20 aprile 2025, Pasqua di resurrezione
Giovanni 20,1-9
1 Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.
2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
3 Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro.
4 Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
5 Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
6 Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra,
7 e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.
8 Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
9 Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.
Il sepolcro è vuoto, nessuno lo abita. Questa vita nella solitudine e nella lontananza dal mondo poteva divenire il nostro sepolcro ma ogni giorno che accade si manifesta come una sorgente di vita nuova.
Silenzio, solitudine, lontananza e immensa vicinanza al mondo e alle esistenze: l’esistenza essenziale, per sentire nella vicinanza, nella prossimità, nella comunione, ha bisogno di silenzio, solitudine, stare, contemplazione, ascolto, osservazione, sguardo disteso sui lunghi ritmi unitari dei processi interiori nostri e altrui.
Dalla solitudine dell’eremo si può cogliere con chiarezza l’intima unità di ogni esistenza: questa distanza permette lo sguardo unitario. I discepoli del Maestro perdono tutto, la sua presenza, persino le sue spoglie umane: a partire da questa perdita, da questa distanza potranno essere pronti nell’interiore per la nuova stagione.
Siamo qui da decenni ed è come se abitassimo il ventre della vita, fossimo unità con la vita che scorre nelle piante, nella terra, nelle creature: potevamo essere sepolcri ma non è andata così, siamo vita nei giorni e nelle notti, nella serenità e nelle preoccupazioni, siamo esistenza-che-È e conosciamo la natura di Colui che non abita il sepolcro, che non lo ha mai abitato perché ha rischiato d’Essere, divenendolo.
Sta già avvenendo che molti si misurano, ormai, con l’impulso cristico interiore.
E questa necessità aprirà spazi di comprensioni diversi da quelli dettati dalle religioni e assumerà i connotati che tu hai elencato.