La funzione della comprensione limitata

Per il terzo giorno consecutivo torno sullo stesso argomento ad uso dei monaci del Sentiero e di chi ha la pazienza di leggermi nel mio ripetermi, ma repetita iuvant e l’argomento è, per un contemplativo, la madre di tutti gli argomenti.

Anche in ambito unitario esistono comprensioni limitate, non solo in ambito duale.
Come potrebbe essere diversamente se di totale e perfetto esiste solo l’Assoluto Essere!
L’unità ha la complessità di questa albicocca, un universo di forze e di forme, di Essenza e di manifestazione. L’unità contiene il limite che ne è – per alcuni versi, non per tutti – il lievito.

Il contemplativo, quando è unità vivente, palpitante, è una sorgente di vita autentica, vita che sorge dal limite come dalla completezza non potendo mai definitivamente separare i due.

Ho iniziato oggi a lavorare su questa fonte: Sam Van Schaik, Lo spirito dello Zen, Yale University Press, 2018. Da tempo, libero dagli impegni delle contemplazioni quotidiane sviluppate attorno all’insegnamento del Cerchio Firenze 77, lavoro sulla radice dello Zen sia giapponese che, naturalmente, cinese.
Questo perché ho un interesse intellettuale, filosofico, filologico? Non direi.

Lo Zen è la via più prossima al Sentiero ma il Sentiero è anche, profondamente, altro.
Nello Zen abbiamo il fittone principale, ma siamo andati anche molto oltre e infatti non abbiamo relazione con quel mondo.

Come Dogen ha affondato la radice nello Chan, così noi l’abbiamo affondata nello Zen ma, in entrambi i casi, la risultante è molto diversa dal terreno in cui la radice si è nutrita ed è cresciuta.
Cosa muove questa ricerca nella radice profonda del Chan/Zen? Una inquietudine, un limite di comprensione.

Nulla è come appare, di certo non è come afferma Dogen e tantomeno come affermiamo noi.
Studiando Dogen l’inquietudine aumenta, sperimentando la Via intrapresa dal Sentiero e verificata nella sua comunità, l’inquietudine trova alcune, provvisorie risposte, alcune sfumature di comprensione maturano.

L’indagine sulle radici illumina di consapevolezza nuova il presente ma a nulla serve se non procede con l’esperienza diretta in un organismo vivente quale è una comunità.
Sperimentando, molte cose dalle quali si è partiti risultano non vere, non autentiche.
Vivendo quotidianamente la contemplazione, molte delle verità affermate dagli altri non reggono alla prova dell’esperienza.

Qui non voglio parlare della tensione tra Zen e Sentiero, ma la prendo a pretesto: una comprensione limitata è un tarlo più o meno sopportabile ed è metafora del funzionamento dell’intero divenire che si sviluppa tra l’imprinting della Vibrazione Prima e l’esperienza quotidiana delle creature viventi.

Siamo interni all’essere dell’albicocca e ne viviamo la complessità: non ci sarebbe Essere senza questa complessità come non ci sarebbe divenire senza essenza unitaria. Il nostro universo esistenziale è un’albicocca intera, integra, tutto accade nel mezzo della sua polpa.

Se il contemplante, il monaco del Sentiero, comprende questo, ha trovato la chiave per il suo quotidiano. All’ultimo intensivo abbiamo sperimentato la manipolazione dell’argilla, l’essere interni a quel gesto non separando l’argilla da noi: fondamentale è comprendere che non c’è gesto perfetto nella manipolazione della vita, ogni gesto è quel che è e proprio perché è quello e non altro, è un aspetto di una perfezione senza limite.

Il solo fatto di manipolare l’argilla conduce diretti al centro di una complessità che riguarda l’essere vita di quel momento.
Essere vita non è consapevolezza del manipolare in sé, ma consapevolezza unitaria di ciò che viene sentito attraverso la relazione e che rende il manipolatore, il gesto, l’argilla, l’ambiente circostante una unità inscindibile.

Questa complessità è vita unitaria che accade, è complessità unitaria che è.
Tutto è interno a questa complessità vitale e non esiste alcun io che si possa realmente auto-delimitare: di fronte a queste esperienze ogni frammentazione mostra la sua illusorietà.

Scrivo e ripeto ciò che ho già detto in altri post perché tutto dipende da come il contemplante è capace di ampliare la sua esperienza feriale focalizzandosi sulla origine di questa, il sentire unitario.

Ogni particella dell’albicocca è perfetta, dalla buccia alla polpa al seme – così diversi! – e finché questo non sarà interiorizzato, il tarlo della tensione non darà pace e anche quando la pace sarà la tessitura di fondo essa non sarà mai completa perché non c’è luogo dove il “figlio dell’uomo possa appoggiare il capo” e non c’è perfezione se non nell’Assoluto.

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Catia Belacchi

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