morto, i discepoli dispersi. Ciò che è stato sembra perduto.
Il sabato è il sesto di sette passaggi simbolici:
1- la conoscenza;
2- la consapevolezza;
3- la comprensione;
4- l’andare oltre sé, lo spogliarsi di sé e la scoperta dell’altro (giovedì);
5- la fine dell’identificazione (venerdì);
6- il deserto della mente/identità (sabato);
7- la manifestazione delle vita unitaria (domenica).

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