[…] “In quei momenti, in quei rari, rarissimi momenti,
io riesco per un attimo a trovare veramente in me il senso dell’umiltà:
allorché mi sento sperduto, piccola goccia di colore anonima
– ma non per questo meno importante – sulla grande tela che Tu,
con infinita pazienza, costanza e bontà hai creato.” Fonte
Ricorrono due espressioni:
– il senso dell’umiltà;
– l’importanza pur nell’irrilevanza.
divenire
Nel divenire, l’essere rivelato dall’ascolto profondo
Se un fatto non è visto e dall’impatto con esso non si lascia che sorga sensazione, emozione, pensiero, quel fatto non esiste o non ha consistenza.
È cioè necessario che un fatto, che in sé altro non è che sentire, possa attraversare i vari corpi e piani del percepente e trovare una esecuzione, ovvero dar luogo ad una reazione/azione: allora il ciclo si chiude e il processo del conoscere, divenire consapevoli, comprendere ha compito il suo corso.
Questo è ciò che ad ogni attimo viviamo, la sostanza profonda che qualifica ogni sequenza di fotogrammi che riconosciamo come la nostra vita, il nostro presente.
Se il fatto è visto e ci attraversa, allo stesso modo ci abbandona: davanti all’obbiettivo fotografico tutto scorre, tutto viene registrato e suscita impressione, e tutto viene abbandonato.
Il mare è uno, calmo o agitato che sia
Le menti vivono nell’opposizione e nella divisione e quindi dicono: “O bianco o nero, o divenire o essere!”
Considerano che l’essere sia la fine del divenire, si spaventano e tornano sul terreno che a loro pare più sicuro, quello che controllano, quello del divenire.
Dice Leonardo: “Allentata la presa, essere e divenire, immobilità ed operare sembrano non essere più alternative duali, piuttosto le due parti che formano un’onda: il divenire è l’emergere dell’onda, la cresta; l’essere è lo sprofondare dell’onda nella vastità, il ventre.
Continuo ed ininterrotto è il passaggio tra le due fasi.”
Così è e non poteva essere detto meglio.
Divenire ed essere, operare e contemplare
[…] la vastità è pervasività del già preformato. Ed è proprio con questa visione della realtà che si scontra l’uomo che percorre quella via cosiddetta evolutiva (la via del migliorarsi e trasformarsi, ndr), perché non è abituato a mettere in discussione la sua voglia ed il suo sforzo tesi verso la costruzione di un obiettivo di crescita comune, di aiuto all’altro e di miglioramento di ciò che lo circonda, che però parlano principalmente di lui in un mondo “per lui”.
E quando sente questo suo assunto venir messo in crisi da una visione dell’esistenza in cui ciascun essere è inserito in una rete di incontri che è solo da riconoscere, quell’uomo ha difficoltà a decostruire ciò che ha edificato sulla vita e perciò a togliere via quei veli – i suoi concetti – che nascondono che tutto è già. (1)
La ricerca del fuoco, del senso e il prendere atto
Il solo porre la questione dell’essere mette in risalto il condizionamento dentro al quale quotidianamente viviamo: senza sosta cerchiamo senso.
Per noi vivere non è prendere atto: è provare, è conquistare, è dover essere.
Siamo dei cercatori di fuoco, di qualcosa che ci scaldi e non ci faccia sentire l’angoscia di fondo della separazione e della solitudine.
Nessuno è fino in fondo pronto per l’essere, perché tutti abbiamo qualcosa da perdere e questo comporta difficoltà e resistenze inevitabili e naturali.
Bisogna guardare il contesto in cui la vita, la nostra coscienza, ci ha collocati: perché ci ha posto la sfida dell’essere? Perché ci chiede di tenere assieme essere e divenire?
L’esperienza unitaria che sorge da divenire ed essere
Se ciò che accade è qualcosa che viene per me e, simultaneamente, un fatto che accade e basta e che non mi riguarda in quanto soggetto e artefice, come minimo esco frastornato da questa antinomia.
Come tenere assieme questi opposti? La mente dice che una scelta sarebbe opportuna: delle due, una può essere l’opzione coltivata.
E invece la mente non vede, come quasi sempre le accade, l’evidente: il divenire che si palesa è l’espressione dell’essere che ne è l’origine e dunque, nel mentre vivo i fatti che parlano a me come soggetto e artefice, posso cogliere la natura più intima di quei fatti e scoprire che essi sorgono dall’essere senza tempo e senza scopo e quello sono e testimoniano.
Divenire ed essere, imparare e contemplare
Sono compatibili il divenire e l’essere, l’imparare e il contemplare?
Si può oscillare senza fine tra il divenire/imparare e l’essere/contemplare?
Chi oscilla? La consapevolezza, che si sposta ora sul processo di quello che viene e ci trasforma, ora sulla profondità di quello che viene e non è letto come processo ma come fatto disgiunto da altri fatti.
In sé, quello che viene non è superficiale, né profondo, è sempre quel che è e basta: cambia la lettura che noi ne diamo.
La lettura di superficie lega ogni fotogramma, coglie il processo con sé al centro e, nel compiersi dell’esperienza, ne trae insegnamento e comprensione.
Dal divenire all’essere e le paure dell’identità
Semplificando potremmo dire che la mente/identità è immersa nel divenire, mentre il sentire esprime la sfera dell’essere.
E’ una semplificazione perché non tiene conto del fatto che la realtà del divenire niente altro è che una proiezione del sentire, la realtà è dunque unitaria e sentire e identità altro non sono che due livelli differenti e inscindibili della stessa indissolubile realtà.
Le menti/identità temono il discorso sull’essere: ne sono affascinate e lo temono.
Ogni volta che sposto l’asse del nostro procedere come Sentiero verso l’essere, questa tensione si avverte nei miei interlocutori: sembra quasi che il coltivare l’essere significhi il negare, ridimensionare, marginalizzare l’umano e la sfera del divenire in cui esso prende forma e si sostanzia.
L’importanza del processo, non della forma
Tutto ciò che accade nel tempo e nello spazio, nel divenire, assume una forma, di qualunque materia essa sia.
Ogni forma è il simbolo visibile di un processo.
Ogni processo conduce da ego ad amore.
Nel divenire, ogni fatto/forma accade nel presente e svela comprensioni e non comprensioni.
La persona della via interiore e spirituale è quella che non si ferma alla forma esteriore, ma di essa coglie il simbolo, il processo che indica.
Quando non abbiamo più un progetto
Prendo le mosse da questo manifesto europeista lanciato da Nicola Zingaretti che vi invito anche a sottoscrivere.
L’umano senza progetto muore: finisce la sua creatività, finisce la sua socialità, finiscono la sua cultura e la sua vita interiore.
Muore interiormente perché, essenzialmente, quello che noi chiamiamo umano altro non è che la rappresentazione di un processo del sentire che si mostra in divenire nel tempo: il processo che da ego conduce ad amore, quello è l’umano che viene rappresentato ogni giorno, ad ogni latitudine.